C. Plinius Maesio Maximo suo s(alutem).
Scripseram tibi verendum esse, ne ex tacitis suffragiis vitium aliquod exsisteret. Factum est; proximis comitiis in quibusdam tabellis multa iocularia atque etiam foeda dictu, in una vero pro candidatorum nominibus – quis hoc putet? – suffragatorum nomina inventa sunt. Excanduit senatus magnoque clamore ei qui scripsisset principis iram est comprecatus. Utinam ille repertus esset! Fefellit autem et latuit, fortasse etiam inter indignantes fuit. Quid hunc putemus domi facere, qui in tanta re, tam serio tempore tam scurriliter ludit, qui denique omnino in senatu dicax et urbanus est. Tantum licentiae pravis ingeniis adicit illa fiducia: «Quis enim sciet?». Tum vero cerneres illum audacem qui poposcit tabellas, stilum accepit, demisit caput, neminem veritus est, se contempsit. Inde ista ludibria scaena et pulpito digna. Quo te vertas? quae remedia conquiras? Ubique vitia remediis fortiora. Confidamus igitur principi nostro, cui multum cotidie laboris adicit nostra iners sed tamen effrenata petulantia. Vale.
Versione tradotta
Gaio Plinio invia i suoi saluti al caro Mesio Massimo.
Ti avevo scritto che cera da temere che dalle votazioni a scrutinio segreto (tacita suffragia) saltasse fuori qualche guaio. (Così) è avvenuto; negli ultimi comizi in alcune schede (si sono trovate) molte battute spiritose e persino sconcezze (lett. cose vergognose a dirsi) e in una, poi, al posto dei nomi dei candidati - chi potrebbe crederci? - sono stati trovati i nomi dei loro fautori. Il Senato sinfiammò (di sdegno) e invocò a gran voce lira dellimperatore contro chi aveva scritto (quelle battute). Magari fosse stato trovato! Invece è passato inosservato ed è rimasto ignoto, forse era (lett. fu) addirittura tra gli indignati. Che cosa possiamo pensare che faccia nella vita privata (lett. a casa) colui che in un momento (o anche: in una materia) così importante, in una circostanza così seria, si diverte in modo tanto sguaiato, che insomma, per dirla in breve (omnino), fa il sarcastico e lo spiritoso in Senato. Tanta sfrenatezza ingenera nelle indoli depravate quella ben nota fiducia: «Chi lo verrà a sapere (lett. saprà)?». Allora davvero si sarebbe (lett. avresti) potuto vedere quello sfrontato che ha chiesto le schede, ha preso lo stilo, ha chinato il capo, non ha avuto paura di nessuno e ha disprezzato se stesso. Da qui (nascono) queste beffe degne di un palcoscenico e di un teatro (endiadi = del palcoscenico di un teatro). Da che parte voltarsi? Che rimedi cercare (lett. potresti voltarti
cercare)? Dovunque i mali sono più potenti dei rimedi. Confidiamo dunque nel nostro imperatore, a cui ogni giorno procura un aggravio di fatica (multum
laboris) la nostra sterile ma sfrenata impudenza. Stammi bene.
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