Riassunto
Un tuono fragoroso risveglia Dante dal sonno in cui era caduto sulla riva dell
acheronte. Egli si guarda intorno e si accorge di trovarsi sullorlo della voragine infernale, buia e profonda. E preso da
timore nel vedere che Virgilio impallidisce, ma il maestro lo rassicura: il suo pallore non è dovuto a spavento, ma a pietà per
la sorte dei dannati.Entrati nel primo cerchio infernale, che è costituito dal limbo, i due poeti odono i sospiri delle anime
di coloro che vissero una vita virtuosa senza aver ricevuto il battesimo. Per non essere state cristiane, non possono ascendere
al paradiso; daltra parte, non avendo in sé altra macchia se non il peccato di Adamo, non sono sottoposte a tormenti: la loro
pena è tutta spirituale: vivono nel desiderio, mai appagato, di vedere Dio.Quattro spiriti si fanno incontro ai poeti: sono le
anime di Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, venute a rendere onore a Virgilio. Esse salutano benevolmente Dante e laccolgono
nella loro schiera. I sei camminano insieme, discorrendo, e giungono in un luogo luminoso, ai piedi di un castello difeso da
sette cerchi di muta e da un corso dacqua, che essi attraversano come se fosse terraferma. Dopo aver varcato, passando per
sette porte, il settemplice giro di mura, il gruppo dei sei poeti arriva in un prato verdissimo e fresco. Da unaltura Virgilio
indica a Dante alcuni tra i più nobili spiriti dellantichità e del Medioevo non cristiano.I due si separano quindi dai loro
accompagnatori e, lasciato il limbo, giungono nuovamente in un luogo privo di luce.
Introduzione critica
Tra la squallida miseria degli ignavi e la bufera, che mai non resta, che travolge nel canto quinto i lussuriosi, il
limbo inserisce una pausa di cogitabondo silenzio, di rassegnata mestizia. Il Tommaseo vedeva in esso qualcosa “della serena
aura della seconda cantica”. E infatti la spiritualità della pena che affligge le anime del limbo, la compostezza dignitosa o
solenne dei loro modi, la manifestazione della loro malinconia, così discreta e lontana da ogni forma di drammatico rilievo,
concorrono a fare del canto terzo un capitolo a sé nel discorso lirico e narrativo dellInferno.Una funzione analoga, di sereno
intermezzo, aveva avuto, tra gli incubi dellincontro con le tre fiere e lingresso nel regno dei morti, il “prologo in cielo
il del canto secondo.Ma la raffigurazione del limbo è forse più interessante, perché qui Dante, scostandosi dallopinione dei
teologi, attribuisce una condizione di privilegio a coloro che in terra hanno vissuto rettamente al di fuori della fede, e una
condizione di privilegio ancora più grande a coloro che hanno nobilitato lumana natura per altezza dingegno e di opere.Il De
Sanctis ha visto nel limbo dantesco, paradossalmente, unespressione di fondamentale laicità: ” Qui nel limbo la mancanza di
fede è un semplice accessorio, e linteresse è tutto nel valore intrinseco delluomo, come essere vivo, come forza. Dio ha lo
stesso criterio poetico, e dà ad alcuni un luogo distinto, non per la loro maggiore bontà, ma per la fama che loro acquistò in
terra la grandezza dellingegno e delle opere. Concetto poco ascetico e poco ortodosso; ma Dio si fa poeta con Dante, e gli
fabbrica un eliso pagano, un Pantheon di uomini illustri”.E certo è significativo che Dante, dopo aver collocato gli ignavi
allingresso dellinferno, formulando nei loro confronti un giudizio nuovo e personale rispetto alla dottrina teologica del suo
tempo, celebri qui con tanto fervore gli “infedeli negativi” e li isoli, in un clima di sereno oltretomba virgiliano (ma, come
ha notato un critico, la classicità dellepisodio rivive in forme ancora tipicamente medievali), sotto una cupola di luce,
quasi a rendere tangibile, concreta, la luce intellettuale che intorno a sé, in vita, diffusero i grandi spiriti dell
antichità.Ma il pensiero di Dio informa di sé la sostanza del canto, qui non meno che altrove nellInferno. Sostenere che nel
limbo la mancanza di fede sia un semplice accessorio, vuol dire precludersi la possibilità di cogliere la poesia del canto nei
suoi motivi più profondi, nella sua tonalità più genuina. E vero che qui Dio non è visto, come in tutto il resto della prima
cantica, in una forma di intervento attivo, come giustizia vindice, riparatrice dei torti. Ma, nei sospiri che fanno tremare
laria, Egli è presente come un Bene irraggiungibile.Non diversamente, nella speculazione del maestro di color che sanno,
Aristotile, il Motore Primo, immobile nella sua perfezione, aveva rappresentato, per gli esseri, la direzione costante del loro
movimento.Il tono elegiaco di queste pagine ha qui la sua motivazione: in questa lontananza da Dio, non scelta, non voluta, ma
subita come un destino, nella imperscrutabilità dei suoi disegni, nella rinuncia ad interrogarli. Le anime del limbo, di fronte
al mistero, chinano la fronte, si raccolgono in un sommesso meditare.Sulle terzine iniziali in cui, per bocca del maestro,
Dante manifesta la sua angoscia per la sorte dei dannati, grava ancora la cupa atmosfera del canto precedente, ma poi via via
la sua parola si rasserena fino ad esaltarsi nella scena dellincontro con i quattro massimi poeti dellantichità e nella
celebrazione della grandezza umana. Grandezza insufficiente, perché non illuminata dalla Grazia, grandezza nobilmente accorata
per questa mancanza non sua, grandezza consapevole di aver operato rettamente nei limiti che le erano stati concessi. Si è
parlato per Dante di “umanesimo cristiano”, e certo in lui la fede non nega il sapere e lazione, come nelle forme più radicali
del pensiero dei mistici, ma anzi li integra e li consacra, conferendo loro una validità assoluta.Nel limbo, tuttavia, questo
momento umanistico, che ricollega il Dante della Commedia al Dante del Convivio, assertore entusiasta della superiorità
culturale dei Greci e dei Latini, ha una linea di sviluppo ancora prevalentemente decorativa. Il significato della grandezza
degli antichi non è approfondito oltre la presentazione, tuttaltro che fredda, ma sommaria e tradizionalmente atteggiata, del
tipo ideale del ” saggio”.Langoscia delle genti, che fa impallidire Virgilio allinizio del canto, rivela una più commossa
aderenza della parola al tema trattato che non la filosofica famiglia o il nobile castello.In questa seconda parte del canto,
dove una scenografia composita ed illustre rivive in particolari di fanciullesco candore (quasi ad alleviare, portandolo sul
piano delle nobili favole, un motivo di perplessità e di smarrimento, un tema destinato ad essere affrontato con più maturo
impegno in altri luoghi del poema), “ammirazione, riverenza, malinconia sono sentimenti accennati, ma non rappresentati ”
(Croce).Eppure, se teniamo conto che, come per la scena del traghetto delle anime nel canto precedente, anche qui il Poeta si è
ispirato allEneide, lepisodio dellincontro con i grandi dellantichità e la descrizione del nobile castello ci consentono di
rilevare alcune delle caratteristiche più avvincenti dellarte di Dante: ad esempio, rispetto alla solennità sorvegliatissima
del modello latino, unadesione più diretta e cordiale ai dati della leggenda, una familiarità più dimessa e fiduciosa nella
presentazione dei grandi nomi a lui cari, un entusiasmo per i valori della ragione che nessun dubbio ancora è riuscito ad
incrinare.
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