Riassunto
Una pioggia nauseabonda, mista a grandine e neve, tormenta i dannati del terzo cerchio: i golosi. Un cane
trifauce, Cerbero, li dilania senza tregua. Alla vista dei due poeti il mostro dà sfogo al suo furore, ma Virgilio non ha
esitazioni: getta nelle fameliche gole una manciata di fango e la belva, tutta intenta a divorarlo, si placa. Dante, con il
maestro, prosegue il suo cammino calpestando la sozza mistura di fango e ombre di peccatori, quando, allimprovviso, una di
esse, levatasi a sedere, si rivolge a lui esclamando: <>. Ma tanta è la sofferenza che ne
deforma i lineamenti, da non consentire al Poeta di ravvisare in essi una fisionomia a lui nota. Allora il dannato rivela il
suo nome, Ciacco, e profetizza, richiesto dal suo interlocutore, il prossimo trionfo in Firenze, covo di ingiustizie e di
odio, del partito dei Neri. Ad una precisa domanda del pellegrino Ciacco rivela che i grandi personaggi politici della Firenze
del passato scontano i loro peccati nel buio dellinferno. Terminato il suo dire, con unespressione che non ha più nulla di
umano, cade pesantemente a terra, in mezzo agli altri suoi compagni di pena. Virgilio, a questo punto, ricorda al suo discepolo
che Ciacco, al pari degli altri dannati, riavrà il suo corpo nel giorno del Giudizio Universale e che, dopo la risurrezione
della carne, le sofferenze dei reprobi aumenteranno dintensità. Giunti nel punto ove è il passaggio dal terzo al quarto
cerchio, i due viandanti simbattono nel demonio Pluto.
Introduzione critica
I canti quinto e sesto hanno
uno svolgimento narrativo sostanzialmente identico. Esso, per comodità di esposizione, può articolarsi in quattro momenti:
incontro col demonio posto a guardia del cerchio, descrizione del supplizio inflitto ai dannati (la bufera… che mai non resta
e la piova etterna), drammatico colloquio con uno di essi (Francesca, Ciacco), cui fa seguito la reazione del personaggio Dante
(nel quinto canto la perdita dei sensi alla vista del pianto di Paolo; nel sesto la domanda rivolta a Virgilio sullintensità
delle pene infernali dopo la risurrezione dei corpi). Ma le analogie non si fermano qui: almeno per i 24 versi iniziali del
canto dei lussuriosi anche lordito ritmico appare identico a quello del sesto canto: ogni terzina è un mondo a sé; si
sostituisce, più che subordinarsi, alla precedente; ne ripropone, al tempo stesso, forme, idee, inflessioni; ha, nella vis
espressiva, la sua prima ragione di essere; rifiuta lo sfumato, non meno di quei nessi sintattici che altrove strutturano la
robusta logica della Commedia e sono indici di una concezione che nel reale scorge, al di là del problema, la fermezza di un
ordine precostituito ed eterno (con felice intuito è stato visto nel ritmo ternario del poema quasi un equivalente dell
argomentare sillogistico). Nel canto di Paolo e Francesca questo rigore finiva tuttavia con lo stemperarsi nella partecipazione
affettiva di Dante, si colorava di pathos, di risonanze umanissime. Troviamo invece, lungo tutto larco del sesto canto, una
tenace insistenza sul tema dellinumano, del mostruoso, dellassurdo. La vita, proiettata nellal di là, sottratta al tempo che
ne costituiva il lievito, ci si mostra dapprima come spaesata, aperta a significati inconsueti; appare, ad una considerazione
immediata, irrazionale. Solo in un secondo tempo (nel Purgatorio e nel Paradiso: questultimo è tutta una glorificazione dell
ordine del creato) questa irrazionalità si svelerà come una razionalità più alta, abbacinante nel suo fulgore, insostenibile
per lintelletto non visitato dalla Grazia. Ma nelllnferno questa razionalità non appare ai nostri occhi ancora completamente
dispiegata.Nella prima parte del canto dei golosi lirrazionale, lassurdo, si esprimono nella figura di Cerbero. Già in
Caronte (colpiva in lui la rabbia immotivata, il suo mutismo nel trattare con le anime: per cenni come augel per suo richiamo),
e più ancora in Minosse (nel ringhio bestiale, nellatto di avvolgere la coda per significare la dannazione, nella sommarietà
del giudizio: dicono e odono, e poi son giù volte), cera stato un allontanamento dallumano, una progressione nel senso della
cecità spirituale. Ma queste figure serbavano, nellatto di rivolgersi a Dante, una certa solennità di eloquio, si servivano di
formule quasi rituali. La loro personalità derivava, proprio dal contrasto fra elementi ferini e umani, una compiuta armonia
sul piano dellarte. Cerbero è invece animalità allo stato puro, tanto più viva quanto più ottusa e demente (non avea membro
che tenesse fermo). Lo accomunano ai due guardiani precedenti soltanto i tratti ferini. Notiamo, tra laltro, la rispondenza e,
al tempo stesso, il divario, tra i versi che definiscono Minosse e quelli che ci mostrano Cerbero nellesercizio delle sue
funzioni: per fare un esempio, al verso – dicono e odono, e poi son giù volte – fa riscontro, nella raffigurazione del cane
trifauce, latto non più dellinquisitore, ma del carnefice – graffia li spiriti, scuoia e disquatra. Analogamente, se ci
volgiamo a considerare la descrizione delle pene inflitte rispettivamente ai lussuriosi ed ai golosi, quella dei lussuriosi ci
si presenta come nobilitata dallo scenario fosco e drammatico. ingentilita da similitudini che la riconducono nellambito di
una natura familiare. Nel sesto canto, invece, anche il paesaggio riflette il venir meno dello spirito, quel torpore dell
intelligenza che rende indimenticabile lapparizione di Cerbero: sotto la pioggia eterna le anime non si distinguono neppure
fisicamente le une dalle altre, rapprese come sono nel putrido fango che le macera.Dal canto suo, la figura del goloso che
predice a Dante lavvenire di Firenze, lungi dal contrastare col quadro in cui è inserita, denuncia, nel modo del suo apparire,
nella secchezza del suo discorso, nel suo spaventoso ricadere a par delli altri ciechi, la stessa opprimente tristezza che ha
lo spettacolo della pioggia, lo stesso desolato automatismo che presiede al manifestarsi del furore di Cerbero. Il Momigliano
ha indicato, nelle parole con cui Ciacco ricorda il mondo dei vivi, accanto alla malinconia, il malumore, una condizione dell
animo che appare dunque al limite fra il riflesso fisiologico e il sentimento cosciente. Ma le riserve da lui avanzate a
proposito della “parentesi politica”, che inserisce come una nota stridente “in questa personalità patetica sbozzata con una
sensibilità viva e sicura”, per cui il personaggio di Ciacco non risulterebbe bene scelto in rapporto alla profezia che il
Poeta gli fa pronunciare (perché, tra laltro, “non dimostra nessun interesse personale alla politica e ne parla solo per far
piacere a Dante”), gli impediscono di vedere come questo disinteresse sta invece una manifestazione del suo <> più
profondo, e rifletta latmosfera del canto nel suo complesso. Diversamente da quel che accade per le figure di primo piano
dellInferno, lespressione che sembra caratterizzare con maggior compiutezza quella di Ciacco si riferisce ad un atto che non
ha più nulla di umano: latto in cui egli “stravolge gli occhi, rimane un momento immobile, china la testa, poi ricade sul
suolo lastricato di ombre: come se morisse unaltra volta” (Momigliano). Ma le parole con cui Virgilio commenta luscita di
scena del personaggio ne collocano la figura sotto il crisma di una validità eterna, nella luce di una Potenza avvertita come
supremamente giusta.
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