Riassunto
Dante e Virgilio entrano nella quarta zona di
Cocito, chiamata Giudecca, dove soffrono coloro che tradirono i loro benefattori.
Qui nessuna delle anime dannate parla,
nessuna e identificata: imprigionate totalmente nel ghiaccio, si possono appena intravedere, immobili nelle più diverse
posizioni: supine, ritte in piedi, capovolte, piegate ad arco. Nellaria opaca che grava sulla palude gelata comincia a
delinearsi unenorme sagoma, come un mulino le cui pale girino nel vento: è la mole gigantesca di Lucifero piantato fino a
mezzo il petto nella palude.
Il re dellinferno ha tre facce, quella anteriore è rossa, quella sinistra è nera e quella
destra è gialla; le tre bocche maciullano senza posa tre peccatori, che tradirono le due supreme autorità, la spirituale e la
temporale: Giuda, Bruto e Cassio; Giuda, per maggiore tormento, è straziato di continuo dagli artigli del mostro. Agitando le
sue tre paia dali di pipistrello Lucifero genera il vento che fa ghiacciare Cocito.
Ormai i due poeti hanno visto tutto l
inferno ed è tempo di uscire; Dante si avvinghia al collo di Virgilio che scende aggrappandosi ai peli di Lucifero nello spazio
tra il corpo villoso di Satana e il ghiaccio che lo imprigiona. Giunto al centro del corpo del mostro (corrispondente al centro
della terra) Virgilio si capovolge e prosegue con il suo discepolo attraverso una stretta galleria, mentre Dante gli chiede
alcune spiegazioni, finché giungono alla superficie della terra.
Introduzione critica
Dopo la tensione
altissima del dramma del conte Ugolino e il “furore biblico” dellinvettiva contro Pisa, il canto precedente si chiudeva in
tono minore, calando gradualmente dallo sdegno violento al disprezzo beffardo dellinvettiva contro i Genovesi. Di questo tono
minore partecipa anche lultimo canto dellInferno, con il quale Dante sigilla il primo tempo della “meditazione trinitaria”
intorno alla realtà spirituale delluomo (non essendo i tre regni altro che fasi di un solo processo di caduta e di redenzione)
e, nel finale, prepara il lettore alla dolce visione della marina del purgatorio. Il canto trova la sua unità attorno alla
figura mostruosa di Lucifero, che domina e soverchia ogni altra immagine e la sua comparsa, già misteriosamente preannunciata
nel canto XXXIII (versi 100-105), è preparata con sapienza. La solennità del verso latino iniziale – vexilla regis prodeunt
inferni – infonde quasi un senso di religioso orrore, mentre la massa bruta del mostro “viene innanzi lentamente attraverso l
atmosfera scura e lontana, con lineamenti prima indefiniti, e domina paurosamente sulla squallida distesa…”
(Momigliano).
Il pellegrino, che di cerchio in cerchio aveva sperimentato, giudicato, combattuto il mondo del peccato,
accosta faticosamente il simbolo del male in un orizzonte cupo e grigio, dove si dissolvono tutti i più violenti colori del
mondo infernale (che erano pur sempre emblemi di vita, anche se di una vita dannata), in un silenzio dove tutte le grida di
dolore o di maledizione che lo hanno accompagnato, restano imprigionate nel ghiaccio.
Lo sfondo non potrebbe essere
architettato con maggiore efficacia, ma quando la figura di Lucifero si avvicina e si precisa, Dante, dopo averlo sbozzato con
un tratto potente (lo mperador del doloroso regno da mezzo il petto uscìa fuor della ghiaccia), si affanna impacciato, cerca
approssimative precisazioni, usa iperboli ed esclamazioni. Proprio per questo numerosi commentatori negano la poeticità del più
gigantesco personaggio dellInferno. Secondo il Grabber “il colossale in Lucifero non raggiunge un vigore poetico adeguato”
perché la sua figura “è costruita con un ritmo piuttosto faticoso e frammentario”. Il Romani ritiene che “questo mostro immane,
con linutile corpaccio morto, non vale neppur uno di quei suoi ministri, pieni di maliziosa gaiezza i quali portano la viva
luce del comico sulla sudicia bolgia dei barattieri “.
Tuttavia lapparizione di Lucifero è sconcertante e grandiosa e ci
riporta allíconografia di tanti affreschi e mosaici medievali, in cui lo sforzo di rappresentare il simbolo vivente del male
libera la fantasia dellartista da ogni freno immergendola nel mondo dellorrido. Anche se non si può negare che Dante abbia
conosciuto molte tradizioni iconografiche letterarie e figurative, nella costruzione di Lucifero, nella sua struttura che
poggia su salde basi dottrinali è evidente un senso di equilibrio e di misura, il quale ha impedito ogni esasperazione
grottesca che poteva sconfinare nellingenuità o tradursi nel virtuosismo. E quindi giusto riconoscere la prodigiosa
originalità di questa creazione che nella fantasia del Poeta vuole essere “il bestiale contrapposto della Trinità… la sintesi
morale e pittorica della perversione morale e fisica del regno del male” (Momigliano). Preparato già nel primo canto, dove le
tre belve sono “una demoniaca processione di una Trinità inferna, una sostanza in tre persone, luna dallaltra procedendo,
dalla Cupidigia la Violenza, e dalla Cupidigia e dalla Violenza insieme linvidiosa Frode, lamor del Male” (Apollonio), l
emblema della trinità demoniaca “che capovolge nel Male le aspirazioni del Bene, e irrigidisce nellamor di sé il richiamo
dellamor divino… opera nella prima cantica, giù giù traboccando dal triforme Cerbero al triforme Gerione al triforme
Lucifero”, finché quelle “aspirazioni” attraverso il centro della terra saliranno verso la Trinità divina (“sintende molto
facilmente che le tre facce di Lucifero sono in antitesi con i tre cerchi di tre colori che il Poeta poi ci dirà di aver
veduti in Dio” secondo laffermazione del Pietrobono che si riporta ai versi 115120 del canto XXXIII del Paradiso).
Dante
rappresenta Satana quale un immenso ammasso di materia quasi inerte, perché questa, secondo la filosofia scolastica, essendo
pura potenza, passività quasi assoluta, si avvicina di più al non essere, al nulla. “Il riassunto di tutti i mali dinferno è
là, in quella montagna di materia torpida, la fonte di tutto il pianto del mondo è là, in quel gigante che piange con sei
occhi, grottescamente, la suggestione precipite delle tre Bestie si spenge in quelle tre Facce, la superbia negatrice di
Farinata si addormenta gelida e tetra in quel mostro che da mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia, la monotonia dei tormenti
infernali, eterni, si ripete nel gesto monotono con cui dirompe coi denti, a guisa di maciulla, un peccatore…” (Apollonio)
Poiché Lucifero è la «Trinità inferna”, di fronte a questo abisso del male la parola non riesce più ad esprimere: l
impotenza a dire del Poeta ha anche questo significato. E il silenzio di Lucifero e dei dannati della Giudecca (anche Bruto si
storce e non fa motto), la mancanza di ogni dialogo, lassoluta indifferenza segnano il distacco definitivo di Dante dal male
dopo la lunga meditazione sul peccato: … oramai è da partir che tutto avem veduto (versi 68-69).
Nel finale (versi 127-
139) latmosfera infernale ormai si sta dissolvendo, la terra partecipa più animatamente alle vicende spirituali. Il viaggio
viene consumato in silenzio, ma collaccompagnamento discreto di quel ruscelletto che discende in basso. Anche il linguaggio
del Poeta muta stile e accento, preludio alla dolcezza dellalba sulla spiaggia dellantipurgatorio.
- 200 e 300
- Riassunto e Critica Inferno
- Dante
- Letteratura Italiana - 200 e 300