La crocifissione di San Pietro è un’opera del Caravaggio del 1600, commissionatagli dal tesoriere del Papa Clemente VIII, monsignor Tiberio Cerasi. Quella che oggi ammiriamo nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma, è la seconda versione della crocifissione che Caravaggio realizza, dopo il rifiuto della prima edizione, preventivamente scartata per il troppo realismo. Ciò che caratterizza l’opera di Caravaggio è senza dubbio la carica emotiva che scaturisce dall’inquietudine del realismo con cui rappresenta le figure e dall’uso drammatico della luce. Le figure a grandezza naturale, emergono dall’oscurità, in esse sono anatomicamente descritti i segni della sofferenza e della stanchezza morale e fisica. In quest’opera Caravaggio racconta un episodio biblico come un evento di vita, in un clima popolare e i personaggi, tra i quali il Santo, hanno le sembianze di persone qualunque. Non c’è l’espressione “del divino”, effetto della luce, che caratterizzava le prime opere di Caravaggio. Il martire viene rappresentato come un anziano qualunque e i tre aguzzini sono tratti come semplici manovali, che faticosamente sollevano la croce del martire. La luce “ divina”, che illuminava nella penombra i soggetti, ora è un elemento negativo, non schiarisce le figure con un fascio, non le pone in uno spazio scenico, ma le colpisce facendole emergere dall’oscurità impenetrabile. La luce investe la croce e il santo e carica la scena di drammaticità realistica.
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