Introduzione - Studentville

Introduzione

Introduzione al pensiero.

IL DENARO – “Il denaro, in quanto possiede la proprietà  di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, ò dunque l’ oggetto in senso eminente. L’universalità  della sua proprietà  costituisce l’onnipotenza del suo essere, esso ò considerato, quindi come ente onnipotente… Il denaro ò il mediatore fra il bisogno e l’oggetto, fra la vita e il mezzo di vita dell’uomo. Ma ciò che media a me la mia vita mi media anche l’esistenza degli altri uomini. Per me ò questo l’altro uomo. (—) Tanto grande ò la mia forza quanto grande ò la forza del denaro. Le proprietà  del denaro sono mie, di me suo possessore: le sue proprietà  e forze essenziali. Ciò ch’io sono e posso non ò dunque affatto determinato dalla mia individualità . Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella fra le donne. Dunque non sono brutto, in quanto l’effetto della bruttezza, il suo potere scoraggiante, ò annullato dal denaro. Io sono, come individuo storpio, ma il denaro mi dà  24 gambe: non sono dunque storpio. Io sono un uomo malvagio, infame, senza coscienza, senza ingegno, ma il denaro ò onorato, dunque lo ò anche il suo possessore. Il denaro ò il più grande dei beni, dunque il suo possessore ò buono: il denaro mi dispensa dalla pena di esser disonesto, io sono, dunque, considerato onesto; io sono stupido, ma il denaro ò la vera intelligenza di ogni cosa: come potrebbe essere stupido il suo possessore? Inoltre questo può comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non ò egli più intelligente dell’uomo intelligente? Io, che mediante il denaro posso tutto ciò che un cuore umano desidera, non possiedo io tutti i poteri umani? Il mio denaro non tramuta tutte le mie deficienze nel loro contrario? (—) Poichò il denaro, in quanto concetto esistente e attuale del valore, confonde e scambia tutte le cose, esso costituisce la generale confusione e inversione di ogni cosa, dunque il mondo sovvertito, la confusione e inversione di tutte le qualità  naturali e umane. (—) Il denaro, questa astrazione vuota ed estraniata della proprietà , ò stato fatto signore del mondo. L’uomo ha cessato di essere schiavo dell’uomo ed ò diventato schiavo della cosa; il capovolgimento dei rapporti umani ò compiuto; la servitù del moderno mondo di trafficanti, la venalità  giunta a perfezione e divenuta universale ò più disumana e più comprensiva della servitù della gleba dell’era feudale; la prostituzione ò più immorale, più bestiale dello ius primae noctis. La dissoluzione dell’umanità  in una massa di atomi isolati, che si respingono a vicenda, ò già  in sò l’annientamento di tutti gli interessi corporativi, nazionali e particolari ed ò l’ultimo stadio necessario verso la libera autounificazione dell’umanità “. (MARX e ENGELS dai MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI DEL 1844 e da altre opere) DA DOVE NASCE LA RICCHEZZA? – “Il lavoro non ò la fonte di ogni ricchezza. La natura ò la fonte dei valori d’uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che a sua volta, ò soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana. I borghesi hanno i loro buoni motivi per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perchò dalle condizioni naturali del lavoro ne consegue che l’uomo, non ha altra proprietà  all’infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di società , e di civiltà , lo schiavo di quegli uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col loro permesso, e quindi può vivere solo col loro permesso. “. (dalla CRITICA AL PROGRAMMA DI GOTHA – 1875) LA STORIA UMANA – “La storia di ogni società  sinora esistita ò storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressi ed oppressori sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società  o con la rovina comune delle classi in lotta. “. (Marx-Engels, MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA – 1848) LE IDEE E CIO’ CHE SIAMO: IL MATERIALISMO STORICO – Le mie ricerche approdarono a questo risultato, che tanto i rapporti giuridici quanto le forme di Stato non devono essere concepiti nè come autonomi nè come prodotti del cosiddetto sviluppo generale dello spirito umano; le loro radici si trovano piuttosto nelle condizioni materiali di vita, che Hegel, seguendo le orme degli Inglesi e dei Francesi del XVIII secolo, indica, nel loro complesso, con il termine di società  civile; ma l’anatomia di questa società  deve essere cercata nell’economia politica… Il risultato generale a cui arrivai e che, una volta ottenuto, mi servì da filo conduttore del corso dei miei studi, può essere, in poche parole, così formulato: nella produzione sociale della loro esistenza gli uomini vengono a trovarsi in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà , cioò in rapporti di produzione corrispondenti ad un determinato livello di sviluppo delle loro forze produttive materiali. Il complesso di tali rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società , la base reale su cui si eleva una sovrastruttura giuridica e politica a cui corrispondono determinate forme di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale ò ciò che condiziona il processo sociale, politico e spirituale. Non ò la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, ò il loro grado sociale che determina la loro coscienza. Ad un certo grado del loro sviluppo le forze produttive della società  entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti o, per usare un termine giuridio, con i rapporti di proprietà  nel cui ambito si erano mosse sino a quel momento. Da che erano forme di sviluppo delle forze produttive, questi rapporti si tramutano in vincoli che frenano tali forze. Si arriva quindi ad un’epoca di rivoluzione sociale. Cambiando la base economica viene ad essere sovvertita più o meno rapidamente tutta l’enorme sovrastruttura. (—) Inoltre con la divisione del lavoro ò data altresì la contraddizione fra l’interesse del singolo individuo o della singola famiglia e l’interesse collettivo di tutti gli individui che hanno rapporti reciproci; e questo interesse collettivo non esiste puramente nell’immaginazione, come universale, ma esiste innanzi tutto nella realtà  come dipendenza reciproca degli individui fra i quali il lavoro ò diviso. Appunto da questo antagonismo, fra interesse particolare e interesse collettivo, l’interesse collettivo prende una configurazione autonoma come Stato, separato dai reali interessi singoli e generali, e in pari tempo come comunità  illusoria, ma sempre sulla base reale di legami esistenti in ogni conglomerato familiare e tribale, come la carne e il sangue, la lingua, la divisione del lavoro accentuata e altri interessi, e soprattutto – come vedremo più particolarmente in seguito – sulla base delle classi già  determinate dalla divisione del lavoro, che si differenziano in ogni raggruppamento umano di questo genere e delle quali una domina tutte le altre. Ne consegue che tutte le lotte nell’ambito dello Stato, la lotta fra democrazia, aristocrazia e monarchia, la lotta per il diritto di voto, ecc. ecc., altro non sono che forme illussorie nelle quali vengono condotte le lotte reali delle diverse classi, e inoltre che ogni classe che aspiri al dominio, anche quando, come nel caso del proletariato, il suo dominio implica il superamento di tutta la vecchia forma di società  e del dominio in genere, deve dapprima conquistarsi il potere politico per rappresentare a sua volta il suo interesse come l’universale, essendovi costretta in un primo tempo. (—) Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioò la classe che ò la potenza materiale dominante della società  ò in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cossichè ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio (—) Se ora nel considerare il corso della storia si svincolano le idee della classe dominante dalla classe dominante e si rendono autonome, se ci si limita a dire che in un’epoca hanno dominato queste o quelle idee, senza preoccuparsi delle condizioni della produzione e dei produttori di queste idee, e se quindi s’ignorano gli individui e le situazioni del mondo che stanno alla base di queste idee, allora si potrà  dire per esempio che al tempo in cui dominava l’aristocrazia dominavano i concetti di onore, di fedeltà , ecc., e che durante il dominio della borghesia dominavano i concetti di libertà , di uguaglianza, ecc. Queste sono, in complesso, le immaginazioni della stessa classe dominante. Questa concezione della storia che ò comune a tutti gli storici, particolarmente a partire dal diciottesimo secolo, deve urtare necessariamente contro il fenomeno che dominano idee sempre più astratte, cioò idee che assumono sempre più la forma dell’universalità . Infatti ogni classe che prenda il posto di un’altra che ha dominato prima ò costretta, non fosse che per raggiungere il suo scopo, a rappresentare il suo interesse come interesse comune di tutti i membri della società , ossia, per esprimerci in forma idealistica, a dare alle proprie idee la forma dell’universalità , a rappresentarle come le sole razionali e universalmente valide. La classe rivoluzionaria si presenta senz’altro, per il solo fatto che si contrappone ad una classe, non come classe ma come rappresentante dell’intera società , appare come l’intera massa della società  di contro all’unica classe dominante. (Marx-Engels, PER LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA, L’IDEOLOGIA TEDESCA) LA RELIGIONE, IL MONDO CAPOVOLTO – “Il fondamento della critica alla religione è: ò l’uomo che fa la religione, e non ò la religione che fa l’ uomo. Infatti, la religione ò la coscienza di sò e il sentimento di sò dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già  di nuovo perduto se stesso. Ma l’uomo non ò un’entità  astratta posta fuori del mondo. L’uomo ò il mondo dell’uomo, lo Stato, la società . Questo Stato, questa società  producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poichè essi sono un mondo capovolto. La religione ò la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo punto d’onore spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa ò la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poichè l’ essenza umana non possiede una realtà  vera. La lotta contro la religione ò dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la religione ò l’aroma spirituale. La religione ò il sospiro della creatura oppressa, ò l’anima di un mondo senza cuore, di un mondo che ò lo spirito di una condizione senza spirito. Essa ò l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità  del popolo vuol dire esigere la felicità  reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione ò l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, ò, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione ò l’aureola. La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perchè l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinchè egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l’uomo affinchè egli pensi, operi, dia forma alla sua realtà  come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinchè egli si muova intorno a se stesso e, perciò, intorno al suo sole reale. La religione ò soltanto il sole illusorio che si muove intorno all’uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso. E’ dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di la della verità , quello di ristabilire la verità  dell’al di qua. E innanzi tutto ò compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell’autoestraneazione umana, smascherare l’autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica. (—) La critica della religione approda alla teoria che l’uomo ò per l’uomo l’essere supremo”. (da varie opere) IL CAPITALISMO – “La società  borghese ò la più complessa e avanzata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura permettono, dunque, di comprendere parimenti la struttura e i rapporti di produzione di tutte le forme di società  del passato sulle cui rovine e con i cui elementi essa si ò costruita, e di cui sopravvivono in essa ancora residui parzialmente non superati. (—) L’economia politica, in quanto borghese, cioò in quanto concepisce l’ordinamento capitalistico invece che come grado di svolgimento storicamente transitorio addirittura all’inverso, come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finchò la lotta di classe rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati. (—) Condizione essenziale per l’esistenza e il dominio della classe borghese ò l’accumulazione della ricchezza nelle mani dei privati e la formazione e l’aumento del capitale; condizione del capitale ò il lavoro salariato. (—) La ricchezza delle società  nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come un’ immane raccolta di merci e la merce singola si presenta come una forma elementare. Perciò la nostra indagine inizia come analisi della merce. “. (da varie opere) LA MERCE, “una cosa molto strana” – “La merce ò in primo luogo un oggetto esterno, una cosa che mediante le sue qualità  soddisfa i bisogni umani di qualsiasi tipo. (—) L’utilità  di una cosa ne fa un valore d’uso. Ma questa utilità  non aleggia nell’aria. E’ un portato delle qualità  del corpo della merce e non esiste senza di esso. Il corpo della merce, come il ferro, il grano, il diamante, ecc. ò, quindi, un valore d’uso, ossia un bene. (—) Il valore d’uso si realizza soltanto nell’uso, ossia nel consumo. (– -) Una merce sembra, a prima vista, qualcosa di ovvio, di banale. La sua analisi mostra che essa ò una cosa molto strana, piena di stravaganze metafisiche e di astruserie teologiche. Finchò ò valore d’uso, nulla c’ò di misterioso in essa. La forma del legno, per esempio, viene trasformata e si fa di essa un tavolo. Ciò non di meno un tavolo resta legno, una cosa comune e percepibile. Ma appena si presenta come merce, esso si trasforma in una cosa sensibile-sovrasensibile. Non soltanto si appoggia con le sue gambe al terreno, ma si contrappone a tutte quante le merci e tira fuori dalla sua testa di legno storie molto più stravaganti che se cominciasse spontaneamente a ballare. (—) La circolazione delle merci ò il punto di partenza del capitale. Produzione di merci e circolazione perfezionata di merci, commercio, formano le premesse storiche della sua nascita. (—) In modo immediato il valore d’uso ò la base materiale su cui si evidenzia un determinato rapporto economico, il valore di scambio. Il valore di scambio appare in primo luogo come un rapporto quantitativo, entro il quale i valori d’uso sono interscambiabili. (—) Così un’opera di Properzio e otto once di tabacco da fiuto possono avere lo stesso valore di scambio nonostante la diversità  fra il valore d’uso di un tabacco o di un’elegia. “. (da varie opere) LA FORZA-LAVORO – “Il valore della forza-lavoro, come quello di ogni altra merce, ò determinato dal tempo di lavoro necessario nella produzione, e quindi anche nella riproduzione, di questo articolo specifico. (—) Il valore della forza lavoro si risolve nel valore di una certa somma dei mezzi di sussistenza. Quindi varia col variare di quei mezzi di sussistenza, cioò con la grandezza del tempo- lavoro richiesto nella loro produzione. (—) Ciò che l’operaio vende non ò il suo lavoro, ma la sua forza-lavoro, che egli mette temporaneamente a disposizione del capitalista. (—) Che cosa ò, dunque, il valore della forza-lavoro? Come per ogni altra merce il suo valore ò determinato dalla quantità  di lavoro necessaria alla sua riproduzione, ma l’uso di questa forza- lavoro trova un limite soltanto nelle energie vitali e nella forza fisica dell’operaio. (—) Originariamente l’operaio vende la sua forza-lavoro al capitalista perchò gli mancano i mezzi materiali per la produzione di una merce: ma ora la sua stessa forza-lavoro individuale viene meno al suo compito quando non venga venduta al capitalista; essa funziona ormai soltanto in un nesso che esiste solamente dopo la sua vendita, nell’officina del capitalista. “. (da varie opere) DOVE NASCE LO SFRUTTAMENTO? – “Prendiamo l’esempio del nostro filatore. Per ricostruire ogni giorno la sua forza-lavoro, egli deve produrre un valore giornaliero di tre scellini, cosa che egli fa lavorando sei ore al giorno. Pagando il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro del filatore, il capitalista ha acquistato il diritto di usare questa forza-lavoro per tutto il giorno o per tutta la settimana. Perciò egli lo farà  lavorare, supponiamo, dodici ore al giorno. Oltre le sei ore che gli sono necessarie per produrre l’equivalente del suo salario, cioò del valore della sua forza lavoro, il filatore dovrà , dunque, lavorare altre sei ore, che io chiamerò ore di sopralavoro e questo sopralavoro si incorporerà  in un plusvalore e in un sopraprodotto. “. (da IL CAPITALE, 1867) IL PROFITTO – “Il plusvalore, cioò quella parte di valore complessivo della merce in cui ò incorporato il sopralavoro o lavoro non pagato dell’operaio, io lo chiamo profitto. “. (da SALARIO, PREZZO E PROFITTO – 1865) LA RIVOLUZIONE – “Tanto per la produzione di massa di questa coscienza comunista quanto per il successo della cosa stessa ò necessaria una trasformazione in massa degli uomini, che può avvenire soltanto in un movimento pratico, in una rivoluzione; quindi la rivoluzione non ò necessaria soltanto perchò la classe dominante non può essere abbattuta in nessuna altra maniera, ma anche perchò la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la società . (—) Che le classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi altro che le proprie catene. Da guadagnare hanno un mondo”. (MARX e ENGELS) SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO – “I proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare; devono distruggere tutto ciò che fino ad ora ha garantito e assicurato la proprietà  privata. (—) Per sopprimere il pensiero della proprietà  privata ò del tutto sufficiente il comunismo pensato. Per sopprimere la proprietà  privata effettiva, reale, occorre una effettiva, reale azione comunista. (—) Tutti i movimenti precedenti sono stati movimenti di minoranze o avvenuti nell’interesse di minoranze. Il movimento proletario ò il movimento indipendente della immensa maggioranza nell’interesse della immensa maggioranza. (—) La condizione dell’emancipazione della classe lavoratrice ò l’abolizione di tutte le classi, come la condizione dell’emancipazione del ‘terzo stato’ dell’ordine borghese fu l’abolizione di tutti gli altri stati. “. (da varie opere) LA LOTTA DI CLASSE – “La storia di ogni società  ò stata finora la storia di lotte di classe. Uomo libero e schiavo, patrizio e plebeo, barone e servo della gleba, membro di una corporazione e artigiano, in breve oppressore e oppresso si sono sempre reciprocamente contrapposti, hanno combattuto una battaglia ininterrotta, aperta o nascosta, una battaglia che si ò ogni volta conclusa con una trasformazione rivoluzionaria dell’intera società  o con il comune tramonto delle classi in conflitto. Nelle precedenti epoche storiche noi troviamo dovunque una suddivisione completa della società  in diversi ceti e una multiforme strutturazione delle posizioni sociali. Nell’antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo, feudatari, vassalli, membri delle corporazioni, artigiani, servi della gleba, e ancora, in ciascuna di queste classi, ulteriori specifiche classificazioni. La moderna società  borghese, sorta dal tramonto della società  feudale, non ha superato le contrapposizioni di classe. Ha solo creato nuove classi al posto delle vecchie, ha prodotto nuove condizioni dello sfruttamento, nuove forme della lotta fra le classi. La nostra epoca, l’epoca della borghesia, si caratterizza però per la semplificazione delle contrapposizioni di classe. L’intera società  si divide sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi che si fronteggiano direttamente: borghesia e proletariato “. (Marx-Engels, MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA – 1848) COMUNISMO O BARBARIE – “Il comunismo non toglie a nessuno la facoltà  di appropriarsi dei prodotti della società , toglie soltanto la facoltà  di valersi di tale appropriazione al fine di asservire lavoro altrui. (—) Ciò che distingue il comunismo non ò l’abolizione della proprietà  in generale, bensì l’abolizione della proprietà  borghese. Ma la moderna proprietà  privata borghese ò l’ultima e la più perfetta espressione dei modi di produzione e appropriazione di prodotti che poggia sugli antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri. In questo senso, i comunisti possono riassumere la loro teoria in quest’unica espressione: abolizione della proprietà  privata. (—) Il comunismo ò possibile empiricamente solo come azione dei popoli dominanti tutti ‘in una volta’ e simultaneamente, e ciò presuppone lo sviluppo universale della forza produttiva e le relazioni mondiali che il comunismo implica. Il comunismo, per noi, non ò uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà  debba conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti. “. (da varie opere) LA PROPRIETA’ PRIVATA – “Voi inorridite perchè noi vogliamo eliminare la proprietà  privata. Ma nella vostra società  esistente la proprietà  privata ò abolita per i nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste proprio in quanto non esiste per quei nove decimi. Voi ci rimproverate dunque di voler abolire una proprietà  che ha per condizione necessaria la mancanza di proprietà  per la stragrande maggioranza della società . (—) Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi dei prodotti sociali; toglie soltanto il potere di soggiogare il lavoro altrui mediante questa appropriazione. E’ stato obiettato che, con la soppressione della proprietà  privata, cesserà  ogni attività  e si diffonderà  una pigrizia generale. Se così fosse, la società  borghese sarebbe da parecchio tempo andata in rovina a causa dell’indolenza, dal momento che in essa chi lavora non guadagna e chi guadagna non lavora “. (Marx-Engels, MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA – 1848) UNA NUOVA UMANITA’ – “Al posto della vecchia società  borghese con le sue classi e i suoi antagonismi sorgerà  un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà  la condizione per il libero sviluppo di tutti. “. (Marx-Engels, MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA – 1848) L’ALIENAZIONE – ” Nell’alienazione dell’oggetto del lavoro si riassume solo l’alienazione, l’espropriazione, dell’attività  stessa del lavoro. In cosa consiste ora l’espropriazione del lavoro? In primo luogo in questo: che il lavoro resta esterno all’operaio, cioò non appartiene al suo essere, e che l’operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagato, ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, ma mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito. L’operaio si sente dunque con se stesso solamente fuori del lavoro, e fuori di sò nel lavoro. Come a casa sua ò solo quando non lavora e quando non lavora non lo ò. Il suo lavoro non ò volontario, ma forzato, ò lavoro costrittivo. Il lavoro non ò quindi la soddisfazione di un bisogno, ma ò solo un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni ad esso. La sua estraneità  risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d’altro genere, il lavoro ò fuggito come una peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l’uomo si espropria, ò un lavoro-sacrificio, un lavoro mortificazione. In fine l’esteriorità  del lavoro al lavoratore si palesa in questo: che il lavoro non ò cosa sua ma di un altro; che non gli appartiene, e che in esso egli non appartiene a sò, ma ad un altro. Come nella religione l’attività  spontanea dell’umana fantasia, dell’umano cervello e del cuore umano, opera indipendentemente dall’individuo, cioò come un’attività  estranea, divina o diabolica, così l’attività  del lavoratore non ò attività  spontanea. Essa appartiene ad un altro, ò la perdita del lavoratore stesso. Il risultato ò che l’uomo (il lavoratore) si sente libero ormai solo nelle sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel bere e nel generare, tutt’al più nell’avere una casa, nella sua cura corporale, ecc. e che nelle sue funzioni umane si sente solo più una bestia. Il bestiale diventa l’umano e l’umano il bestiale. (—) Il lavoro alienato 1)aliena all’uomo la natura; 2) aliena all’uomo se stesso, la sua attiva funzione, la sua attività  vitale, aliena così all’uomo il genere; (—) il lavoro alienato fa dunque 3)della specifica essenza dell’uomo, tanto della natura che dello spirituale potere di genere, un’essenza a lui estranea, il mezzo della sua individuale esistenza; estrania all’uomo il suo proprio corpo, come la natura di fuori, come il suo spirituale essere, la sua umana essenza; 4)che un’immediata conseguenza, del fatto che l’uomo ò estraniato dal prodotto del suo lavoro, dalla sua attività  vitale, dalla sua specifica essenza, ò lo straniarsi dell’uomo dall’uomo. Quando l’uomo sta di fronte a se stesso, gli sta di fronte l’altro uomo. “. (MARX: MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI DEL 1844) LO STATO – “Lo Stato non ò affatto una potenza imposta alla società  dall’esterno e nemmeno ‘la realtà  dell’idea etica’, ‘l’immagine e la realtà  della ragione’, come sostiene Hegel. Esso ò piuttosto un prodotto della società  giunta ad un determinato stadio di sviluppo, ò la confessione che questa società  si ò avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si ò scissa in antagonismi inconciliabili che ò impotente a eliminare. Ma perchò questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stessi e la società  in una sterile lotta, nasce la necessità  di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società , che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’ ordine; e questa potenza che emana dalla società , ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, ò lo Stato. Nei confronti dell’antica organizzazione gentilizia il primo segno distintivo dello Stato ò la divisione dei cittadini secondo il territorio. (—) Il secondo punto ò l’istituzione di una forza pubblica che non coincide più direttamente con la popolazione che organizza se stessa come potere armato. (—) Lo Stato, poichò ò nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente ò nato in mezzo al conflitto di queste classi, ò, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. (—) Lo Stato non esiste dunque dall’eternità . (—) In un determinato grado dello sviluppo economico, necessariamente legato alla divisione della società  in classi, proprio a causa di questa divisione, lo Stato ò diventato una necessità . Ci avviciniamo ora, a rapidi passi, ad uno stadio di sviluppo della produzione in cui l’esistenza di queste classi non solo ha cessato di essere una necessità , ma diviene un ostacolo effettivo alla produzione. Perciò esse cadranno così ineluttabilmente come sono sorte. Con esse cadrà  ineluttabilmente lo Stato. La società  che riorganizza la produzione in base ad una libera ed uguale associazione di produttori, relega l’intera macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioò nel museo delle antichità  accanto alla rocca per filare e all’ascia di bronzo “. (ENGELS: L’ORIGINE DELLA FAMIGLIA, DELLA PROPRIETA’ PRIVATA E DELLO STATO) LA FAMIGLIA E LE DONNE – “L’ordinamento comunistico della società  farà  del rapporto fra i due sessi un semplice rapporto privato che riguarderà  solo le persone che vi partecipano, e nel quale la società  non ha da ingerirsi. Potrà  farlo perchò elimina la proprietà  privata ed educa in comune i bambini, distruggendo così le due fondamenta del matrimonio come si ò avuto finora; la dipendenza della donna dall’uomo e dei figli dai genitori dovuta alla proprietà  privata. Qui sta anche la risposta alle strida dei filistei moralisti contro la comunanza comunista delle donne. La comunanza delle donne ò una situazione legata totalmente alla società  borghese e che oggigiorno esiste in pieno nella prostituzione. Ma la prostituzione poggia sulla proprietà  privata e cade con essa. Dunque, l’organizzazione comunista, anzichò introdurre la comunanza delle donne, la abolisce invece. (—) ” (ENGELS e MARX) CITTA’ E CAMPAGNA – “Solo una società  che faccia ingranare, armoniosamente, le une nelle altre le sue forze produttive, secondo un solo grande piano, può permettere all’industria di stabilirsi in tutto il paese con quella dislocazione che ò più appropriata al suo sviluppo e alla conservazione, e rispettivamente allo sviluppo, degli altri elementi della produzione. Conseguentemente la soppressione dell’antagonismo di città  e campagna non solo ò possibile, ma diventa una diretta necessità  della stessa produzione industriale, così come ò diventata del pari una necessità  della produzione agricola ed inoltre dell’igiene pubblica. Solo con la fusione di città  e campagna può essere eliminato l’attuale avvelenamento di acqua, aria e suolo, solo con questa fusione le masse che oggi agonizzano nelle città  saranno messe in condizione in cui i loro rifiuti siano prodotti per produrre le piante e non le malattie”. (ENGELS) Passi antologici di rilievo Bisogna partire non dalla religione, ma dalla proprietà  privata – “Si vede facilmente la necessità  che l’intero movimento rivoluzionario trovi la propria base tanto empirica che teoretica nel movimento della proprietà  privata, per l’appunto dell’economia. Questa proprietà  privata materiale, immediatamente sensibile, ò l’espressione materiale e sensibile della vita umana estraniata. Il suo movimento – la produzione e il consumo – ò la rivelazione sensibile del movimento di tutta la produzione sino ad oggi, cioò della realizzazione o realtà  dell’uomo. La religione, la famiglia, lo stato, il diritto, la morale, la scienza, l’arte, ecc. non sono che modi particolari della produzione e cadono sotto la sua legge universale. La soppressione positiva della proprietà  privata, in quanto appropriazione della vita umana, ò dunque la soppressione positiva di ogni estraniazione, e quindi il ritorno dell’uomo, dalla religione, dalla famiglia, dallo stato, ecc. alla sua esistenza umana, cioò sociale. L’estraniazione religiosa come tale ha luogo soltanto nella sfera della coscienza [, ] dell’interiorità  umana; invece l’estraniazione economica ò l’estraniazione della vita reale, onde la sua soppressione abbraccia l’uno e l’altro lato. S’intende che nei diversi popoli il primo inizio del movimento ò diverso a seconda che la vita vera e riconosciuta del popolo si svolga piຠnella coscienza che nel mondo esterno, sia piຠideale che reale. Il comunismo comincia subito con l’ateismo (Owen), ma l’ateismo ò ancora in principio ben lungi dall’essere comunismo: quell’ateismo ò ancora piຠche altro un’astrazione. [… ] si vede come la soluzione delle opposizioni teoretiche sia possibile soltanto in maniera pratica, soltanto attraverso l’energia pratica dell’uomo, e come questa soluzione non sia per nulla soltanto un cà³mpito della conoscenza, ma sia anche un cà³mpito reale della vita, che la filosofia non poteva adempiere, proprio perchè essa intendeva questo cà³mpito soltanto come un cà³mpito teoretico”. (Marx, Manoscritti economico- filosofici del 1844) Critica della critica filosofica – “Finora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati piຠforti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall’immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri. Insegnamo loro a sostituire queste immaginazioni con pensieri che corrispondano all’essenza dell’uomo, dice uno; a comportarsi criticamente verso di esse, dice un altro; a togliersele dalla testa, dice un terzo, e la realtà  ora esistente andrà  in pezzi. Queste fantasie innocenti e puerili formano il nucleo della moderna filosofia giovane-hegeliana, che in Germania non soltanto ò accolta dal pubblico con orrore e reverenza, ma ò anche messa in circolazione dagli stessi eroi filosofici con la maestosa coscienza della sua criminosa spregiudicatezza. Il primo volume di questa pubblicazione ha lo scopo di smascherare queste pecore che si credono lupi e che tali vengono considerate, di mostrare come esse altro non fanno che tener dietro, con i loro belati filosofici, alle idee dei borghesi tedeschi, come le bravate di questi filosofi esegeti rispecchino semplicemente la meschinità  delle reali condizioni tedesche. Essa ha lo scopo di mettere in ridicolo e di toglier credito alla lotta filosofica con le ombre della realtà , che va a genio al sognatore e sonnacchioso popolo tedesco”. (Marx-Engels, L’ideologia tedesca) Comunismo e globalizzazione – “Questa “estraniazione”, per usare un termine comprensibile ai filosofi, naturalmente può essere superata soltanto sotto due condizioni pratiche. Affinchè essa diventi un potere “insostenibile”, cioò un potere contro il quale si agisce per via rivoluzionaria, occorre che essa abbia reso la massa dell’umanità  affatto “priva di proprietà â€ e l’abbia posta altresà­ in contraddizione con un mondo esistente della ricchezza e della cultura, due condizioni che presuppongono un grande incremento della forza produttiva, un alto grado del suo sviluppo; e d’altra parte questo sviluppo delle forze produttive (in cui ò già  implicita l’esistenza empirica degli uomini sul piano della storia universale, invece che sul piano locale), ò un presupposto pratico assolutamente necessario anche perchè senza di esso si generalizzerebbe soltanto la miseria e quindi col bisogno ricomincerebbe anche il conflitto per il necessario e ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda, e poi perchè solo con questo sviluppo universale delle forze produttive possono aversi relazioni universali fra gli uomini, ciò che da una parte produce il fenomeno della massa “priva di proprietà â€ contemporaneamente in tutti i popoli (concorrenza generale), fa dipendere ciascuno di essi dalle rivoluzioni degli altri, e infine sostituisce agli individui locali individui inseriti nella storia universale, individui empiricamente universali. Senza di che 1) il comunismo potrebbe esistere solo come fenomeno locale, 2) le stesse potenze dello scambio non si sarebbero potute sviluppare come potenze universali, e quindi insostenibili, e sarebbero rimaste “circostanze” relegate nella superstizione domestica, 3) ogni allargamento delle relazioni sopprimerebbe il comunismo locale. Il comunismo ò possibile empiricamente solo come azione dei popoli dominanti tutti in “una volta” e simultaneamente, ciò che presuppone lo sviluppo universale della forza produttiva e le relazioni mondiali che esso comunismo implica”. (Marx- Engels, L’ideologia tedesca) Il comunismo si identifica con l’umanismo – “Il comunismo come soppressione positiva della proprietà  privata intesa come autoestraneazione dell’uomo, e quindi come reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno dell’uomo per sè, dell’uomo come essere sociale, cioò umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo s’identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l’umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; ò la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’ esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la libertà  e la necessità , tra l’individuo e il genere. àˆ la soluzione dell’enigma della storia, ed ò consapevole di essere questa soluzione”. (Manoscritti economico-filosofici del 1844) Il lavoro nella società  futura – “E infine la divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che fin tanto che gli uomini si trovano nella società  naturale, fin tanto che esiste, quindi, la scissione fra interesse particolare e interesse comune, fin tanto che l’attività , quindi, ò divisa non volontariamente ma naturalmente, l’azione propria dell’uomo diventa una potenza a lui estranea, che lo sovrasta, che lo soggioga, invece di essere da lui dominata. Cioò appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività  determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: ò cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società  comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività  esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società  regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosà­ come mi vien voglia; senza diventare nè cacciatore, nè pescatore, nè pastore, nè critico”. (Marx-Engels, L’ideologia tedesca) Gli obiettivi dei comunisti – “Il proletariato si servirà  del suo dominio politico per togliere gradualmente dalle mani della borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioò del proletariato organizzato come classe dominante e per accrescere con la piຠgrande celerità  possibile la massa delle forze produttive. Va da sè che in un primo momento ciò può attuarsi solo grazie a interventi disposti nel diritto di proprietà  e nei rapporti borghesi di produzione, quindi attraverso misure che da un punto di vista economico si presentano come insufficienti e inconsistenti, ma che nel corso del movimento vanno ben oltre i loro scopi e sono inevitabili come mezzi per rivoluzionare tutto il modo di produzione. Queste misure naturalmente saranno differenti a seconda dei diversi paesi. Per i paesi piຠprogrediti, tuttavia, potranno applicarsi quasi ovunque i seguenti punti: 1. Espropriazione della proprietà  fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato. 2. Imposta fortemente progressiva. 3. Abolizione del diritto di successione. 4. Confisca della proprietà  di tutti gli emigrati e i ribelli. 5. Accentramento del credito nelle mani dello Stato tramite una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo. 6. Accentramento di tutti i mezzi di trasporto nelle mani dello Stato. 7. Aumento delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo. 8. Uguale obbligo di lavoro per tutti, formazione di esercizi industriali, soprattutto per l’agricoltura. 9. Unificazione dell’esercizio dell’agricoltura e dell’industria, graduale eliminazione dell’antagonismo tra città  e campagna. 10. Istruzione pubblica e gratuita per tutti i bambini. Abolizione del lavoro di fabbrica per i fanciulli nella sua forma attuale. Unificazione dell’istruzione e della produzione materiale, ecc”. Il sistema di produzione asiatico – “Ad esempio non ò assolutamente in contraddizione con essa il fatto che, come accade nella maggioranza delle forme principali asiatiche, l’unità  complessiva, che sta al di sopra di tutte queste piccole comunità , appaia come il proprietario supremo, o l’unico proprietario, sicchè le comunità  effettive appaiono solo come possessori ereditari. Poichè l’unità  ò l’effettivo proprietario, e l’effettivo presupposto della proprietà  collettiva, essa può appunto cosà­ apparire come un qualcosa di particolare, che sta al di sopra delle molte particolari comunità  reali dove il singolo poi in fact ò privo di proprietà , o la proprietà  – cioò il rapporto del singolo con le condizioni naturali del lavoro e della riproduzione, come corpo della sua subiettività  a lui appartenente, obiettivo, trovato già  pronto come natura inorganica, – gli appare mediata dalla cessione dell’unità  totale – realizzata nel despota come padre delle molte comunità  – al singolo attraverso la mediazione delle comunità  particolari. Il prodotto eccedente – che del resto viene determinato legalmente in seguito all’effettiva appropriazione attraverso il lavoro – appartiene cosà­, di per sè, a questa suprema unità . Pertanto nel dispotismo orientale e nell’assenza di proprietà , che giuridicamente sembra esistere in esso, esiste in realtà  come fondamento questa proprietà  tribale o comunitaria, prodotta essenzialmente dal combinarsi della manifattura e dell’agricoltura all’interno della piccola comunità  che, in tal modo, diviene assolutamente self-sustaining e contiene in sè tutte le condizioni della riproduzione e della produzione in eccedenza. Una parte del suo lavoro eccedente appartiene alla comunità  superiore, che alla fine esiste come persona, e questo lavoro eccedente si manifesta sia sotto forma di tributo, ecc., sia sotto forma di lavori collettivi, per esaltare l’unità , in parte il despota vero e proprio, in parte la tribalità  idealizzata, il dio. Questa specie di proprietà  comunitaria, può ora, in quanto essa qui si realizza effettivamente nel lavoro, manifestarsi o in modo che le piccole comunità  vegetino l’una accanto all’altra indipendentemente, e il singolo lavori indipendentemente con la sua famiglia sul lotto assegnatogli (un lavoro determinato per la riserva comune, insurance per cosà­ dire, da una parte, e per fronteggiare le spese della comunità  come tali, cioò per la guerra, il culto ecc.; il dominium signorile nel significato originario si trova qui per la prima volta, ad esempio nelle comunità  slave, in quelle romene, ecc: Qui ò insito il passaggio alla corvèe, ecc. ); o l’unità  può estendersi fino alla comunanza nel lavoro, che può divenire un vero e proprio sistema come nel Messico, nel Perຠin particolare, presso gli antichi celti e alcune tribຠindiane. Inoltre la comunanza può manifestarsi all’interno dell’ordinamento tribale, in modo che l’unità  sia rappresentata in primo luogo da un capo della famiglia tribale, o dalle relazioni reciproche tra i padri di famiglia. Corrispondentemente si ha allora una forma o piຠdispotica o piຠdemocratica di questa comunità . Le condizioni comuni dell’ effettiva appropriazione attraverso il lavoro, sistemi d’irrigazione, molto importanti per i popoli asiatici, mezzi di comunicazione, ecc., appaiono allora come lavoro dell’unità  superiore, del governo dispotico che si erge al disopra delle piccole comunità . Le città  vere e proprie si formano qui, accanto a questi villaggi, solo laddove esiste un punto particolarmente favorevole per il commercio con l’estero; o dove il capo supremo dello Stato e i suoi satrapi scambiano il loro reddito (prodotto eccedente) con il lavoro, lo spendono come labour-funds. ” (Marx, Forme economiche precapitalistiche) Il socialismo come superamento dell’ateismo – “Ma siccome per l’uomo socialista tutta la cosiddetta storia del mondo non ò altro che la generazione dell’uomo mediante il lavoro umano, null’altro che il divenire della natura per l’uomo, egli ha la prova evidente, irresistibile, della sua nascita mediante se stesso, del processo della sua origine. Dal momento che la essenzialità  dell’uomo e della natura ò diventata praticamente sensibile e visibile, dal momento che ò diventato praticamente sensibile e visibile l’uomo per l’uomo come esistenza della natura, e la natura per l’uomo come esistenza dell’uomo, ò diventato praticamente improponibile il problema di un essere estraneo, di un essere superiore alla natura e all’uomo, dato che questo problema implica l’ammissione della inessenzialità  della natura e dell’uomo. L’ateismo, in quanto negazione di questa inessenzialità , non ha piຠalcun senso; infatti l’ateismo ò, sà­, una negazione di Dio e pone attraverso questa negazione l’ esistenza dell’uomo, ma il socialismo in quanto tale non ha piຠbisogno di questa mediazione. Esso comincia dalla coscienza teoricamente e praticamente sensibile dell’uomo e della natura nella loro essenzialità . Esso ò l’autocoscienza positiva dell’ uomo, non piຠmediata dalla soppressione della religione, allo stesso modo che la vita reale ò la realtà  positiva dell’uomo, non piຠmediata dalla soppressione della proprietà  privata, dal comunismo. Il comunismo ò, in quanto negazione della negazione, affermazione; perciò ò il momento reale, e necessario per il prossimo svolgimento storico, dell’emancipazione e della riconquista dell’uomo. Il comunismo ò la struttura necessaria e il principio propulsore del prossimo futuro; ma il comunismo non ò come tale la mèta dello svolgimento storico, la struttura della società  umana”. (Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844) Individui e classi – “I singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un’altra classe; per il resto essi stessi si ritrovano l’uno di contro all’altro come nemici, nella concorrenza. D’altra parte la classe acquista a sua volta autonomia di contro agli individui, cosicchè questi trovano predestinate le loro condizioni di vita, hanno assegnata dalla classe la loro posizione nella vita e con essa il loro sviluppo personale, e sono sussunti sotto di essa. Questo fenomeno ò identico alla sussunzione dei singoli individui sotto la divisione del lavoro e può essere eliminato soltanto mediante il superamento della proprietà  privata e del lavoro stesso. Abbiamo già  accennato piຠvolte come questa sussunzione degli individui sotto la classe si sviluppi in pari tempo in una sussunzione sotto idee di ogni genere, ecc. ” (Marx-Engels, L’ideologia tedesca) L’uomo e il cittadino – “L’uomo non venne quindi liberato dalla religione, ma ottenne libertà  di religione. Non venne liberato dalla proprietà , ma ebbe invece la libertà  di possedere. Non venne liberato dall’egoismo del mestiere, ma ottenne la libertà  di mestiere. La costituzione dello Stato politico ed il dissolvimento della società  civile in individui indipendenti – il cui rapporto ò il diritto, come il rapporto tra gli uomini dei ceti e delle associazioni di mestiere era il privilegio – si compie in un unico e medesimo atto. Però l’uomo che ò membro della società  civile, l’uomo non politico, appare necessariamente come l’uomo natura. I droits de l’homme si presentano come droits naturels, perchè l’attività  autocosciente si concentra nell’atto politico. L’uomo egoistico ò il risultato passivo in cui ci si ò imbattuti quando la società  si ò dissolta: ò oggetto di certezza immediata, e quindi oggetto naturale. La rivoluzione politica dissolve la vita sociale nelle sue parti costitutive stesse. Essa considera la società  civile, il mondo dei bisogni, del lavoro, degli interessi privati, del diritto privato come il fondamento della sua esistenza, come un presupposto che non ha bisogno di ulteriore giustificazione, e quindi come sua base naturale. Infine l’uomo che ò membro della società  civile viene considerato l’uomo autentico, l’homme che si distingue dal citoyen perchè ò l’uomo nella sua piຠaccessibile esistenza individuale sensibile, mentre l’uomo politico ò soltanto l’uomo astratto, artificiale, l’uomo come persona allegorica, morale. Si vuol vedere l’uomo reale solo nella figura dell’individuo egoistico, e l’uomo vero solo nella figura dell’astratto citoyen. [… ] Ogni emancipazione implica il ricondurre il mondo umano, i rapporti umani all’uomo stesso. L’emancipazione politica ò la riduzione dell’uomo da una parte a membro della società  civile, ad individuo egoistico ed indipendente, e dall’altra a cittadino, a persona morale. Solo quando il reale uomo individuale riassorbe in sè l’astratto cittadino, e pur restando uomo individuale, ò diventato elemento del genere umano nella sua vita empirica l’uomo ha riconosciuto le sue forces propres come forze sociali e le ha organizzate in conseguenza, e non separa quindi da se stesso la forza sociale che gli si presenta come forza politica, solo allora si può considerare compiuta l’emancipazione umana”. (Marx, La questione ebraica) La borghesia – La moderna società  borghese, nata dalla rovina della società  feudale, non ha fatto sparire gli antagonismi di classe. Essa ha solo creato, al posto delle vecchie, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. La nostra epoca tuttavia, l’epoca della borghesia, si distingue in quanto ha reso piຠsemplici tali antagonismi. Tutta la società  si va dividendo sempre piຠin due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte tra loro: borghesia e proletariato. Dai servi della gleba del medioevo nacquero i piccoli borghesi delle prime città ; da essi si svilupparono i primi elementi della borghesia. La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa offrirono un nuovo terreno alla nascente borghesia. Il mercato delle Indie Orientali e della Cina, la colonizzazione dell’America, gli scambi con le colonie, l’ incremento dei mezzi di scambio e delle merci in genere, dettero al commercio, alla navigazione, all’industria un impulso senza precedenti, e di conseguenza permisero un rapido sviluppo dell’elemento rivoluzionario all’interno della morente società  feudale. Il modo di conduzione dell’industria, fino allora feudale o corporativo, divenne insufficiente per il fabbisogno, che aumentava con l’estendersi dei nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. I maestri artigiani vennero rimpiazzati dal ceto medio industriale; la divisione del lavoro tra le varie corporazioni sparà­ dinanzi alla divisione del lavoro nella singola officina stessa. I mercati però s’andavano sempre piຠestendendo, come costantemente cresceva il fabbisogno. Anche la manifattura divenne insufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. Al posto della manifattura nacque la grande industria moderna, al posto del ceto medio industriale comparvero gli industriali milionari, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni. La grande industria ha generato quel mercato mondiale che era stato preparato dalla scoperta dell’America. Esso ha dato un immenso sviluppo al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per terra. Questo sviluppo dal canto suo ha influito sulla espansione industriale, e, nella stessa misura in cui s’accrescevano industria, commercio, navigazione, ferrovia, s’ò sviluppata la borghesia, che ha visto aumentare i propri capitali e ha cacciato in secondo piano tutte le classi d’origine feudale. Vediamo perciò come la borghesia moderna sia essa stessa il risultato di un lungo processo di sviluppo, di una serie di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico. Ciascuno di questi gradi di sviluppo della borghesia ò accompagnato da un corrispondente sviluppo politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, associazione armata e autonoma nel Comune, qui repubblica municipale indipendente, là­ terzo stato tributario della monarchia, poi all’epoca della manifattura, nella monarchia controllata degli stati o in quella assoluta contrappeso alla nobiltà  ed elemento basilare delle grandi monarchie in genere, la borghesia infine, una volta sorti la grande industria e il mercato mondiale, ha raggiunto il dominio politico esclusivo nello Stato rappresentativo moderno. Il potere politico moderno ò solo un comitato che amministra gli affari comuni dell’intera classe borghese. Nella storia la borghesia ha ricoperto un ruolo estremamente rivoluzionario. Dove ò giunta al potere, la borghesia ha dissolto ogni condizione feudale, patriarcale, idillica. Ha distrutto spietatamente ogni piຠdisparato legame che univa gli uomini al loro superiore naturale, non lasciando tra uomo e uomo altro legame che il nudo interesse, lo spietato “pagamento in contanti”. Ha fatto annegare nella gelida acqua del calcolo egoistico i sacri fremiti dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, del sentimentalismo piccolo-borghese. Ha risolto nel valore di scambio la dignità  della persona e ha rimpiazzato le innumerevoli libertà  riconosciute e acquisite con un’unica libertà , quella di un commercio senza freni. In conclusione, al posto dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche ha messo uno sfruttamento aperto, privo di scrupoli, diretto, arido. La borghesia ha tolto l’aureola a tutte le attività  fino a quel momento rispettate e piamente considerate. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l’uomo di scienza in salariati da lei dipendenti. La borghesia ha stracciato nel rapporto familiare il velo di commovente sentimentalismo riducendolo a un mero rapporto di denaro. La borghesia ha fatto vedere come la brutale manifestazione di forza, tipica del medioevo e ammirata dalla reazione, s’accompagnasse intrinsecamente alla piຠoziosa infingardaggine. Per prima essa ha rivelato il potere dell’attività  umana. Ha creato opere ben piຠmirabili che piramidi egizie, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha condotto ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate”. (Marx-Engels, Manifesto del partito comunista) La critica filosofica pecca di astrattezza – “Poichè questi giovani hegeliani considerano le rappresentazioni, i pensieri, i concetti, e in genere i prodotti della coscienza da loro fatta autonoma, come le vere catene degli uomini, cosà­ come i Vecchi hegeliani ne facevano i veri legami della società  umana, s’ intende facilmente che i Giovani hegeliani devono combattere soltanto contro queste illusioni della coscienza. Poichè secondo la loro fantasia e i loro impedimenti sono prodotti della loro coscienza, i Giovani hegeliani coerentemente chiedono agli uomini, come postulato morale, di sostituire alla loro coscienza attuale la coscienza umana, critica o egoistica, e di sbarazzarsi cosà­ dei loro impedimenti. Questa richiesta, di modificare la coscienza, conduce all’altra richiesta, d’ interpretare diversamente ciò che esiste, ossia di riconoscerlo mediante una diversa interpretazione. Nonostante le loro frasi che, secondo loro “scuotono il mondo”, gli ideologici giovani-hegeliani sono i piຠgrandi conservatori. I piຠgiovani tra loro hanno trovato l’espressione giusta per la loro attività , affermando di combattere soltanto contro delle “frasi”. Dimenticano soltanto che a queste frasi essi stessi non oppongono altro che frasi, e che combattono il mondo realmente esistente quando combattono soltanto le frasi di questo mondo. I soli risultati ai quali questa critica filosofica poteva portare erano alcuni e per giunta unilaterali chiarimenti, nel campo della storia della religione, intorno al cristianesimo; tutte le altre loro asserzioni non sono che altri modi di abbellire la pretesa di aver compiuto, con quei chiarimenti insignificanti, scoperte d’ importanza storica universale. A nessuno di questi filosofi ò venuto in mente di ricercare il nesso esistente tra la filosofia tedesca e la realtà  tedesca, il nesso tra la loro critica e il loro proprio ambiente materiale”. (Marx-Engels, L’ideologia tedesca) La critica filosofica si ò appiattita sulla religione – “La critica tedesca non ha mai abbandonato, fino ai suoi ultimi sforzi, il terreno della filosofia. Ben lungi dall’indagare sui suoi presupposti filosofici generali, tutti quanti i suoi problemi sono nati anzi sul terreno di un sistema filosofico determinato, l’hegeliano. Non solo nelle risposte, ma già  negli stessi problemi c’era una mistificazione. Questa dipendenza da Hegel ò la ragione per cui nessuno di questi moderni critici ha neppure tentato una critica complessiva del sistema hegeliano, tanto ò la convinzione, in ciascuno di essi, di essersi spinto oltre Hegel. La loro polemica contro Hegel e fra di loro si limita a questo, che ciascuno estrae un aspetto del sistema hegeliano e lo rivolge tanto contro l’intero sistema quanto contro gli aspetti che ne estraggono gli altri. Dapprima si estrassero categorie hegeliane pure, genuine, come la sostanza e l’autocoscienza, poi si contaminarono queste categorie con nomi piຠprofani, come Specie, l’Unico, l’Uomo, ecc. Tutta la critica filosofica tedesca da Strauss fino a Stirner si limita alla critica delle rappresentazioni religiose. Si cominciò dalla religione reale e dalla teologia vera e propria. Che cosa fosse la coscienza religiosa, la rappresentazione religiosa, fu variamente definito in seguito. Il pregresso consisteva nel sussumere sotto la sfera delle rappresentazioni religiose o teologiche anche le rappresentazioni metafisiche, politiche, giuridiche, morali, ecc. che si presumevano dominanti; nel proclamare cosà­ che la coscienza giuridica, politica, morale ò coscienza religiosa o teologica, e che l’uomo politico, giuridico, morale, cioò “l’uomo”, in ultima istanza, ò religioso. Fu presupposto il predominio della religione. A poco a poco ogni rapporto dominante fu dichiarato rapporto di religione e trasformato in culto, culto del diritto, culto dello Stato e cosà­ via. Dappertutto si aveva a che fare con dogmi e con la fede in dogmi. Il mondo fu canonizzato in misura sempre maggiore, finchè da ultimo il venerabile san Max potè canonizzarlo en bloc e liquidarlo una volta per tutte. I Vecchi hegeliani avevano compreso qualsiasi cosa, non appena l’avevano ricondotta ad una categoria logica hegeliana. I Giovani hegeliani criticarono qualsiasi cosa scoprendo in essa idee religiose o definendola teologica. I Giovani hegeliani concordano con i Vecchi hegeliani in quanto credono al predominio della religione, dei concetti dell’universale nel mondo esistente; solo che gli uni combattono quel predominio come usurpazione, mentre gli altri lo esaltano come legittimo”. (Marx-Engels, L’ideologia tedesca) La forza-lavoro come merce – Per forza-lavoro o capacità  di lavoro intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità , ossia nella personalità  vivente d’un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere. Tuttavia, affinchè il possessore di denaro incontri sul mercato la forza-lavoro come merce debbono essere soddisfatte diverse condizioni. In sè e per sè, lo scambio delle merci non include altri rapporti di dipendenza fuori di quelli derivanti dalla sua propria natura. Se si parte da questo presupposto, la forza-lavoro come merce può apparire sul mercato soltanto in quanto e perchè viene offerta o venduta come merce dal proprio possessore, dalla persona della quale essa ò la forza lavoro. Affinchè il possessore della forza-lavoro la venda come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario della propria capacità  di lavoro, della propria persona. Egli si incontra sul mercato con il possessore di denaro e i due entrano in rapporto reciproco come possessori di merci, di pari diritti, distinti solo per essere l’uno compratore, l’altro venditore, persone dunque giuridicamente eguali. La continuazione di questo rapporto esige che il proprietario della forza-lavoro la venda sempre e soltanto per un tempo determinato; poichè se la vende in blocco, una volta per tutte, vende se stesso, si trasforma da libero in schiavo, da possessore di merce in merce. Il proprietario di forza-lavoro, quale persona, deve riferirsi costantemente alla propria forza-lavoro come a sua proprietà , quindi come a sua propria merce; e può farlo solo in quanto la mette a disposizione del compratore ossia gliela lascia per il consumo, sempre e soltanto, transitoriamente, per un periodo determinato di tempo, e dunque, mediante l’alienazione di essa, non rinuncia alla sua proprietà  su di essa. La seconda condizione essenziale, affinchè il possessore del denaro trovi la forza-lavoro sul mercato come merce, ò che il possessore di questa non abbia la possibilità  di vendere merci nelle quali si sia oggettivato il suo lavoro, ma anzi, sia costretto a mettere in vendita, come merce, la sua stessa forza-lavoro, che esiste soltanto nella sua corporeità  vivente. Affinchè qualcuno venda merci distinte dalla propria forza-lavoro, deve, com’ò ovvio, possedere mezzi di produzione, p. es. materie prime, strumenti di lavoro, ecc. Non può fare stivali senza cuoio. Inoltre, ha bisogno di mezzi di sussistenza. Nessuno, neppure un musicista avvenirista, può campare dei prodotti avvenire, quindi neppure di valori d’uso la cui produzione ò ancora incompleta; l’uomo ò costretto ancora a consumare, giorno per giorno, prima di produrre e mentre produce, come il primo giorno della sua comparsa sulla scena della terra. Se i prodotti vengono prodotti come merci, debbono essere venduti dopo essere stati prodotti e possono soddisfare i bisogni del produttore soltanto dopo la vendita. Al tempo della produzione s’aggiunge il tempo necessario per la vendita. Dunque, per trasformare il denaro in capitale il possessore di denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore libero; libero nel duplice senso che disponga della propria forza lavorativa come propria merce, nella sua qualità  di libera persona, e che, d’ altra parte, non abbia da vendere altre merci, che sia privo ed esente, libero di tutte le cose necessarie per la realizzazione della sua forza-lavoro. Per il possessore di denaro, che trova il mercato del lavoro come sezione particolare del mercato delle merci, non ha alcun interesse il problema del perchè quel libero lavoratore gli si presenti nella sfera della circolazione. E per il momento non ha interesse neppure per noi. Noi teniamo fermo, sul piano teorico, al dato di fatto, come fa il possessore di denaro sul piano pratico. Una cosa ò evidente, però. La natura non produce da una parte possessori di denaro o di merci e dall’altra puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto non ò un rapporto risultante dalla storia naturale e neppure u

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  • Filosofia - 1800

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