Il Bosco Fatato: la fiaba inventata da un’allieva di liceo
Un bosco incantato, una bimba di nove anni con la sua bicicletta e le fate: sono solo alcuni degli ingredienti di questa meravigliosa fiaba inventata da Manuela N., allieva della I E del Liceo Scientifico A. Guarasci di Soverato. Curiosi di sapere cosa accadrà? E allora non vi rimane che continuare a leggere!
Il Bosco Fatato: fiaba di Manuela N.
C’era una volta un verdissimo, fiorito e allegro boschetto, situato alla fine di un paesino sconosciuto. Lì nessun essere umano si recava e infatti era sempre festa. Nessuno però sapeva che in quel meraviglioso boschetto vivevano creature bellissime: fate con ali di farfalla, antenne argentate e rifinite con vortici d’oro. Le loro mani erano costantemente piene di brillantini, poiché il loro tipo di pelle a contatto con il sole rilasciava piccolissime particelle. Solitamente amavano vestirsi con petali di fiori e foglie di fico. Vivevano tra i cespugli. Le loro case erano minuscole, costruite con piume, foglie e paglia, ornate, naturalmente, da stupendi brillantini. In quel bosco tutto era perfetto, si viveva una vita tranquilla e agiata, fin quando però un’umana scoprì tutto e da lì iniziarono i problemi. Era gigante, con occhi verdi, capelli biondi e completamente ricoperta da lentiggini. Diversamente dalle fate, non aveva alcuna antenna né le sue mani erano ricoperte da brillantini. I suoi vestiti erano molto sobri, e con lei portava uno strano strumento che le serviva per spostarsi, formato davanti da una specie di corna di cerbiatto come manubrio, un triangolo come sedile e due enormi cerchi assomiglianti al sole. Appena vide le creature iniziò ad urlare di gioia e subito cercò di fare amicizia. Parlava molto velocemente, ed in pochi minuti era riuscita a dire quasi tutta la storia della sua vita. Disse che aveva compiuto da poco nove anni, che viveva nel paesino vicino e che si chiamava Aurora. La cosa però che colpì molto le fate era la sua ultima frase: “Di me potete fidarvi, non dirò niente a nessuno”.
Dopo quella frase un po’ tutti si tranquillizzarono e incominciarono a capire che quell’umana era buona e non aveva alcun intenzione di fare del male. Il capo delle fate allora si presentò e fece vedere alla bambina com’era la loro organizzazione. Nel giro di poche settimane si era stabilito un fortissimo rapporto di amicizia, basato molto sulla fiducia. Aurora si recava là ogni pomeriggio dopo scuola. Le fate erano molto grate a lei. Passavano dei momenti indimenticabili e le loro risate erano contagiose. Un giorno però il padre di Aurora, Livio, poiché la bambina ogni pomeriggio si rendeva costantemente irreperibile, decise di seguirla. La piccola si dirigeva cautamente nel suo bosco, quando ad un certo punto un rumore attirò la sua attenzione, ma non si preoccupò più di tanto e proseguì. Livio allora cercò di mimetizzarsi il più possibile, non doveva scoprirlo. Arrivati a destinazione gli occhi di Livio iniziarono a brillare. Lui non sapeva l’esistenza di quel bosco. Livio era un costruttore e da poco il suo capo l’aveva nominato capo della ditta più importante, si diceva fosse una delle ditte più conosciute. Quel posto era perfetto, si sarebbero potuti costruire un sacco di case e milioni di edifici. Nella sua mente erano già chiari tutti i progetti. Non si curò più della bambina, bensì di recarsi in ufficio e proporre quest’idea: certo, avrebbe agevolato molto la sua famiglia, ma incoscientemente avrebbe ucciso il popolo delle fate. Il capo accettò subito e nel giro di poche settimane i progetti e le ruspe erano pronti.
La sera il padre di Aurora raccontò la splendida idea alla famiglia spiegando il posto in cui si sarebbe dovuto creare. Allora la piccola riuscì a ricollegare tutto; quello strano rumore erano i passi del padre e quel posto di cui il padre parlava era proprio il boschetto delle fate. La povera si recò subito nella sua cameretta e incominciò a prendersi le colpe. Era colpa sua se tutto adesso si stava distruggendo, doveva stare più attenta, non sapeva come fare e di certo non avrebbe tradito la fiducia delle fate. Le fate erano preoccupatissime, non potevano spostarsi, avrebbero rischiato troppo. Passarono giorni e notti, nel pianto, e senza alcuna soluzione, fin quando però Aurora decise che non poteva accadere e non sarebbe accaduto. La mente strategica della piccola ideò uno splendido piano, che sarebbe stato perfetto.
In uno strano pomeriggio in cui le nuvole si ponevano rosa con alcune sfumature di celeste, le ruspe si dirigevano verso i cespugli e la tensione era al massimo. Le fate erano pronte. Il piano prevedeva l’utilizzo dei poteri delle fate: ognuno doveva aiutare, nessuno poteva mancare. In pochi minuti il bosco si rinfoltì, enormi e forti fusti si innalzavano al cielo. Le ruspe non riuscirono a abbattere neanche un solo albero. Gli autisti allora scesero dai loro mezzi e si avvicinarono alle piante, ma subito vennero aggrediti da esse e si ritrovarono in un batter d’occhio legati da lunghissimi forzuti filamenti. Tutte le fate erano felicissime: il loro bosco non solo era stato salvato ma era diventato immune contro ogni forma di violenza. La piccola promise di non farsi più scoprire e di non far costruire nessun edificio in quel posto, che ogni inverno si sarebbe imbiancato per la neve, ogni autunno avrebbe creato degli splendidi paesaggi pieni di colori caldi per le foglie, ogni primavera avrebbe fatto sognare fiorendo ed ogni estate reso caldo e piacevole dal magnifico sole. Un luogo che si definiva ormai sacro. Le fate così trovarono davvero la felicità e la piccola fanciulla riusciva ogni settimana ad aiutare quel piccolissimo “popolo” e fu così, che vissero per sempre tutti felici e contenti.
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