Come detto, l’essenza della coscienza è durata reale, continuo sviluppo in cui i diversi stati coscienziali si fondono, l’uno nell’altro ‘ come cristalli di neve al contatto prolungato della mano ‘. Però noi siamo irresistibilmente portati ad una concezione spazializzata del tempo, in cui i diversi istanti e i diversi segmenti temporali si contrappongono gli uni agli altri come se si collocassero su una immaginaria linea geometrica: ma perchò accade questo? Perchò abbiamo difficoltà a penetrare la nostra durata interiore? Bergson sostiene che per rispondere a questo dobbiamo tener presente che possiamo conoscere un oggetto in due modi: in primis, lo possiamo conoscere dall’esterno, descrivendone i singoli caratteri e avvalendoci di simboli per rappresentarli, così come di una città possiamo scattare molte fotografie parziali e cercare poi di ricostruirne l’insieme combinando le diverse immagini ottenute. In altre parole, possiamo analizzare l’oggetto, per ricomporre poi sinteticamente i diversi aspetti cui si è giunti tramite il procedimento analitico. Questo è il modo di procedere dell’ intelligenza. Oppure possiamo anche cogliere l’oggetto dal di dentro e raggiungere la sua intima essenza compiendo un atto di identificazione simpatetica con esso e rinunciando ad ogni rappresentazione parziale o simbolica. In questo modo l’oggetto non viene ricostruito tramite la contrapposizione delle sue parti, ma viene colto immediatamente nella sua totalità . Questo avviene, per esempio, quando, invece di ricomporre l’immagine di una città tramite le fotografie dei suoi diversi aspetti, la conosco per esperienza diretta, vivendo in essa, percorrendone effettivamente le strade e sentendone pulsare la vita. Questa seconda forma di conoscenza non è più l’intelligenza, ma è l’ intuizione. E’ evidente che solo l’intuizione assolve completamente alla funzione conoscitiva, dal momento che solo essa consente di conoscere la realtà come essa è per davvero: solo con l’intuizione, per esempio, ci si può addentrare dal di dentro nella vita della coscienza e carpirla nella totalità e nella continuità del suo sviluppo, come durata reale. Grazie all’intuizione è dunque possibile riscoprire la validità della metafisica, messa in discussione da parecchi pensatori: la metafisica viene intesa come scienza assoluta del reale: la crisi della metafisica, salutata a gran voce da empiristi e razionalisti, è imputabile esclusivamente al fatto che gli uni e gli altri hanno analizzato, sebbene in modi diversi, l’oggetto metafisico con le procedure dell’intelligenza, invece di limitarsi a coglierlo con un atto d’intuizione. La capacità conoscitiva dell’intelligenza risulta invece limitata: le rappresentazioni statiche e parziali di cui essa si avvale consentono una conoscenza solo ‘relativa’; in essa non si coglie l’unità assoluta dell’oggetto, ma si dà nozione esclusivamente del rapporto che intercorre tra i differenti aspetti della realtà , precedentemente isolati gli uni dagli altri e irrigiditi nella loro astrazione. Questo tipo di conoscenza però, se sembra metodologicamente insufficiente dal punto di vista teoretico, svolge invece adeguatamente la ‘funzione pratica’ dell’orientamento dell’azione umano. Esso esprime la metodologia tipica della scienza che, in modo errato, i positivisti hanno considerato come sapere teoretico, anzichò una forma di conoscenza tecnica rivolta all’azione. Operare nel mondo vuol dire attivare un processo di adattamento del soggetto alla situazione oggettiva presente, la quale è sempre una realtà materiale, ossia un agglomerato di immagini che spetta appunto all’uomo selezionare, in modo tale da potersi più facilmente adattare ad esse. Ma la materia è estensione, insieme di cose ( o di ‘immagini’) congiunte da rapporti spaziali, le quali sembrano entità statiche ed immobili. Per operare sulle cose sarà dunque necessario avere dei punti di riferimento altrettanto statici e fissi, collocabili in una determinata regione dello spazio, che permetta di distinguerli da tutti gli altri in maniera inconfondibile, chiara e distinta. Sarà dunque assolutamente necessario pensare in termini spaziali: occorrerà spezzare il flusso della vita reale in una miriade di segmenti immobili, proprio come succede nelle pellicole cinematografiche, in cui il movimento viene spezzettato nei singoli fotogrammi, cioò in una miriade di immagine statiche contrapposte in una sequenza spaziale. Inoltre la scienza, in piena armonia con il suo carattere pratico e non teoretico, ha la mansione di prevedere gli avvenimenti futuri servendosi di quelli passati, in modo tale da poter meglio orientare l’azione di adattamento da parte dell’uomo. Ma la previsione comporta l’omogeneità tra passato e futuro, ossia implica la necessità di considerare tempi e cose future privandole della specificità qualitativa che deriva da una loro considerazione all’interno della durata reale: oltre che spazializzato, il tempo dovrà quindi anche essere reso omogeneo, in modo tale da poter essere sottoposto a misurazione matematica. L’alterazione che la scienza attua sul proprio oggetto rispetto alla metafisica, che invece lo coglie nella sia intima essenza, non è quindi sbagliata o gratuita: essa è necessariamente motivata dal carattere pratico-operativo del sapere scientifico, il quale esula dalla sfera teorica. La contrapposizione messa in atto da Bergson tra intuizione e metafisica, da una parte, e intelligenza e scienza dall’altra parte, non vuol essere infatti una pura e semplice svalutazione delle seconde di fronte alle prime: Bergson stesso fa presente che ‘ prima di speculare si deve vivere ‘; prima che homo sapiens, l’essere umano è homo faber. L’esigenza fondamentale della vita è di rispondere di continuo alle sollecitazioni che provengono dalla realtà materiale, dando ad essa risposte adeguate. Ma questo è attuabile solo facendo ricorso ad un’intelligenza e ad una scienza operanti con le stesse categorie che definiscono la materia. Si può quindi parlare di errore solo quando queste categorie vengono trasferite dal piano operativo a quello teoretico, pretendendo che attraverso di esse si possa anche ‘conoscere’ la realtà . La realtà è attingibile solo tramite lo strumento della metafisica: l’intuizione. Ma dato che, proprio per via della priorità del vivere sullo speculare, l’uomo è incatenato agli schemi mentali del sapere scientifico, egli tende per inclinazione naturale ad applicarli anche alla realtà ultima, spazializzando il tempo e frammentando lo svolgimento continuo della durata in una miriade di stati immobili. L’errore non sta nei procedimenti dell’intelligenza in quanto tali, ma nella loro applicazione ad ambiti e finalità che non sono di loro competenza. Il ricorso all’intuizione per cogliere la realtà è inoltre reso più difficile dal fatto che esso implica la rinuncia a due strumenti, strettamente congiunti con il sapere scientifico-intellettuale, che erroneamente reputiamo indispensabili condizioni della conoscenza: la concettualizzazione e il linguaggio. I concetti infatti non sono che i simboli di cui ci avvaliamo per indicare i pezzi della realtà astratti dal flusso vitale tramite il procedimento dell’analisi intellettuale, così come le parole sono i simboli fonetici con cui li comunichiamo agli altri. Ma concetti e parole comportano necessariamente la frammentazione, la spazializzazione e, quindi, la distorsione della realtà che, nell’unità assoluta della durata reale, non può nò essere nò concettualizzata nò espressa in termini linguistici. E’ ovvio che anche il filosofo non può fornire l’intuizione a chi ne sia sprovvisto. Egli non può far altro che suggerire percorsi che portino all’intuizione, avvalendosi non tanto di concetti (legati all’intelligenza), quanto di immagini e di metafore. Spesso immaginifico e metaforico, degno del Nobel che gli fu assegnato, è d’altronde lo stile espressivo di Bergson.
- 1900
- Filosofia - 1900