Come tutti i pensatori tedeschi del suo tempo, Kant ò fortemente influenzato dalla sua formazione dal pensiero di Leibniz e di Wolff, anche se questi antecedenti costituiscono per lui soltanto un punto di partenza, il cosiddetto “periodo precritico” della filosofia kantiana ( quello precedente alla pubblicazione della Critica della ragion pura, o almeno alla dissertazione del ‘ 70 ) può infatti essere interpretato come il lento processo attraverso cui Kant rimedita il pensiero di questi autori, anche attraverso le meditazioni di altri filosofi (come Lambert e Crusius), fino ad emanciparsene completamente. Gli scritti preferiti di Kant si possono dividere in due gruppi. Il primo comprende le opere scientifiche, nelle quali appare chiaro come Leibniz sia il punto di partenza della fisica kantiana. Nella sua tesi di laurea, i Pensieri sulla valutazione delle forze vive (usciti soltanto nel 1749), Kant afferma che, mentre in matematica la forza può essere espressa dalla formula cartesiana (mv), in fisica e metafisica ( leibnizianamente ancora identificate ) vige quella elaborata da Leibniz (mv al quadrato). Ma pochi anni più tardi, egli interpreta le monadi leibniziane in senso materiale (nella Monadologia physica) ed accetta la dottrina crusiana del nexus physicus, cioò della connessione fisica esterna tra le monadi, correggendo così le teorie di Leibniz con una dottrina che ricordava molto da vicino quella dell’ attrazione e repulsione universale fornita da Newton. Questa graduale sostituzione di Leibniz con Newton diventa esplicita nella Storia universale della natura e del cielo, nella quale la concezione dinamico-finalistica della realtà , tipica di Leibniz, lascia il posto a una descrizione dell’ origine dell’ universo in termini rigorosamente meccanicistico-causali. Nel secondo gruppo di scritti precritici, relativi alle opere filosofiche, emerge invece quanto sia più lenta l’ emancipazione di Kant da Wolff (e quindi anche da Leibniz ) nell’ ambito della metafisica e della gnoseologia. Nel primo scritto kantiano di rilevanza filosofica, la Nova Dilucidatio, Kant enumera il principio di contraddizione e il principio di ragion determinante (una variante del principio di ragion sufficiente) tra i princìpi primi della metafisica. Ma ò notevole che, anche in quest’ opera di chiara ispirazione wolffiano-leibniziana, Kant prenda le distanze dai suoi modelli contestando a Wolff la priorità assoluta del principio di contraddizione, che viene accostato al principio di identità (come sua versione in negativo), e introducendo altri due princìpi – il princìpio di successione e il principio di coesistenza – che spiegano i rapporti temporali e spaziali attraverso la dottrina del nexus physicus. E’ qui impossibile seguire puntualmente, nelle singole opere, l’ evoluzione del pensiero precritico di Kant. Ci limiteremo quindi ad evidenziare le tendenze generali. Ben presto Kant dichiara la propria insofferenza per il metodo sillogistico di Wolff, che pretendeva di costruire astrattamente l’ intero edificio della metafisica, connettendo le singole conoscenze sulla base della loro non contradditotietà formale, senza preoccuparsi di trovare un riscontro nell’ esperienza. Questo metodo “sintetico”, che pretende di accrescere il sapere collegando (mediante una sintesi, appunto) le conoscenze già acquisite con conoscenze nuove sulla semplice base della loro non contradditorietà logica, va bene per la matematica, ma non per la filosofia (e la metafisica). La matematica infatti costruisce un edificio di grandezze numeriche o geometriche che vale esclusivamente per la sua pensabilità logica (cioò per la sua mancanza di contraddizione nei procedimenti che hanno condotto alla sua costruzione). Ma la filosofia e, in particolare la metafisica non si occupano di ciò che ò soltanto logicamente possibile, bensì di ciò che ò effettivamente esistente. Ora l’ esistenza per Kant – ed ò questo il punto di maggior contrasto con Wolffismo – non ò mai deducibile dal pensiero, sulla base dell’ assunto che ciò che ò pensabile (cioò che non contiene contraddizione logica) ò anche esistente. L’ esistenza ò invece per Kant una “posizione assoluta”, qualcosa che non ò costruibile con il pensiero, ma dev’ essere dato per via extralogica, e quindi necessariamente dall’ esperienza. A questo presupposto della datità dell’ esistenza Kant rimarrà sempre fedele anche nelle fasi più avanzate del suo pensiero critico. Se la filosofia non può procedere per semplice sintesi (come la matematica), essa dovrà procedere per analisi. Essa dovrà quindi partire da un concetto dato, per scomporlo nei suoi elementi in modo da renderlo evidente: solo in un secondo tempo, una volta conseguita l’ evidenza, si potrà procedere alla sintesi. In questa rivalutazione dell’ analisi Kant fa convergere, in realtà non senza problemi, la tradizione empiristica, che intendeva, l’ analisi come scomposizione del dato empirico, e quella leibniziana, che la concepiva come applicazione formale del principio di identità . Ma in ogni caso Kant non tarda ad avvedersi dell’ inadeguatezza del procedimento analitico a risolvere alcuni problemi filosofici: per esempio quello della causalità , nella quale ò impossibile dedurre analiticamente (in base al principio di identità ) l’ effetto della causa, poichò l’ effetto ò per definizione qualcosa di diverso dalla causa e di irriducibile ad essa. Nel Tentativo di introdurre in filosofia il concetto delle grandezze negative (1763) Kant, pur riconoscendo – wolffianamente – l’ inammissibilità dell’ “opposizione logica” (ovvero della contraddizione logica), ammette la possibilità di un’ “opposizione reale”, cioò di una connessione tra cose reali che non sia riconducibile al principio di identità . In altri termini, Kant si avvia lentamente verso il riconoscimento di una forma di sintesi che non sia quella sillogistica di Wolff, basata esclusivamente sulla non contraddizione e quindi sostanzialmente riconducibile all’ analisi: su quale principio si debba fondare questa nuova sintesi, tuttavia, Kant non lo sa ancora dire. Anche se non ò ancora giunto a dare una soluzione positiva al problema della conoscenza, Kant alla metà degli anni Sessanta ha ben chiaro che cosa la filosofia non debba fare. Essa non deve abbandonarsi all’ illusione, come aveva fatto Wolff, di poter costruire con certezza l’ intero edificio della metafisica semplicemente applicando un principio di coerenza formale. Piuttosto, il compito della metafisica (il termine ò qui pressochò corrispondente a “filosofia”) ò di essere “la scienza dei limiti della ragione”. E nei Sogni di un visionario – in cui ò contenuta tale definizione – questi limiti sono chiaramente individuati nell’ ambito dell’ esperienza. Ciò che va al dì là di questo ambito, come la fattispecie della questione relativa all’ esistenza degli spiriti, ma anche, più in generale, i problemi della metafisica tradizionale, non può essere oggetto di conoscenza da parte dell’ uomo. Gli scritti filosofici del periodo precritico si occupano come si ò visto, prevalentemente di gnoseologia e di metafisica (già intesa come disciplina metodologica). Ma non solo. Anche altri aspetti della ricerca filosofica trovano risonanza in essi. Sul piano della filosofia morale, nella Ricerca sulla chirezza dei princìpi della teologia e della morale (1763), Kant critica la “morale della perfezione” di Wolff, che definisce buona l’ azione volta al perfezionamento dell’ uomo, poichò la nozione di perfezione ò meramente formale e non dà alcuna indicazione sul contenuto dell’ azione. Per il momento Kant propende invece per la dottrina del sentimento morale di Shaftesbury e di Hutcheson – come si afferma nelle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (1764) – stabilendo una netta distinzione tra il piano della ragione, che riguarda la conoscenza, e quello del sentimento, che concerne la dimensione etica ed estetica. Il sentimento ò infatti anche la fonte di determinazione del bello e del sublime, che sono ancora visti in stretta connessione con la sfera dell’ antropologia, in quanto sono determinati nella distinzione tra i sessi (il femminile ò bello, il maschile ò sublime), tra i caratteri individuali (nel melanconico prevale il sublime, nel sanguigno il bello, ecc. ) e nazionali (italiani e francesi eccellono nel bello, inglesi e spagnoli nel sublime). Le opere del periodo precritico La prima opera di Kant ò del 1746 ed ò intitolata: Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive. Kant già definisce la sua prima opera un trattato del metodo in quanto egli già si pone il problema di un procedere sicuro e dimostrativo da adottare nella metafisica. La “forza viva” ò il nome con cui veniva chiamata nel â700 lâenergia cinetica. Il tema principale dellâopera ò il problema se la forza viva ò uguale a MxV (massa per velocità ), come aveva affermato Cartesio, oppure a MxV2 (massa per velocità al quadrato), come aveva affermato Leibniz. Kant propende per la tesi di Leibniz, Nei Pensieri troviamo una originale idea che riguarda lo spazio; Kant ritiene che lo spazio risulti dallâ ordine delle sostanze che lo compongono e che la tridimensionalità dello spazio sia un dato di fatto. Nel 1754 Kant scrive Ricerca sulla questione della causa del mutamento della terra nel suo movimento intorno allâasse e Se la terra invecchia. In questâultimo Kant ipotizza lâesistenza di un “Weltgeist” (spirito della terra) che egli definisce come materia sottile, la quale usurandosi farà estinguere la terra. Il capolavoro di questi anni ò Storia universale della natura e teoria dei cieli in cui Kant avanza lâipotesi di una nebulosa originaria dalla quale sarebbe nato il sistema planetario. Lâopera ò divisa in tre sezioni. Essa si distingue filosoficamente per la connessione tra meccanicismo, determinismo, e finalismo. Kant segue la lezione di Democrito, Epicuro e Lucrezio spiegando la struttura del mondo come materia in movimento. Dio non ha creato il mondo come lo conosciamo noi ma ha creato una sorta di materia indifferenziata dotata di nessi causali. Questi nessi, queste leggi progressivamente tendono a realizzare un fine, quello di dare un ordine al mondo. La differenza con Democrito, Epicuro e Lucrezio ò che essi mettono a principio di tutto il caso e non le leggi deterministiche. Lâopera Principiorum primorum cognitionis mataphysicae nova delucidatio si divide in tre sezioni: la prima dedicata al principio di contraddizione, la seconda dedicata al principio di ragion determinante, la terza dedicata al principio di successione e di coesistenza. Nella prima sezione Kant afferma che non câò un principio unico a fondamento di tutte le verità . Una proposizione o ò negativa o ò positiva; se ò positiva non si possono ricavare conclusioni negative e viceversa. Per questo motivo un principio non basta ma ne occorrono due: 1) Quicquid est est (valido per le proposizioni affermative); 2) Quicquid non est non est (valido per le proposizioni negative) Questi due principi costituiscono quello che comunemente si chiama principio di identità , che per Kant ò logicamente anteriore a quello di contraddizione perchè costituito da termini più universali e semplici. Kant ritiene di dover riformulare il principio di contraddizione (Eâ impossibile che una cosa sia e insieme non sia) in questi termini: Ciò di cui lâopposto ò falso, ò vero e ciò di cui lâopposto ò vero, ò falso. Riducendo il tutto ad una formulazione più sintetica: Ciò che non non ò, ò; ciò che non ò, non ò. Una più ampia sezione ò dedicata al principio di ragion determinante che egli deriva dal principio di ragion sufficiente di Leibniz. La ragione ò ciò che determina un soggetto rispetto ad un predicato; cioò ò ciò per cui ad un soggetto compete un certo predicato. La ragione ò determinante quando pone il predicato come esclusione del predicato opposto. Kant giunge alla conclusione che “Nihil est verum sine ratione determinante”. La ragione determinante viene ad essere quella ragione in virtù della quale io spiego perchè ad un soggetto compete un predicato e non il predicato opposto.
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