La Metafisica dei costumi (1797-98) ò un’opera per dichiarazione dello stesso Kant scritta in uno stile molto più «popolare» delle altre. In essa non si tratta di altro infatti che di trarre le conseguenze della legge morale che nella sua forma più generale ò stata messa in luce dalla seconda Critica. Bisogna però sottolineare che ò la Metafisica, e non la Critica, la vera e propria opera di filosofia morale di Kant. Essa ò divisa in due parti. Nella prima, dedicata alla «dottrina del diritto» o semplicemente «diritto», la legge morale viene considerata dal punto di vista della conformità esterna dell’azione con i precetti della ragione, e viene quindi riformulata così: «Agisci esternamente in modo che il libero uso del tuo arbitrio possa essere compatibile con la libertà di ognuno secondo una legge universale» (Metafisica dei costumi, Diritto, A 34/B 34). Necessariamente il diritto prevede dunque anche la costrizione entro i limiti della legge di coloro che creano ostacoli alla libertà altrui. Kant distingue tra un «diritto privato», che riguarda gli uomini nello «stato di natura», anteriormente cioò alla fondazione dello Stato, e un «diritto pubblico», che riguarda lo Stato come «unione di una quantità di uomini sotto leggi giuridiche». Lo Stato ò secondo Kant essenzialmente repubblica, cioò basato su un sistema rappresentativo e sulla divisione dei tre poteri. Il compimento del diritto pubblico ò costituito dal diritto internazionale. à qui che Kant raggiunge le idee più avanzate del suo tempo: La ragione pratico-morale pronuncia in noi il suo veto incontrastabile: non ci deve essere nessuna guerra; nè quella tra me e te nello stato di natura, nè tra di noi come Stati, che, sebbene internamente siamo in uno stato legale, tuttavia esternamente (nei reciproci rapporti) siamo in uno stato illegale: questo non ò infatti il modo in cui ognuno deve cercare il proprio diritto. Dunque la questione non ò più se la pace eterna sia una realtà o una chimera, e se noi nel nostro giudizio teoretico ci inganniamo se supponiamo che sia una realtà ; piuttosto ò necessario che ci comportiamo come se essa fosse una realtà (il che forse non ò), per poterla fondare, e che per avvicinarci ad essa promuoviamo quella costituzione che ci sembra più adatta allo scopo (forse quella repubblicana di tutti gli stati assieme), e che mettiamo una fine al disastroso guerreggiare al quale finora tutti gli Stati, senza eccezione, hanno diretto tutte le loro risorse come se fosse lo scopo finale. E anche se ciò, per quanto riguarda il compimento di questo intento, rimanesse comunque un pio desiderio, certamente noi non ci inganniamo ammettendo la massima di comportarci sempre in questa direzione: perchè questo ò un dovere. … Si può dire che questa fondazione universale e durevole della pace non costituisca semplicemente una parte, ma l’intero scopo finale della dottrina del diritto all’interno dei limiti della semplice ragione (Metafisica dei costumi, Diritto, B 264). La «dottrina delle virtù», o semplicemente «etica», si occupa invece della conformità interna alla ragione, e ha questa variante della legge fondamentale: «Agisci secondo una massima dei fini, avere i quali per ciascuno possa essere una legge universale» (Metafisica dei costumi, Virtù, A 30). In questo modo viene stabilita una fondamentale differenza rispetto al diritto: Il diritto aveva a che fare solo con la condizione formale della libertà esterna… . L’etica invece mette a disposizione anche una materia (un oggetto del libero arbitrio), un fine della ragione pura, che contemporaneamente viene rappresentato per l’uomo come fine oggettivamente necessario, come dovere. Infatti, poichè le inclinazioni sensibili portano a fini… che possono essere contrari al dovere, la ragione legislatrice non può contrastare il loro influsso in altro modo che tramite un fine morale opposto, che dunque dev’essere dato a priori indipendentemente dall’inclinazione (Metafisica dei costumi, Virtù, A 4). Ora, immediatamente obbligatori sono soltanto due fini: la propria perfezione e la felicità altrui. Da questi due princìpi ò possibile costruire una teoria delle virtù. Il primo culmina nel dovere di perseguire la perfetta purezza delle intenzioni, il secondo nell’amicizia come unione di due persone tramite amore e rispetto eguali e reciproci. Ora, ò evidente che entrambi questi obiettivi non potranno mai essere completamente raggiunti, ma solo continuamente cercati. In questo modo, risulta confermata la necessità di postulare una vita eterna per condurre a compimento i fini che la ragione ci prescrive. à facile osservare come, dopo l’originalità della Critica, la Metafisica possiede contenuti molto più convenzionali e simili a quelli della politica illuminista e della morale razionalista. Ciò però non ò considerato affatto uno svantaggio per Kant, il quale ritiene che nell’etica la filosofia non deve far altro che motivare rigorosamente e razionalmente la conoscenza comune: «la ragione umana nel campo morale, anche nel senso più ampio, può essere portata facilmente ad una grande correttezza e completezza, mentre al contrario nell’uso teoretico ma puro ò totalmente dialettica» (Fondazione, XIII-XIV). Rispetto ai trattati di etica del tempo, c’ò tuttavia una omissione importante, che Kant si preoccupa di giustificare: Nell’etica, in quanto filosofia pura pratica della legislazione interna, solo i rapporti morali dell’uomo verso l’uomo sono per noi comprensibili: ma ciò che dovrebbe valere come rapporto tra Dio e l’uomo oltrepassa completamente i suoi limiti ed ò per noi semplicemente incomprensibile; in questo modo viene allora confermato ciò che prima abbiamo sostenuto: che l’etica non può estendersi oltre i limiti dei doveri umani reciproci (Metafisica dei costumi, Virtù, A 188). E così si ritorna, in maniera più dettagliata e definitiva, alla formulazione della legge morale che era stata anticipata nella Fondazione della metafisica dei costumi (una sorta di stesura provvisoria della Critica della ragione pratica, pubblicata nel 1785), e che può essere considerata una delle migliori sintesi dello spirito dell’etica di Kant: Agisci in modo da trattare l’umanità , tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre contemporaneamente come fine, mai semplicemente come mezzo (Fondazione, A 66-67). Anzi, proprio questa prospettiva, animata dall’impegno morale e civile, ò l’unica che secondo Kant salva anche l’esercizio della filosofia dall’inutilità di un esercizio purmente accademico. Un celebre appunto autobiografico rivela in maniera eccellente questa tensione: Io sono per inclinazione un ricercatore. Sento tutta la sete di conoscenza e l’ansiosa inquietudine di arrivare in essa sempre più avanti, o anche la soddisfazione per ogni risultato. C’era un tempo in cui credevo che solo questo potesse costituire l’onore dell’umanità , e disprezzavo il popolino che non sa nulla. à Rousseau che mi ha riportato sulla retta strada. Questo accecante privilegio scompare, imparo ad onorare gli uomini, e mi sentirei di gran lunga più inutile di un comune operaio se non credessi che questa riflessione può trasmettere a tutti gli altri un valore: ristabilire i diritti dell’umanità (Kants Gesammelte Schriften, XX, p. 44, r. 8).
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