Riassunto
Già prima di arrivare ai piedi della torre, i due poeti vedono accendersi sulla sua sommità due segnali
luminosi, ai quali, da molto lontano, appena percettibile, risponde un terzo. Ed ecco avvicinarsi sulla sua antica barca,
veloce al par di saetta, il custode della palude stigia, liroso Flegiàs, il quale, rivolto a Dante, grida: “Ti ho finalmente
in mio potere, anima malvagia!” Virgilio delude questa speranza del nocchiero infernale: egli e il suo discepolo non sono
venuti per rimanere nel cerchio degli iracondi, ma solo per attraversarlo. Mentre, sulla navicella di Flegiàs, i due solcano le
acque melmose, ecco farsi avanti uno dei dannati della palude, il fiorentino Filippo Argenti, che apostrofa sarcasticamente il
suo concittadino. Dante replica con espressioni di duro scherno, suscitando lammirazione di Virgilio che si compiace della
nobile ira del discepolo. Ma questi non è ancora contento: vuole vedere il suo borioso antagonista immerso nel fango.
Attraversato lo Stige, i due pellegrini sbarcano ai piedi delle mura di ferro rovente che cingono la città di Dite. Qui, più di
mille seguaci di Lucifero si oppongono minacciosi allingresso di colui che, ancora in vita, impunemente è entrato nel regno
dei morti.Il poeta latino esorta Dante a non perdersi danimo e si reca a parlamentare con i diavoli. Ma poco dopo ritorna con
i segni della sfiducia sul volto: la sua missione non è riuscita. Solo qualcuno più forte di lui potrà aprire la porta che
immette nei cerchi formanti il basso inferno.
Introduzione critica
Dante scrittore drammatico: lo scontro
frontale, da uomo a uomo, non è mai avvenuto nei primi sette canti. La drammaticità è già apparsa nel linguaggio, nei paesaggi
sconvolti e tempestosi, negli atteggiamenti monumentali o in movimento dei grandi mostri, dalle tre fiere a Caronte, Minosse,
Cerbero, Pluto, ma era una drammaticità subito bloccata: e nella nostra memoria sono rimasti enormi gesti fissati per l
eternità, gonfi della stessa eternità del male. Gli incontri di Dante con i dannati (Francesca, Ciacco) hanno avuto finora un
carattere colloquiale, e il dramma è rimasto allinterno di ciascuno, solo specchiandosi nel pellegrino che – viva presenza
dellumano, del tempo – porta nella cupa immutabilità di un male atemporale leccezione di un rinnovellato dolore umano.Ma nel
canto ottavo Dante trova per la prima volta nel dannato (Filippo Argenti) un antagonista, e nasce lo scontro violento, un
duello di parole che rischierebbe, se non ci fosse lintervento della ragione (Virgilio), di trascendere a vie di fatto.Qui la
drammaticità si dilata, investe tutti gli elementi della composizione, con precisa coerenza: il linguaggio si fa più teso,
pronto alle spezzature, vibrante; il paesaggio, la scena sono percorsi da misteriose, appena avvertibili presenze. Sul
ribollire iroso e a un tempo pigro (il torpore morale, laccidiosa tristezza delliracondia) della palude dello Stige, sulla
distesa buia a perdita docchio dove i dannati, per la prima volta in silenzio (lira è senza voce al suo parossismo), si
sbranano gli uni con gli altri in unorrida mischia nel fango, ha luogo, da posizioni elevate, da torri isolate di guardia, una
segnaletica militare che prelude al combattimento. Fiamme che saccendono, e da lontano qualcuno risponde. E subito, da grevi
sipari di fumo, rapidissimo sbuca lo scafo piccolo e leggiero di Flegiàs, colui che per irosa vendetta contro Apollo ne aveva
incendiato il tempio a Delfi, distruggendo in sé il rispetto per la divinità e causando così la propria rovina.Allo scontro fra
i simboli, fra Virgilio, ragione testimone della Grazia e portatrice della parola dordine di Dio, e i demoni, figurazioni
disumane del peccato, si affianca lo scontro fra gli uomini, Dante e i peccatori, da questi simboli guidati o fuorviati.Qui l
apparizione del dannato ha qualcosa di pauroso e di repulsivo (lArgenti è tutto grondante di fango), ma, pur nella sua
pesantezza, presenta una cupa aggressività (dinanzi mi si fece). E il battibecco divampa, concentrato, per la potenza ellittica
dellarte di Dante, in poche battute cariche di tutte le sfumature di una violenta rissa verbale: lincalzare dei monosillabi,
l “incipit” arrogante, la risposta che scatta crudele e secca, il dileggio spietato, la maledizione, lo smascheramento
cattivo. Risse verbali, battibecchi, contrasti: variati nei toni e nelle situazioni riempiono la Commedia, e sono segno dello
spirito violento di Dante e della sua epoca. Rissa verbale di strada o di palazzo, contrasto ad alto livello fra magnanimi
rivali politici o smargiassata triviale di béceri portano la vita nellal di là, o meglio annullano di colpo linferno,
sostituendo al nero e ai fuochi delloltretomba le vie di Firenze. Lira di Dante per lArgenti, che è stata ritenuta
eccessiva, non sufficientemente motivata, fino a dare limpressione di una non completa riuscita sul piano estetico, è invece
lira vendicativa – dove vendetta non è, come nota il Tommaseo, ultio, ma rivendicazione secondo giustizia – contro linsulto
che fa, alla ragione e alla misura delluomo, la pervicacia nella vuota, stolida, volgare arroganza, nella superbia senza
motivo e gonfia di sé, che non ha, né può avere, un solo momento di ripensamento, di meditazione, di umana ragionevolezza.
Dante si adira proprio di fronte ai pericoli morali nei quali lira può far incorrere; né dobbiamo dimenticare che loltretomba
dantesco vuol essere anzitutto la traduzione oggettiva, in simboli, personaggi, situazioni, di una problematica morale vissuta,
quasi un immenso involucro speculare in cui il poeta, luomo, veda ovunque riflesse le immagini ingigantite dei propri difetti
e delle proprie virtù. Alla motivazione morale si aggiunge, a rendere più aspro lo scontro, quella personale e storico-
politica. Filippo appartiene ad una famiglia a Dante nemica, ed egli la bollerà, dallalto del paradiso, per bocca del nobile
suo avo Cacciaguida, come oltracotata schiatta, feroce coi deboli, vile coi forti e coi ricchi, sorta di ceppo mediocre
(picciola gente).Ma nella Commedia il fatto individuale tende sempre a chiarirsi in un giudizio e qui, fra laltro, si
legittima nellosservazione solo in apparenza pleonastica ed esornativa: quanti si tengon or là su gran regi … Dante gode
dello strazio che i compagni di pena fanno dellArgenti; in esso egli può vedere un esempio della sorte riservata dalla
giustizia divina ai superbi. Dietro lArgenti si schiera così tutto un gruppo, una categoria umana, e da ciò la figura del
dannato acquista una dimensione significante che la riscatta da ogni sospetto di diminuzione individualistica e
aneddotica.Nella seconda parte del canto la drammaticità si continua nel paesaggio, con la città di ferro incandescente e le
torri diaboliche, somiglianti ai minareti degli infedeli. Davanti alla fortezza del male, agli stormi delle sue fulminee,
innumerabili sentinelle precipitate dallalto, alla malizia che qui, in Dite, rende più complesse, intricate e perverse le
passioni che vi sono punite, si ripropongono, come nei primi canti, ma con maggiore maturità artistica, il dubbio, la
perplessità del pellegrino.Neppure la ragione (Virgilio) ha potere contro il peccato di malizia: il canto si chiude su una nota
di religiosa aspettazione.
- 200 e 300
- Riassunto e Critica Inferno
- Dante
- Letteratura Italiana - 200 e 300