Italia ed Europa dal 1500 al 1700 - Studentville

Italia ed Europa dal 1500 al 1700

Quadro socio-economico dell'Italia e dell'Europa tra il 1500 e il 1700.

Il Cinquecento

Agli inizi del 1500 l’Italia continuava a restare politicamente divisa: a Milano i duchi della famiglia Sforza, a Venezia l’oligarchia commerciale, a Firenze i Medici, nell’Italia centrale lo Stato della Chiesa e a sud il regno di Napoli, governato dalla dinastia spagnola degli Aragona. Non esisteva un unico mercato nazionale come in Inghilterra e in Francia. Le città, pur essendo molto ricche, basavano la loro attività sul commercio coll’estero e questo le rendeva inevitabilmente rivali. Di qui l’inizio della decadenza economica, dopo la grande fioritura dei Comuni e delle Signorie.

Complessivamente le ragioni della decadenza sono queste:

1) assenza di un unico mercato interno;

2) presenza di barriere doganali, dazi elevati e protezionismo fra gli stati italiani (il che comporta l’aumento del prezzo delle merci);

3) all’interno di ogni stato italiano solo la città principale poteva estendere la propria industria;

4) quando Inghilterra, Francia e altri paesi nord-europei sviluppano una loro manifattura, i prodotti (soprattutto tessili) delle città industriali italiane (Firenze, Milano, Venezia, Padova…) non sono più concorrenziali. Altre industrie entrano in crisi: cantieristica, cotone, armi, ecc. Solo i prodotti di lusso continuano ad essere richiesti (seta, oreficeria, vetro veneziano, oggetti d’arte) ma il consumo riguarda una stretta minoranza;

5) dopo la conquista turca di Costantinopoli nel 1453, i mercanti italiani, per riavere i diritti commerciali, devono pagare forti tasse, per cui i rapporti coll’Oriente finiscono (l’unica via era quella che passava per l’Egitto, ma qui i sultani arabi hanno il monopolio del commercio);

6) con la scoperta dell’America (1492) il Mediterraneo perde molta della sua importanza, a tutto vantaggio delle coste atlantiche.

A causa della decadenza economica, accelerata dalla divisione politica, mercanti e imprenditori cominciano ad abbandonare l’attività commerciale e industriale, cercando altri settori nei quali investire con profitto i propri capitali. Di qui lo sviluppo delle operazioni puramente finanziarie e usuraie (prestiti concessi ad alti interessi); di qui l’acquisto di terre e di titoli nobiliari da parte della borghesia cittadina. In pratica, mercanti, banchieri e imprenditori si trasformano in proprietari terrieri che concedono ai contadini piccoli appezzamenti di terra in affitto e a condizioni semifeudali. La rendita feudale diventa la fonte principale dei loro redditi.

Nell’Italia centrosettentrionale, man mano che si chiudono le industrie (opifici), una gran quantità di operai è costretta a lasciare le città e a ritornare nelle campagne. Di qui il grande sviluppo dell’orticoltura. Il tipo fondamentale di affitto diventa la mezzadria: cioè in base a un contratto il mezzadro deve assumersi tutte le spese dell’azienda, apportare i miglioramenti necessari e introdurre nuove colture. In tutto questo il proprietario poteva sempre interferire. Egli però s’impegnava a fornire sementi, bestiame, strumenti agricoli o il denaro per comprarli. Il mezzadro doveva dare metà raccolto al proprietario e pagare le imposte allo Stato. Purtroppo, i mezzadri, dovendo sopportare il peso delle guerre di conquista franco-spagnole e vessati da interessi usurai, facilmente diventavano, pur essendo formalmente liberi, schiavi del loro padrone, per cui la fuga era punita col carcere. E così, oltre alla metà del raccolto, il padrone, col tempo, pretenderà altre corvées. In una situazione ancora peggiore si trovavano gli operai salariati agricoli, completamente privi di qualsiasi proprietà.

Il frazionamento politico rendeva ovviamente l’Italia facile preda degli Stati vicini, Francia e Spagna, che avevano già ultimato la loro unificazione nazionale alla fine del 1400 mediante forti monarchie centralizzate. Il primo a scendere in Italia fu Carlo VIII, chiamato da Ludovico il Moro di Milano per combattere Ferdinando I, re spagnolo a Napoli. Carlo VIII s’insediò nel napoletano, ma Milano, Venezia, il Papato, il re di Spagna e l’imperatore d’Austria riuscirono a cacciare i francesi.
La guerra contro i francesi continuò sino alla pace di Cateau-Cambresis (1559) che sancì definitivamente l’egemonia spagnola in Italia e in Europa. La Francia dovette rinunciare a ogni pretesa sull’Italia.

Durante queste guerre l’Italia cattolica si vide impegnata anche nella Controriforma con il Concilio di Trento (1545-1563). Viene ripristinato il Tribunale dell’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti.
Contro gli avidi feudatari francesi e spagnoli, contro le bande di mercenari che coi loro saccheggi devastavano il paese, insorsero al centro-nord masse popolari con idee eretiche e riformatrici (valdesi, anabattisti, ecc.). Tuttavia la Spagna trionfò su tutti, continuando a tenere in condizione di vassallaggio gran parte dei territori italiani.

Con Machiavelli e Guicciardini si comincia ad avanzare l’idea dell’unificazione del paese: un’idea che secondo i loro piani avrebbe dovuto realizzarsi ad ogni costo e con qualsiasi mezzo e soprattutto per opera di un principe risoluto e senza scrupoli. Il modello di Machiavelli era il figlio del papa Alessandro VI, Cesare Borgia, duca di Romagna, famoso per i suoi delitti.
La Spagna non faceva altro che perseguire una politica di rafforzamento dell’ordine feudale esistente nell’Italia meridionale e in Sicilia. Ciò ebbe come conseguenza un progressivo impoverimento delle masse contadine.

Lo Stato della Chiesa non era interessato all’unificazione nazionale. Sul piano economico aveva un sistema analogo a quello spagnolo. Inoltre era impegnato nella lotta contro la Riforma protestante, di cui temeva il diffondersi negli stati italiani.
Nel corso del ‘500 si sviluppano notevolmente le arti (Raffaello, Michelangelo, Ariosto, Leonardo da Vinci, ecc.).

Dopo la cacciata dei Francesi dall’Italia, il predominio spagnolo dura per oltre un secolo e mezzo, dalla Pace di Cateau-Cambrésis (1559) fino alla Pace di Utrecht (1713). Con la guerra di Successione spagnola (1700-1713), i possessi spagnoli in Italia passano all’Austria (regno di Napoli, Ducato di Milano e Sardegna). Ma i Borboni di Spagna riescono a sottrarre la Sicilia e la Sardegna agli Asburgo, conquistando poi il Regno delle due Sicilie. Gli austriaci rimasero nel Lombardo-Veneto.

Verso la metà del 1700 al nord nobiltà e clero avevano circa i 2/3 di tutte le terre coltivabili, al sud addirittura i 9/10. Il livello dell’agricoltura era molto basso e la tecnica primitiva. Molti contadini fuggivano all’estero o si ribellavano, diventando anche eretici (Valdesi).
Il commercio era praticamente inesistente: i paesi nord-europei erano più forti e concorrenziali. Anche l’industria stagnava. I ceti privilegiati non pagavano tasse, vivevano di rendita, ricoprivano le cariche maggiori nell’esercito e nell’apparato statale…

E’ nella seconda metà del ‘700 che l’Italia, grazie a un prolungato periodo di pace, può in parte riprendersi economicamente. Lo sviluppo dell’agricoltura assume un carattere più mercantile che feudale. La classe borghese s’interessa a migliorare la produzione agricola. Si sviluppa la manifattura tessile e metallurgica, dove venivano riuniti molti operai, nonché molti lavoratori a domicilio che eseguivano operazioni singole.

Sommosse tuttavia non mancarono in questo periodo. L’aumento dei prezzi infatti facilmente trasformava i contadini in braccianti, gli artigiani in operai salariati delle manifatture. Di fronte a queste sommosse i governi assolutistici italiani cercano di alleggerire la pressione sulle masse intaccando alcuni privilegi delle classi nobiliari e del clero, ma la maggioranza delle riforme dell’assolutismo illuminato fallisce, a causa delle resistente delle classi privilegiate.

Ciò indusse gli ideologi illuministi della giovane borghesia italiana a chiedere l’abolizione dei privilegi dei nobili e del clero, nonché l’applicazione di leggi egualitarie. Si formano delle Società culturali borghesi (ad es. quella dei Pugni ove il Beccaria scrisse Dei delitti e delle pene) che chiedevano la fine della divisione politica degli stati italiani, l’abbattimento delle barriere doganali, dei dazi protettivi, l’adozione di una legislazione unificata, ecc. Queste Società riponevano grandi speranze nei monarchi, esortandoli a unirsi e a togliere le terre ai nobili e al clero per darle ai contadini.

A queste idee presto si aggiunsero quelle provenienti dalla Francia rivoluzionaria, ma gli illuministi italiani, molto più di quelli francesi, continuavano ad attendere le riforme dall’alto. Ciononostante la Rivoluzione francese trovò in Italia molti seguaci. Nel nord i francesi insieme agli italiani illuministi costituirono la Repubblica Cisalpina (ex-possessi austriaci, ex ducato di Modena, Legazioni pontificie), a Genova la Repubblica Ligure, a Roma quella Romana, a Napoli quella Partenopea.

Tuttavia, l’aspirazione degli illuministi italiani alla costituzione di una Repubblica unificata non trovò l’appoggio di Napoleone, che preferiva dominare un’Italia divisa. Questo fu uno dei motivi per cui gli italiani si allontanarono dalla Francia. Altri motivi furono: il carattere predatorio della politica francese, la divisione dei territori della Repubblica Veneta fra Austria e Francia, il sequestro francese di moltissime opere d’arte italiane, la mancata concessione ai contadini delle terre confiscate al clero (terre che finirono solo alla borghesia).

Il Seicento

Il Seicento italiano fu caratterizzato dal predominio della monarchia spagnola. Questo predominio diventa sicuro con la pace di Cateau-Cambresis (1559), con cui si pone termine alle guerre italiane tra Borboni di Francia e Asburgo di Spagna: quest’ultimi occupano il ducato di Milano e tutta l’Italia meridionale e insulare. Tale situazione resterà invariata fino alla pace di Utrecht (1713) tra Francia e Spagna, che concluderà la guerra di “successione spagnola”, causata dal fatto che l’ultimo discendente Asburgo di Spagna, Carlo II, era morto senza lasciare figli maschi. La Spagna conserverà l’indipendenza dalla Francia, ma sul suo trono salirà un Borbone francese e il suo predominio in Italia verrà surclassato da quello austriaco, fino al 1748 (pace di Aquisgrana fra Borboni spagnoli e Asburgo austriaci). La Sicilia in un primo momento passerà al duca di Savoia, in seguito agli Asburgo d’Austria, mentre la Sardegna ai Savoia. Dopo il 1748 i Borboni spagnoli (subentrati agli Asburgo spagnoli) torneranno nel Mezzogiorno (esclusa la Sardegna) e l’Austria resterà in Lombardia e Toscana.

Durante l’egemonia spagnola resteranno relativamente indipendenti: Repubblica Veneta (oppressa però nei suoi domini mediterranei dai Turchi), Stato Pontificio (che nulla aveva potuto nell’Europa settentrionale con la Controriforma) e Ducato di Savoia (condizionato però dagli Asburgo in Lombardia e dalla Francia a occidente).

Sul piano economico l’Italia ebbe un tracollo dal quale, fino all’unità nazionale, non riuscirà più a sollevarsi. Divisa in tanti staterelli fra loro concorrenziali, l’economia mercantile non riuscì a trovare lo spazio sufficiente per allargarsi e ingrandirsi (i dazi doganali e il protezionismo glielo impedivano). Influenzata inoltre dalla Controriforma cattolica e dalla politica conservatrice, aristocratica e di mera rapina degli Asburgo, l’Italia fu costretta ad abbandonare i mercati (nei quali si era distinta prima di ogni altra nazione europea) e a ritornare alla terra (rifeudalizzazione), la quale, anche se garantiva redditi minori, era una fonte d’entrata più sicura. Naturalmente non mancarono le rivolte contro il governo spagnolo (la più famosa fu quella di Napoli del 1647, capeggiata dal pescivendolo Masaniello)- ma nessuna ebbe esito positivo.

A LIVELLO EUROPEO

Con la pace di Augusta (1555) l’imperatore del Sacro romano-germanico impero, Carlo V, decise di rinunciare alla sua idea di restaurare l’unità politica e religiosa dell’Impero. Accettò quindi la pace sia coi protestanti tedeschi che coi francesi.
Con i protestanti: accettò la loro libertà religiosa, anche se impose due principi restrittivi:

1) cuius regio eius religio, secondo cui i sudditi di uno Stato avrebbero dovuto conformarsi alla religione del loro principe o, in caso contrario, emigrare;

2) reservatum ecclesiasticum, secondo cui i beni ecclesiastici secolarizzati prima del 1552 non sarebbero più stati rivendicati dalla chiesa cattolica, mentre se qualche prelato cattolico si fosse convertito al luteranesimo dopo tale anno avrebbe dovuto rinunciare a tutti i benefici e possessi goduti in virtù della propria carica e restituirli alla chiesa cattolica.

Con i francesi: Carlo V, subito dopo la Pace d’Augusta, abdicò dividendo il regno d’Asburgo in due parti: una la diede al fratello Ferdinando I (già re di Boemia-Ungheria, che ereditò i domini austriaci e la corona imperiale); l’altra la diede al figlio Filippo II (che ebbe Spagna, Paesi Bassi, Italia e colonie americane).
Questa divisione geopolitica tuttavia non servì a nulla, poiché Filippo II, dopo aver realizzato, in politica interna, un assolutismo centralizzato e militarizzato, ostile sia ad ogni autonomia cittadina e regionale (cioè ad ogni attività borghese), sia ad ogni religione che non fosse quella cattolica della chiesa romana; dopo aver, in politica estera, conquistato il Portogallo, represso i calvinisti nei Paesi Bassi (anche se poi, nel 1648, con l’aiuto della borghesia, i calvinisti riusciranno a ottenere l’indipendenza dell’Olanda dalla Spagna, mentre il Belgio non vi riuscirà e resterà cattolico); dopo inoltre aver tentato di ricondurre l’Inghilterra in seno alla chiesa romana (in questo caso senza conseguire alcun successo, anzi, perdendo l’egemonia navale a vantaggio degli inglesi)- dopo tutto ciò volle scatenare un’altra guerra contro la Francia, approfittando della crisi socioeconomica e dinastica di questo paese, profondamente diviso tra cattolici e ugonotti (calvinisti), i primi rappresentati dal partito dei Guisa (appoggiato dalla Spagna), i secondi rappresentati dal partito dei Borboni (sostenuto dall’Inghilterra).

La guerra, in un primo momento, si concluse favorevolmente alla Spagna (pace di Cateau-Cambresis 1559), ma in seguito, a motivo del fatto che il re Borbone Enrico IV si convertì al cattolicesimo, riconoscendo completa libertà di culto agli ugonotti, si rivelerà catastrofica per la Spagna, in quanto la Francia la obbligherà a due umilianti sconfitte: la prima si concluderà con la pace di Westfalia (1648), che segna il declino degli Asburgo d’Austria, e la seconda si concluderà con la pace dei Pirenei (1659), che segna il declino degli Asburgo di Spagna. Declino determinato anche dal fatto che le immense ricchezze provenienti dalle colonie americane, vennero sperperate dal governo spagnolo per acquistare presso altri paesi i beni di consumo ch’esso non voleva produrre in proprio. Le stesse colonie, costrette a commerciare con una madrepatria del tutto parassitaria, andarono ben presto in rovina.

Alla Pace di Westfalia si arrivò dopo una guerra durata trent’anni (1618-48), causata dal fatto che né i cattolici né i protestanti avevano intenzione di accettare le due clausole restrittive della Pace di Augusta. Il luteranesimo in Germania era ancora una forza in via di espansione, per cui i principi feudali si sentivano più autorizzati a chiedere di spostare in avanti l’anno-limite delle secolarizzazioni (1552) dei beni cattolici. A ciò si opponeva la vigorosa offensiva antiprotestante della controriforma cattolica, sviluppatasi nelle province centromeridionali dell’impero asburgico.

Infine, i gruppi calvinisti reclamavano parità di condizioni giuridiche rispetto ai luterani.
Allorché quindi l’imperatore Ferdinando I, dopo aver ottenuto la corona di Boemia (1617), decide di demolire le chiese protestanti ivi presenti o di chiuderle forzatamente, questo fu considerato come un buon motivo per scatenare una guerra tra Boemia e Impero (Austria). Ferdinando, che intanto è riuscito a garantirsi anche la corona di Ungheria, non chiede di meglio, avendo egli intenzione di stabilire la supremazia imperiale dall’area baltica al confine renano. Dopo la sconfitta della Boemia, insorse la Danimarca, ma inutilmente. Questa volta l’Impero riuscì anche a imporre ai protestanti di restituire tutti i benefici ecclesiastici occupati dopo la Pace di Augusta (Editto di restituzione) e cercò altresì di riaffermare su tutti i principi (cattolici e protestanti) della Germania il suo potere, allargando infine i propri confini sul Mar Baltico. Ciò determinò l’entrata in guerra della Svezia, che però subì una netta sconfitta. Fu a questo punto che la Francia dichiarò contemporaneamente guerra alla Spagna e all’Austria.

Dopo 10 anni di guerra la Francia impose all’Impero le seguenti condizioni per realizzare la pace di Westfalia (1648):

1) Non-obbligo, da parte dei sudditi, di professare la religione dei loro principi qualora questi decidano di abbracciare un nuovo credo;

2) divieto ai principi di confiscare i beni dei dissidenti costretti a emigrare;

3) estensione del riconoscimento giuridico anche alla confessione calvinista, cioè ogni sovrano deve rispettare nel proprio Stato le minoranze religiose;

4) i beni ecclesiastici, in possesso dei protestanti fino al 1624, non devono essere restituiti alla chiesa cattolica (revoca dell’Editto di restituzione);

5) la Francia si annette l’Alsazia (esclusa Strasburgo), diventando una potenza di primissimo piano in Europa, mentre la Svezia si annette alcune città e territori del Baltico. I Paesi Bassi e la Svizzera diventano indipendenti;

6) l’Impero ottiene soltanto che i 350 principi e sovrani al suo interno, pur potendo stringere alleanze tra loro o con potenze straniere, non devono farlo contro gli interessi dell’Impero. La Casa d’Austria dovrà rinunciare per sempre al tentativo d’imporre alla Germania un potere monarchico accentrato ed ereditario.

La Spagna non riconosce questa pace, ma la Francia, alleata con l’Inghilterra, la sconfigge militarmente obbligandola alla pace dei Pirenei (1659). Inoltre la Francia, per assicurarsi eventuali diritti sul trono spagnolo, promuove una politica matrimoniale che determinerà in seguito la guerra di devoluzione e di successione spagnola (che porterà un ramo dei Borboni francesi sul trono spagnolo).

DALLA PACE DI WESTFALIA (1648)  AI TRATTATI DI UTRECHT (1713) E DI RASTADT (1714)

In questo periodo la storia degli Stati europei è caratterizzata dal predominio della Francia di Luigi XIV e dalle lotte sostenute dagli Asburgo d’Austria-Spagna e dall’Inghilterra per contrastarlo.

Politica di Luigi XIV-RE Sole (1661-1715):

1) ridurre la potenza dell’aristocrazia nobiliare, già limitata dall’ascesa di un nobiltà di toga di estrazione borghese, ed anche economicamente in crisi per il prevalere del capitale commerciale dei ceti medi (il RE trasformò la vecchia nobiltà politica in nobiltà cortigiana, abituandola a vivere di laute pensioni e prebende a Versailles, lontana dalle popolazioni rurali di provincia);

2) sviluppare il mercantilismo (colbertismo): la ricchezza di una nazione dipende dalla quantità di oro-argento posseduta, favorire l’export e impedire l’import (protezionismo), bassi salari a bassi i prezzi dei prodotti agricoli per favorire l’export, nascita delle grandi manifatture sovvenzionate dallo Stato o di sua proprietà (tessuti, tintorie, porcellane, artigianato del vetro) per vincere all’estero la concorrenza straniera, quindi favorire lo sviluppo della borghesia, migliorando le vie di comunicazione e creando una Compagnia per le Indie orientali e una per quelle occidentali (conquiste coloniali);

3) realizzare un forte accentramento amministrativo (istituire gli Intendenti, cioè i rappresentanti del potere centrale nelle province, con ogni potere amministrativo, giudiziario e militare);

4) sul piano della politica religiosa: a) garantire l’indipendenza della Chiesa gallicana da Roma (l’alto clero sottoscrive una Dichiarazione gallicana con cui s’afferma la superiorità dei concili dei vescovi sul papa e si ribadisce la dipendenza della Chiesa francese dal sovrano in ogni materia che non sia di ordine spirituale); b) spezzare l’indipendenza morale e religiosa degli ugonotti e dei giansenisti (entrambi filocalvinisti), per eliminare in Francia ogni opposizione all’assolutismo monarchico;

5) in politica estera la Francia cerca di allargare i confini a danno di Spagna, Olanda, Piemonte, Lussemburgo, scatenando diverse guerre (guerra di devoluzione, d’Olanda, della Lega d’Augusta e di successione spagnola).

La guerra più importante è quella di successione spagnola. Nel 1700 era morto l’ultimo rappresentante del ramo spagnolo degli Asburgo, Carlo II, senza lasciare eredi maschi. Gli aspiranti alla successione erano i Borboni francesi con Filippo d’Angiò, designato dallo stesso Carlo II a condizione che le corone francese e spagnola non fossero mai unite in un solo regno; gli altri pretendenti erano gli Asburgo d’Austria, per diritto di dinastia. La guerra di successione spagnola scoppiò perché, dopo aver insediato in Spagna Filippo V d’Angiò, la Francia voleva riaffermare una propria egemonia a livello europeo e coloniale, sfruttando le colonie spagnole nell’America centromeridionale. Inghilterra, Olanda e altri piccoli Stati si allearono per limitare queste pretesa e vi riuscirono con una guerra che durò dal 1701 al 1713. Poi si fece la Pace di Utrecht (1713), con la quale Filippo V rimase sul trono spagnolo, ma a condizione di rispettare la volontà di Carlo II e rinunciando (per sé e i successori) ad ogni diritto sulla corona francese.

Nel 1714 la Francia fu costretta al Trattato di Rastadt con l’Austria. Dalla spartizione dei possessi coloniali spagnoli trassero profitto gli Asburgo d’Austria, che poterono estendere la loro sovranità ai Paesi Bassi spagnoli, ai domini in Italia (Milano, Sardegna e Regno di Napoli, esclusa la Sicilia). I Savoia acquistarono la Sicilia, offerta dall’Inghilterra, che durante la guerra di successione spagnola l’aveva tolta alla Spagna. I Savoia acquistano anche il titolo regio. L’Inghilterra acquista Gibilterra e si afferma nel Mediterraneo e nell’Atlantico.

Gli imperi coloniali all’inizio del ‘700.

Spagna e Portogallo avevano dominato i mari tra il 1450 e il 1550. Protagonisti del colonialismo europeo sono tra il ‘600 e il ‘650 inglesi e olandesi, in parte i francesi.

1. Spagna: Messico, Florida, tutta l’America centromeridionale (escluso il Brasile), isole Filippine e le Molucche nel Pacifico. Dominio rapace, esoso, fiscale, inetto sul piano amministrativo, scarso sul piano borghese-commeciale. Sfruttamento di piantagioni di canna da zucchero, cacao, caffè, cotone… Per sopperire alla mancanza di manodopera favoriscono la tratta dei negri (importandoli dall’Africa).

2. Portogallo: Brasile, dove sfrutta canna da zucchero, tabacco, caffè… Anch’esso favorevole allo schiavismo negro e indio. In Africa e Asia ha perduto importanti scali commerciali a vantaggio di Olandesi e Inglesi, quando fu conquistato dalla Spagna (1580-1641). Gli olandesi presero Città del Capo, Ceylon…; gli inglesi Calcutta e Madras: prime basi del futuro dominio in India.

3. Francia: Quebec fondata nel 1608, futura capitale del Canada. Nella Americhe la Francia dispone del Canada e della Luisiana, ma siccome la sua emigrazione coloniale è scarsa, le colonie, semispopolate, non resistono alle pressioni di quelle inglesi lungo le coste atlantiche. In Africa la Francia dispone del Senegal e dell’isola Madagascar.

4. Inghilterra: l’emigrazione dei perseguitati politici inglesi per motivi religiosi (puritani, quaccheri), interessò le coste orientali dell’America settentrionale. Gli Inglesi con la guerra coloniale porteranno via alla Francia il Canada e la Luisiana, e alla Spagna la Florida (metà ‘700). Le colonie inglesi si dividono in nordamericane: agricoltura, allevamento bestiame, piccola proprietà; e sudamericane: agricoltura, latifondo (canna da zucchero, tabacco, cotone, coltivate da schiavi negri.

IPOTESI INTERPRETATIVE

Per la storiografia del "se" sarebbe interessante affrontare il seguente argomento ipotetico: se la chiesa cattolica italiana non avesse assunto, durante il Rinascimento e la Riforma protestante, delle posizioni nettamente conservatrici, il processo economico-borghese, posto che avesse realizzato l'unificazione nazionale, col relativo mercato interno, avrebbe preso la stessa strada degli altri Paesi europei o avrebbe potuto prenderne un'altra? Se sì, quale?

Qui si possono fare due congetture:

A) se l'Italia avesse fatto l'unificazione nazionale, contestando la Riforma protestante, probabilmente non si sarebbe comportata in modo molto diverso da come si comportarono Spagna e Portogallo, nel senso cioè che avrebbe partecipato subito alla spartizione delle colonie dei Paesi extraeuropei (non dimentichiamoci: 1) che nessuno Stato italiano finanziò l'impresa di Colombo solo perché i costi erano ritenuti sproporzionati rispetto ai grandi rischi cui si poteva andare incontro: lo stesso pensarono il Portogallo e l'Inghilterra; 2) che molti navigatori dell'epoca erano di origine italiana e che la stessa impresa di Colombo venne in parte finanziata da mercanti e banchieri genovesi e fiorentini).

Qui però si può fare una distinzione: l'Italia unita e cattolica non si sarebbe comportata esattamente come la Spagna, poiché questa aveva conservato un cattolicesimo più arretrato e feudale, mentre in Italia l'Umanesimo e il Rinascimento avevano fortemente laicizzato la religione; e forse non si sarebbe comportata esattamente neppure come il Portogallo, perché questa nazione, pur essendo sulla strada della laicizzazione della religione, non aveva le capacità imprenditoriali degli italiani, ma solo quelle commerciali, per cui il suo colonialismo fu costretto (anche per l'esiguità del numero dei colonizzatori) a limitarsi alle zone costiere dell'Africa e dell'Asia (con l'unica eccezione del Brasile).

B) Se invece l'Italia avesse fatto l'unificazione nazionale, accettando la Riforma, probabilmente essa si sarebbe comportata come l'Inghilterra o l'Olanda, diventando quindi una nazione molto più potente della Spagna e del Portogallo e…con molti meno scrupoli religiosi.
Per quale ragione? La caratteristica socioeconomica della società italiana era, quel tempo, fondamentalmente "borghese" (almeno nell'ambito dei Comuni e delle Signorie), mentre in Spagna, ad es., era, dopo la Riconquista, quasi completamente feudale.
La borghesia è una classe economicamente più avanzata dell'aristocrazia feudale, poiché investe i capitali in attività fortemente speculative, per cui la ricchezza e il potere della nostra nazione non avrebbero potuto essere inferiori a quelli dell'Inghilterra e men che mai a quelli dell'Olanda. L'Inghilterra acquisì capacità imprenditoriali quando l'Italia almeno da due secoli le aveva già dimostrate.

Che giudizio dare dunque della chiesa cattolica italiana? Se l'Italia non è diventata come la Spagna o il Portogallo, forse indirettamente lo dobbiamo anche alla chiesa che, opponendosi all'unificazione nazionale, ci ha impedito di diventare dei grandi colonialisti. La chiesa romana ha accettato le avventure coloniali (si pensi alle crociate) solo fino a quando è stata in grado di decidere le sorti del nostro Paese (pur sempre in un rapporto conflittuale con l'impero prima e le forze comunali dopo). Perduta la relativa egemonia, la chiesa s'è limitata a "sfruttare" le conquiste coloniali di Spagna e Portogallo per gli interessi esclusivi del proprio Stato e non anche per quelli della penisola. In tal modo l'unificazione nazionale è diventata un obiettivo ancora più difficile da realizzare. La chiesa romana ha sempre temuto che gli Stati italiani potessero diventare troppo forti da obbligarla ad accettare l'unificazione nazionale. E gli staterelli italiani, dal canto loro, sono sempre stati troppo divisi perché potessero diventare molto forti.

Inizialmente l'Italia non partecipò allo sterminio di massa degli indios, alla loro schiavizzazione e al saccheggio delle loro risorse. Sarà solo in seguito che la nostra classe borghese cercherà di accodarsi alle potenze straniere per partecipare allo sfruttamento delle colonie.
Probabilmente, se la chiesa avesse accettato, oltre all'unificazione nazionale, anche la Riforma, noi avremmo avuto un'Italia borghese e capitalistica, non meno feroce dell'Olanda e dell'Inghilterra. Solo che questa eventualità è antistorica, poiché il protestantesimo è potuto nascere proprio in opposizione al cattolicesimo-romano. Al massimo si sarebbe potuto verificare che le regioni italiane economicamente più sviluppate o geograficamente più vicine all'area protestante dell'Europa, avrebbero potuto "dividere" l'Italia in due, costringendo i cattolici al compromesso (cosa che avvenne in Francia, in Irlanda, in Austria…).

In ogni caso lo sviluppo degli eventi ha dato torto alla chiesa romana: da noi si è sviluppato il capitalismo e siamo diventati come le altre nazioni europee. Anzi, siccome, al pari della Germania, abbiamo perso del tempo prezioso nel momento di dare un peso politico all'originaria accumulazione capitalistica, per poterlo recuperare siamo stati costretti a ricorrere al fascismo. In Germania la contraddizione tra la Riforma e la mancata unificazione fu ancora più stridente che in Italia: questo spiega il motivo per cui il nazismo fu più totalitario del fascismo.
La chiesa cattolica ha dunque avuto torto nell'impedire l'unificazione nazionale e nel contrapporsi in modo frontale alla Riforma. Ma questi due atteggiamenti non sono stati presi in seria considerazione dalla borghesia italiana e dagli intellettuali progressisti (umanisti). Nel senso che si è preferito assumere un atteggiamento passivo, indifferente, accettando l'autoritarismo di Roma come un fatto inevitabile.

La borghesia italiana ha perso il confronto con la chiesa romana semplicemente perché non ha avuto fiducia nelle masse. Gli intellettuali hanno rifiutato di discutere sui problemi della Riforma semplicemente perché li credevano anacronistici, inutili ai fini dell'unificazione nazionale, ch'essi anzi avrebbero voluto al di fuori di qualunque potere religioso. Il loro distacco dalle masse era totale.
In Italia è mancato un dibattito culturale nazionale sui problemi della Riforma e della nascente rivoluzione borghese. Volendo, l'Italia avrebbe potuto imboccare la strada di uno sviluppo socioeconomico democratico, senza doversi per forza caratterizzare in modo capitalistico.
Probabilmente c'era già la possibilità che l'unificazione nazionale si realizzasse con il contributo non solo delle forze borghesi progressiste, ma anche di quelle non borghesi. La borghesia non era costretta ad accettare il compromesso con l'aristocrazia e la chiesa controriformista. La borghesia non è sempre la stessa quando lotta contro aristocrazia e clero, e quando lotta contro operai e contadini dopo essere andata al potere. Per la borghesia del '500 tutte le soluzioni rivoluzionarie erano ancora aperte.

Altre questioni ipotetiche da esaminare:

1) Se non ci fosse stata la conquista dell'America, la discesa di Carlo VIII in Italia avrebbe potuto determinare la fine dell'egemonia spagnola nel Meridione e il crollo definitivo dello Stato della Chiesa?

2) Cioè avremmo forse potuto avere la prosecuzione e lo sviluppo nazionale del Rinascimento e della scienza? Oppure l'Italia sarebbe diventata una colonia della Francia? O forse, proprio lottando contro la Francia, l'Italia avrebbe potuto raggiungere l'obiettivo dell'unificazione nazionale?

3) E la Riforma protestante, una volta ridimensionate le pretese della chiesa romana, ci sarebbe stata ugualmente? anche in Italia?

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