La durata reale esprime l’intima essenza della coscienza. Ma che rapporto intercorre tra coscienza e materia, tra vita interiore del soggetto che sente in sò il flusso della memoria, ‘ l’inafferrabile progresso del passato che fa presa sul futuro ‘ e realtà dell’universo corporeo in cui l’uomo vive ed opera? A questa domanda Bergson prova a rispondere nella sua seconda opera importante, Materia e memoria, il cui sottotitolo dice, in modo molto significativo: ‘ Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito ‘. L’opera si apre con una definizione di materia che rivela l’intenzione di eliminare la tradizionale contrapposizione tra idealisti e realisti. I primi, e Bergson si riferisce soprattutto a Berkeley, riducono l’oggetto materiale ad una rappresentazione del soggetto conoscente; i secondi, e Bergson guarda a Cartesio, pensano alla realtà materiale come ad una ‘cosa’ preesistente alla rappresentazione e dotata di una natura diversa da essa. Per Bergson la materia è un insieme di immagini, intendendo per quest’ultimo termine qualcosa che sta a metà tra la rappresentazione e la cosa. L’uomo comune, privo di preparazione filosofica, crede che esista una realtà distinta da lui (in accordo con i realisti e in opposizione con gli idealisti), la quale però coincide perfettamente con la percezione che egli ha di essa (in accordo con gli idealisti e in opposizione ai realisti). In altre parole: se non siamo sviati da pregiudizi filosofici, tendiamo a pensare che esista una realtà diversa dalle immagini contenute nella nostra coscienza, ma nello stesso tempo nessuno mette in dubbio che tali contenuti coscienziali non siano realtà autonome, esistenti indipendentemente dalla coscienza. Le immagini che compongono l’universo, naturalmente, non sono accostate le une alle altre a casaccio, ma sono connesse da relazioni che ne fanno un insieme articolato stabilmente: queste relazioni sono le leggi della natura. Tra le varie immagini però ve ne è una che presenta un particolare carattere privilegiato dal momento che, oltre a sottostare alle leggi naturali, ha anche la facoltà di modificare le altre immagini in base a propri criteri; inoltre, mentre le altri immagini sono conosciute solo dall’esterno (con la percezione), questa immagine privilegiata viene vissuta dall’interno (si sentono cioò le sue affezioni). Questa immagine è il nostro corpo: infatti la mansione del corpo è di selezionare le altre immagini, scegliendo quelle che presentano per esso interesse e utilità in vista della soddisfazione dei suoi bisogni. In questo modo si crea un campo di immagini poste in risalto in mezzo ad un’infinità di altre immagini accantonate e oscurate dall’ oblìo: questo è il campo della percezione. Dato che la selezione operata dal corpo è motivata da interessi e bisogni, la percezione non ha un carattere puramente conoscitivo, ma comporta immediatamente un aspetto operativo; percepire vuol dire modificare la realtà materiale in base alle esigenze del nostro corpo, cioò agire. Parlando solo della materia e del corpo, abbiamo trascurato lo spirito: il quesito di partenza era proprio quello del rapporto tra materia e spirito. Da una parte il corpo è solo materia che reagisce ad altra materia in vista dei propri bisogni, dall’altro rimane aperto il problema se questa reazione del corpo nei confronti della rimanente realtà corporea si esaurisca totalmente in un gioco di interscambi tra le parti della materia, oppure venga informata anche da qualche cosa che va al di là del corpo e della materia: si tratta cioò di vedere se il cervello, l’organo corporeo di organizzazione del pensiero, determini l’intera vita psichica e, tramite essa, il comportamento dell’uomo (come voleva la psicologia scientifica a orientamento associazionistico), oppure se esista un livello spirituale superiore e indipendente dalla pura attività cerebrale, dal quale sia piuttosto quest’ultima ad essere dipendente. In primo luogo, bisogna notare che la percezione tramite la quale l’uomo conosce il mondo e opera su di esso comporta un riferimento, per quanto piccolo possa essere, alla dimensione della memoria: percepisco e agisco in base a interessi e bisogni che si collocano nel passato, anche se prossimo, rispetto alla percezione-azione e questi interessi, a loro volta, sono condizionati da esperienze (ossia percezioni) precedenti. A questo punto Bergson distingue tra due tipi di memoria: la prima è la memoria- abitudine, che presiede ai meccanismi motori; la seconda è la memoria pura, che contiene i ‘ricordi indipendenti’, e coincide con la durata reale della coscienza. Quando compio un’azione meccanica (recito una poesia a memoria) mi servo della memoria- abitudine; quando penso a momenti della mia storia personale (quando leggevo la poesia per impararla a memoria, gli stati d’animo, le impressioni, i fatti connessi a quell’esperienza) faccio appello alla memoria-pura. La memoria-abitudine ricade interamente nell’ambito dell’organismo: è l’insieme dei meccanismi con cui esso rielabora una risposta a certi stimoli. La memoria pura rappresenta la sostanza spirituale della mia coscienza, identificandosi con quella durata reale in cui la coscienza si risolve. Ma allora sorge un problema: quale di queste due differenti memorie subentra nella percezione corporea? Naturalmente la prima ad essere direttamente chiamata in causa è la memoria-abitudine, che determina le risposte motorie adeguate alla situazione sulla base delle esperienze passate e tradotte dall’organismo in meccanismi automatici. Ma, in realtà , i contenuti specifici della memoria-abitudine non sono altro che una selezione di alcuni tra gli innumerevoli ricordi ospitati dalla memoria pura. Tra le due forme di memorie vige dunque un intimo rapporto di connessione. Da una parte, dall’inesauribile serbatoio della memoria pura provengono i ricordi necessari alla memoria-abitudine per permettere l’attivazione dei meccanismi motori in cui si ha la percezione. Dall’altra parte, è grazie alla memoria-abitudine che alcuni ‘ricordi puri’ vengono recuperati, riportati in superficie e materializzati in ‘ricordi-immagine’, a loro volta causa immediata delle risposte motorie. Non vi è dunque alcuna soluzione di continuità nel processo che va dai ricordi puri, ubicati nella memoria fondamentale che coincide con la nostra coscienza spirituale, ai ‘ricordi-immagine’, con cui agisce la memoria meccanica dell’abitudine e, tramite essi, all’esito finale della percezione. La memoria-abitudine, espressione meramente organico-materiale dell’attività mentale e riconducibile ai processi associativi del cervello, non è dunque del tutto autonoma, ma dipende da quella memoria importantissima che, coincidendo con la durata reale della coscienza, è indipendente dall’ambito della materia e rientra interamente nelle regioni dello spirito. In questo modo Bergson intendeva dimostrare l’ impossibilità di ridurre la vita psichica e i processi mentali all’attività cerebrale. E la conclusione cui Bergson perviene è la seguente: ‘ In una coscienza c’è infinitamente di più che nel cervello corrispondente ‘.
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- Filosofia - 1900