Riassunto
Nella prima zona del nono cerchio (la Caina), confitti nel ghiaccio
fino al collo si trovano i traditori dei congiunti. Due di essi appaiono a tal punto vicini che i loro capelli si confondono:
sono i fratelli Napoleone ed Alessandro degli Alberti che lodio di parte e motivi dinteresse inimicarono a tal punto da
portarli ad uccidersi lun laltro.
Nella seconda zona, detta Antenora, nella quale sono puniti i traditori della patria,
Dante colpisce col piede una delle teste che emergono dalla superficie ghiacciata. Il dannato chiede con asprezza il motivo di
tanta crudeltà: « Se non lo fai a ragion veduta, al fine di accrescere la punizione inflittami a causa di Montaperti, perché
infierisci contro di me? » A tali parole Dante domanda al peccatore di rivelargli il suo nome e gli promette, in cambio, fama
tra i vivi. Ma è desiderio del traditore proprio quello di non essere ricordato, per cui intima duramente al Poeta di non
importunarlo. Dante allora, afferratolo per i capelli, gliene strappa diverse ciocche, senza che per questo il dannato
acconsenta a dichiarare il proprio nome. E un suo compagno di pena che appaga il desiderio del pellegrino: il traditore è
Bocca degli Abati, colui che a Montaperti recise con un colpo di spada la mano del portainsegna della cavalleria
fiorentina.
Allontanatisi da Bocca, i poeti scorgono due dannati confitti in una medesima buca, in modo che la testa di uno
sovrasta, come cappello, quella dellaltro. A colui che rode, come per fame, il cranio del suo compagno di pena, Dante rivolge
la preghiera di manifestare la causa di un accanimento così disumano, promettendo che, tornato nel mondo dei vivi, rivelerà il
misfatto resosi a tal punto meritevole di odio.
Introduzione critica
Oltre che nellalto e nel medio
inferno, neppure in Malebolge la ferma adesione dellanimo di Dante alla misura della giustizia divina era mai andata disgiunta
da una sorta di dolente, ammirato stupore per i traguardi che la natura umana aveva saputo talvolta raggiungere in sfere in cui
si era, peccaminosamente, proposta come autonoma ed autosufficiente. Anche le più abiette fra le anime del cerchio ottavo
risultano poeticamente vive proprio in virtù del fatto che la condanna non le livella in una indifferenziata negatività, ma fa
brillare in ciascuna di esse, diversamente riflesso, il rimpianto per una gerarchia di valori alla quale non è loro più
consentito tendere. Tale rimpianto – tanto più acuto, quanto più viva è nel peccatore la coscienza della propria colpa – rende
dolorosamente problematiche, pur nella fermezza dellinsegnamento che da esse ci viene, le apparizioni di questi esseri
sottratti, nellimmutabilità di un presente infinito, alla possibilità di riscattare i loro errori. Come ha ben veduto il
Montanari, essendo vive le figure dellinferno “in forza della tensione spirituale che sorge dalla intuizione teologica del
contrasto tra la magnificenza naturale e la sua insufficienza alla salvezza eterna”, la poesia della prima cantica «nasce non
da una tranquilla esposizione catechetica, ma… dallaccettazione di un dramma che resta teoreticamente irrisolto quando sia
accettato non dal punto di vista universale, ma dal punto di vista della concreta individua persona umana».
In presenza dei
traditori la disponibilità dellanimo di Dante ad accogliere nella loro complessità angosciosa le voci dellumano errore –
riconoscendo in ciascuna di esse se non altro un tremito di inespressa verità, un accento di sincero dolore per il male
compiuto, un fugace ridestarsi della coscienza immersa nelle tenebre – appare notevolmente e, fin dai primi versi del canto
XXXII, programmaticamente, limitata. Lattenzione volta al dato espressivo in quanto tale – considerato nella sua astratta
tecnicità (sio avessi le rime aspre e chiocce) – preannuncia infatti il totale, freddo distacco del Poeta di fronte alla
sofferenza di queste anime. Tale attenzione viene esplicitamente manifestata nel proposito di trovare termini che si addicano
al tristo buco, sul quale – assunto a simbolo di insensibilità ai valori morali – grava il peso di tutta la materia del mondo.
Le rocce che su di esso puntan prefigurano la durezza del vincolo che lega le anime dei traditori al loro peccato, la loro
irriducibilità al rimorso, alla dialettica che definisce lo spirito in quanto superamento del già compiuto – perché
necessariamente imperfetto – in quanto insaziato protendersi verso una perfezione che non è attuale (proiettata nel futuro dai
vivi, in un passato che avrebbe potuto essere diverso dai dannati).
Fino allultima bolgia dellottavo cerchio la condanna
espressa dal Poeta nei confronti dei peccatori – ove non si ampliava in una dolorosa considerazione dei motivi che conducono
luomo a peccare – si era manifestata in motti recisi dai quali emergeva una presa di posizione morale, una prontezza di
reagire dellintelletto volto al bene contro le insidie dellintelletto sviato. Basti pensare alla conclusione che Dante sa
trarre, con il rigore di una deduzione sillogistica, dalla dolorosa presentazione che di sé fa Mosca dei Lamberti; e morte di
tua schiatta rappresenta il colpo di grazia che degrada – senza peraltro privarla di una sua tragica statura – questo
personaggio da essere capace di esprimersi ad essere chiuso alla parola e alla ragione, a persona trista e matta. Ma i
traditori per Dante rappresentano – a differenza dei dannati dei cerchi superiori – lassoluta identificazione della persona
viva con la categoria del peccato, la chiusura completa dell « io » nellisolamento dai suoi simili, nel ripudio delle leggi
che emanano da Dio. Con essi nessun dialogo – nemmeno se condotto sul tono di unaspra requisitoria, di unimpietosa polemica –
risulta plausibile: dove ogni residuo di coscienza appare sommerso in una inoperante negazione, in una fedeltà al male compiuto
che non ha più nulla di umano, ogni forma di intelligente proposizione di valori, ogni senso delle sfumature vengono da parte
del Poeta deliberatamente abbandonati. Alla battuta recisa che nettamente definiva, in termini di opposizione etica ed
intellettuale, gli scontri verbali del Poeta con le anime use a malizia di Malebolge, subentra nel nono cerchio, sia da parte
di Dante che dei suoi antagonisti, il gesto impulsivo, la carica dodio incurante di legittimarsi esplicitamente sul piano
della ragione. Dante dà per scontato che i traditori meritano solo questodio, non lanalisi dei motivi che li indussero a
tradire, non il risveglio – doloroso ma nobilitante – in essi, della coscienza. Tale è il significato dellepisodio che con
maggior forza simpone alla nostra attenzione nel canto XXXII (quello di Bocca degli Abati), tale è anche il significato della
scelta lessicale e stilistica dal Poeta operata in questo canto. Alla pittura di anime che il rimorso implacabilmente devasta,
alla presentazione di situazioni incentrate su una problematica etica fortemente individualizzata, si sostituisce qui un atto
daccusa che coinvolge i traditori considerati, nel loro insieme, assai più come classe degradata (plebe) che come individui in
grado di giustificare – sia pure con argomenti fallaci o capziosi – le loro azioni, unironia spessa ed opaca (passeggiando tra
le teste), una crudeltà allucinante e fredda (il “cozzo” di Napoleone ed Alessandro degli Alberti, paragonati nella loro
immobilità a “spranghe”, nel loro destarsi al movimento a becchi), in cui lanimus comico e realistico di Dante trova le sue
espressioni più impenetrabili e dure.
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- Letteratura Italiana - 200 e 300