Riassunto
Per evitare la pioggia di fiamme i due pellegrini avanzano su uno degli argini del
fiumicello che attraversa il terzo girone e simbattono in una schiera di anime di dannati, uno dei quali afferra Dante per il
lembo della veste e manifesta la propria meraviglia nel vederlo in quel luogo.
Il Poeta lo riconosce, nonostante abbia il
volto devastato dal fuoco: Brunetto Latini, il suo maestro, che esprime il desiderio di affiancarsi a lui nel
cammino.
Nessuno, infatti, dei violenti contro natura può interrompere il proprio andare: chi infrange questa legge è poi
condannato a giacere cento anni sotto la pioggia di fuoco senza poter scuotere da sé le fiamme che lo colpiscono. Dante
continua pertanto a camminare sullargine e riceve da Brunetto la predizione della sorte che il futuro gli riserva: “Se rimani
fedele ai principii che hanno fin qui ispirato le tue azioni, la tua opera ti darà la gloria “. Poi il discorso cade su Firenze
e la faziosità dei Fiorentini, in massima parte discendenti dai rozzi abitanti di Fiesole, avari, invidiosi, superbi.
Sia
luno sia laltro Partito in cui la città è divisa – aggiunge Brunetto – cercherà di avere Dante in suo potere, ma non riuscirà
in questo intento. Il Poeta a sua volta tesse lelogio del suo maestro, dal quale ha appreso come luomo ottiene gloria fra i
posteri, e dichiara che questa profezia, come quella di un altro spirito, Farinata, verrà sottoposta allinterpretazione di
Beatrice. Per il resto si dice pronto a far fronte ai colpi del destino. Pregato dal Poeta, Brunetto nomina alcuni fra gli
spiriti condannati alla sua stessa pena, quindi si accommiata, raccomandandogli la sua opera maggiore, il Tesoro, attraverso la
quale sopravviverà nel ricordo degli uomini.
Introduzione critica
Nel colloquio di Dante con Ciacco
il tema di Firenze si affaccia per la prima volta nella Commedia accentrato intorno a quelli che ne saranno poi i motivi
fondamentali: la discordia fra i cittadini, il prevalere della faziosità sulla giustizia, dellaffarismo sullonestà sobria
delle antiche generazioni. Ivi è proposto anche il tema, ad esso complementare, del contrasto fra valutazione ” laica ” della
figura delluomo politico e valutazione del credente. Da Ciacco Dante apprende che Farinata, il Tegghiaio, Jacopo Rusticucci e
gli altri Fiorentini che operarono per il bene della patria si trovano tra lanime più nere. Agli occhi di Dio luomo non si
identifica quindi con il cittadino: le sole virtù civiche sono insufficienti a redimerlo. I
l tema politico si ripropone
nellepisodio di Farinata e in quello di Pier delle Vigne: uomini politici entrambi, entrambi ghibellini, essi riscuotono l
ammirata approvazione del Poeta per il disinteresse con cui hanno servito i loro ideali in terra, ma lo lasciano dolorosamente
perplesso a causa della loro insensibilità ai valori proposti alluomo da Dio.
Il tema politico e quello del dissidio fra
agire umano e sua insufficiente legittimazione etico-religiosa culminano nei canti quindicesimo e sedicesimo dellInferno. Qui
la parola del Poeta investe in pieno gli eventi della storia di Firenze che lo hanno veduto testimone e protagonista,
trasfigurandoli in una sorta di appassionata e simbolica autobiografia, mentre propone, al tempo stesso, alla nostra
meditazione il dolore dei dannati, lesempio di uomini illustri resi irriconoscibili dai segni della collera divina.
Se
infatti lo sfondo ideale, nostalgico, lancinante nel ricordo, degli incontri di Dante con Brunetto Latini e con alcuni dei più
cospicui esponenti del partito guelfo in Firenze è Firenze stessa – la terra prava che induce il Poeta ad esprimersi nei modi
immaginosi e solenni dei profeti dIsraele – lo sfondo reale, testimonianza incontrovertibile della miseria di queste grandi
anime, è il sabbione infuocato, la pioggia sterile che le percuote. Al motivo profetico e a quello della gloria terrena dell
uomo che setterna attraverso il ben far e sopravvive oltre la morte, nella propria opera – sieti raccomandato il mio Tesoro –
si accompagna come costante sottinteso quello della colpa umana, che solo la fede e il rispetto, ad essa conseguente, dell
ordine naturale, possono riscattare.
I critici hanno variamente cercato di interpretare la contraddizione, così stridente
per noi nel canto quindicesimo dellInferno, fra la condanna che Dante, in veste di teologo e di moralista, infligge al suo
vecchio maestro Brunetto Latini e laureola di dignitosa fermezza di cui la sua poesia circonda questa figura. Il Pézard, ad
esempio, ha creduto di eliminare le ragioni del nostro disagio avanzando addirittura lipotesi, sostenuta da una ricca
documentazione, che nel terzo girone le anime condannate a camminare eternamente sotto la pioggia di fuoco non siano quelle dei
sodomiti, ma quelle dei “violenti contro le arti liberali”. Altri, come il Pasquazi, hanno cercato di cogliere il rapporto che
legherebbe, nellepisodio di Brunetto e in quello dei tre Fiorentini del canto successivo, lo splendore delle virtù civili di
queste anime al vizio che alimentarono in segreto. I termini di questa contrapposizione sembrano inconciliabili, ma il Pasquazi
ritiene che, nella visione rigorosamente orientata verso la trascendenza che fu quella del Poeta dopo il momento “laico”
rappresentato dal Convivio e dalla sua partecipazione alla vita politica di Firenze, “autosufficienza civile e sodomia
dovettero apparire a Dante come aspetti… di una medesima realtà”, in quanto espressioni, sia luna che laltra, del peccato
di superbia. “Proprio perché il suo viaggio doveva servire a collocare lui nella verità, e ogni uomo con lui, era necessario
che quel fallace modo di virtù civile, di autosufficienza morale e di perfezione culturale fosse condotto alle… forme del suo
più profondo squallore, della sua più significativa deformità. La superbia poteva piacergli; ma la constatata riduzione della
superbia alla sodomia lo doveva guarire.” In altre parole: al fondo del peccato dei grandi guelfi fiorentini che incontra in
questo girone, Dante intravede, portata allassurdo e rovesciata nel grottesco, la stessa sprezzante affermazione di
autosufficienza che aveva indotto Farinata nel peccato di eresia.
Nella misura in cui oltrepassano lambito delle
interpretazioni tradizionali e ci suggeriscono un modo più approfondito di interrogare il testo del poema, le tesi del Pézard e
del Pasquazi sono ricche dinteresse, ma non appaiono senzaltro determinanti ai fini di un giudizio sulla poesia dei canti
quindicesimo e sedicesimo nel loro complesso, e dellepisodio di Brunetto Latini in particolare. Essa, come ha rilevato il
Bosco, consiste proprio “nel contrasto tra lausterità morale di Brunetto e la miseria del suo peccato, tra la debolezza di cui
questo è testimonianza, e la fortezza danimo che il suo discorso e quello tonalmente concorde del suo discepolo rivelano”
Brunetto Latini non è un personaggio complesso come Francesca o Farinata; in lui questo contrasto si manifesta nei modi di un
delicato riserbo, senza mai prorompere in una formulazione esplicita. Dante ce lo presenta come un maestro e con laltro
maestro, Virgilio, Brunetto ha in comune la fondamentale mestízia, il tono elegiaco di chi, avendo sempre perseguito la verità
e il bene, sa di esserne rimasto lontano, non meno che la nobile fermezza nelladditare al discepolo il doloroso cammino della
rettitudine. Ma, mentre nel personaggio di Virgilio questi sentimenti si caricano sempre delle allusioni simboliche richieste
dalla sua funzione di guida razionale, in Brunetto essi sono rappresentati nella loro più viva immediatezza. Lo splendore della
profezia basata qui, più che negli episodi di Ciacco e di Farinata, su un fitto intrecciarsi di metafore, non riesce ad
offuscare la cordiale familiarità, la nostalgia semplice delle sue parole.
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