LA FUNZIONE REGOLATIVA DELLE IDEE La ragione non si riferisce mai direttamente a un oggetto, ma sempre soltanto allâintelletto, attraverso il quale accede al proprio uso empirico. [… ]. Io asserisco, dunque, che le idee trascendentali sono inadatte a qualsiasi uso costitutivo, per cui debbono fornire concetti di oggetti; e che se sono intese in questo modo, si risolvono in semplici concetti raziocinanti (dialettici). Esse hanno però un uso regolativo vantaggioso e imprescindibile, consistente nel dirigere lâintelletto verso un certo scopo, in vista del quale le linee direttive delle sue regole convergono in un punto, che â pur essendo nullâaltro che unâidea (focus imaginarius), cioò un punto da cui non possono realmente provenire i concetti dellâintelletto, perchè ò fuori dellâesperienza possibile â serve tuttavia a conferire a tali concetti la massima unità ed estensione possibile. (I. Kant, Critica della ragion pura) LA TERZA FORMULAZIONE DELL’IMPERATIVO CATEGORICO Il concetto che ogni essere ragionevole deve considerarsi autore, in virtù delle massime della sua volontà , di una legislazione universale affinchè possa, da questo punto di vista, giudicare se stesso e le sue azioni, conduce a un concetto assai fecondo che si connette a questo, cioò al concetto di un regno dei fini. [… ] La moralità consiste pertanto nel rapporto di ogni azione con quella legislazione che ò la condizione del regno dei fini. Ma questa legislazione deve valere per ogni essere ragionevole e deve poter derivare dalla sua volontà , secondo questo principio: non compiere alcuna azione secondo una massima diversa da quella suscettibile di valere come legge universale, cioò tale che la volontà , in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice. (I. Kant, Fondazione dell metafisica dei costumi) IL FINALISMO COME ESIGENZA DELLA NOSTRA MENTE Facendo riferimento ai princìpi trascendentali, si hanno buone ragioni per ammettere una finalità soggettiva della natura nelle sue leggi particolari, in vista della sua intelligibilità da parte del Giudizio umano, e della possibilità di connettere le esperienze particolari in un unico sistema. Ma che le cose della natura stiano tra di loro in rapporto di mezzo a fine, e che la loro stessa possibilità si possa comprendere a sufficienza solo mediante tale tipo di causalità , lâidea generale di natura, come insieme degli oggetti dei sensi, non ci dà nessun motivo di pensarlo. [… ] Si applica tuttavia con ragione il giudizio teleologico alla ricerca naturale, almeno problematicamente; ma solo per sottoporla, seguendo lâanalogia con la causalità secondo fini, a princìpi di osservazione ed investigazione, senza pretendere di poterla spiegare. Esso appartiene dunque al Giudizio riflettente, non a quello determinante. [… ] (I. Kant, Critica del giudizio) IL POSTULATO DELLA LIBERTA’ La libertà e la legge pratica incondizionata risultano dunque reciprocamente connesse. Qui io non domando se esse siano anche diverse di fatto o se una legge incondizionata non sia piuttosto la semplice coscienza di sè di una ragion pura pratica, e se questa sia identica al concetto positivo della libertà ; ma domando dove ha inizio la nostra conoscenza dellâincondizionato pratico, se dalla libertà o dalla legge pratica. [… ] à quindi la legge morale della quale diventiamo consci (appena formuliamo le massime della volontà ), ciò che ci si offre per il primo e che ci conduce direttamente al concetto della libertà , in quanto la ragione presenta quella legge come un motivo determinante che non può essere sopraffatto dalle condizioni empiriche perchè del tutto indipendente da esse. (I. Kant, Critica della ragion pratica) IL GIUDIZIO ESTETICO Per decidere se una cosa sia bella o no, noi non poniamo, mediante lâintelletto, la rappresentazione in rapporto con lâoggetto, in vista della conoscenza; la rapportiamo invece, tramite lâimmaginazione (forse connessa con lâintelletto), al soggetto e al suo sentimento di piacere e di dispiacere. Il giudizio di gusto non ò pertanto un giudizio di conoscenza; non ò quindi logico, ma estetico: intendendo con questo termine ciò il cui principio di determinazione non può essere che soggettivo. (I. Kant, Critica del Giudizio) IL BELLO Il colore verde dei prati ò una sensazione oggettiva, in quanto percezione dâun oggetto del senso; la gradevolezza invece ò una sensazione soggettiva, mediante la quale nessun oggetto ò rappresentato: vale a dire, un sentimento, nel quale lâoggetto viene considerato come oggetto di soddisfazione (e non di conoscenza). [… ] Definizione del bello desunta dal primo momento: Il gusto ò la facoltà di giudicare dâun oggetto o dâuna specie di rappresentazione, mediante una soddisfazione od insoddisfazione scevra dâogni interesse. Lâoggetto dâuna tale soddisfazione si dice bello. [… ] chi giudica si sente completamente libero nei confronti della soddisfazione con cui si volge allâoggetto, per cui non riesce ad attribuire tale soddisfazione ad alcuna circostanza particolare, esclusiva del proprio oggetto, e deve quindi considerarla fondata su ciò che può presupporre in ogni altro: di conseguenza dovrà credere dâaver motivo di attendersi da ciascun altro una simile soddisfazione. Ne consegue che al giudizio di gusto si deve annettere, con la consapevolezza del suo carattere disinteressato, una pretesa di validità universale, senza che tale universalità poggi sullâoggetto; vale a dire, la pretesa ad una universalità soggettiva deve essere legata al giudizio di gusto. Definizione del bello desunta dal secondo momento: à bello ciò che piace universalmente senza concetto. [… ] La soddisfazione che noi, senza concetto, giudichiamo universalmente comunicabile, e quindi causa determinante del giudizio di gusto, non può consistere in altro che nella finalità soggettiva della rappresentazione di un oggetto, senza fini di sorta (nè oggettivi nè soggettivi), quindi nella semplice forma della finalità nella rappresentazione con la quale un oggetto ci viene dato, nella misura in cui ne siamo coscienti. [… ] Non può esservi alcuna regola oggettiva di gusto, capace di determinare tramite concetti che cosa sia il bello. Infatti, ogni giudizio che scaturisca da questa fonte ò estetico, trova cioò il proprio principio di determinazione nel sentimento del soggetto e non nel concetto dâun oggetto. Definizione di bello desunta da questo terzo momento: La bellezza ò la forma della finalità dâun oggetto, in quanto viene percepita in questo senza la rappresentazione dâuno scopo. [… ] Che cosa sia la modalità di un giudizio di gusto. Di ogni rappresentazione posso dire che ò almeno possibile che essa (in quanto conoscenza) sia legata ad un piacere. Di ciò che dico piacevole affermo che produce in me realmente piacere. Quanto al bello, si pensa che esso abbia col piacere una relazione necessaria. Questa necessità ò però di natura particolare: non una necessità teorica oggettiva, per la quale si possa a priori riconoscere che ognuno proverà la stessa soddisfazione per lâoggetto che io ho chiamato bello; neppure una necessità pratica, per la quale, mediante i concetti di un volere razionale puro, che serve da regola ad un agente libero, questa soddisfazione rappresenti la necessaria conseguenza dâuna legge oggettiva, e non significhi altro che il dovere assoluto dâagire in un certo modo (senzâaltro intento). [… ] Definizione del bello dedotta dal quarto momento: Bello ò ciò che, senza concetto, ò riconosciuto come oggetto dâuna soddisfazione necessaria. (I. Kant, Critica del Giudizio) GIUDIZI DETERMINANTI E GIUDIZI RIFLETTENTI Il Giudizio in generale ò la facoltà di pensare il particolare in quanto contenuto nellâuniversale. Se lâuniversale (la regola, il principio, la legge) ò dato, il Giudizio che sussume sotto questo il particolare [… ] ò determinante. Se invece ò dato soltanto il particolare, ed il Giudizio deve trovargli lâuniversale, allora esso ò meramente riflettente. [… ]Ora, poichè il concetto di un oggetto, nella misura in cui contiene anche il principio della realtà di questo oggetto, si dice scopo, mentre si dice finalità della forma dâuna cosa lâaccordo di questa con quella costituzione delle cose che ò possibile solo mediante fini, il principio del Giudizio, rispetto alla forma delle cose naturali sottoposte a leggi empiriche in generale, ò la finalità della natura nella varietà delle sue forme. In altri termini, la natura viene rappresentata, mediante questo concetto, come se un intelletto contenesse il fondamento unitario della molteplicità delle sue leggi empiriche. La finalità della natura ò, dunque, un particolare concetto a priori, la cui origine va cercata nel solo Giudizio riflettente. (I. Kant, Critica del Giudizio) IL DOVERE La dignità del dovere non ha che fare col godimento della vita; il dovere ha la sua legge speciale, e anche il suo speciale tribunale; e se anche si volessero confondere lâuna con lâaltro per porgerli mescolati come una medicina allâanima ammalata, essi tuttavia si separerebbero subito da sè; e se non facessero ciò, la prima non agirebbe punto, ma, se anche la vita fisica ne guadagnasse qualche forza, la vita morale scomparirebbe senza rimedio. (I. Kant, Critica della ragion pratica) IL DIRITTO DI MENTIRE La veridicità in dichiarazioni cui non si possa sottrarre ò un dovere formale dellâuomo nei confronti di tutti, anche qualora ciò sia fonte, per sè o per un altro, di grandi svantaggi. E se anche, affermando il falso, io non facessi un torto a chi mi costringe ingiustamente a rendere una dichiarazione, tuttavia, attraverso tale falsificazione (che perciò può essere chiamata anche menzogna, sia pure in senso non giuridico) farei un torto gravissimo al dovere stesso in generale: (… ) Se, quindi, definiamo la menzogna semplicemente come una dichiarazione intenzionalmente falsa resa a un altro uomo, non occorre più che specificare ulteriormente che essa deve recare danno ad altri, come pretendono i giuristi. (I. Kant, Sul presunto diritto di mentire per amore dellâumanità ) LA RIVOLUZIONE COPERNICANA La matematica e la fisica sono le due conoscenze teoretiche della ragione che debbono determinare a priori i loro oggetti; la prima in modo del tutto puro, la seconda almeno parzialmente, dovendo tenere conto anche di fonti di conoscenza diverse dalla ragione. Sin dai tempi più remoti a cui può giungere la storia della ragione umana, la matematica, ad opera del meraviglioso popolo greco, si ò posta sulla via sicura della scienza. [… ] à pertanto indispensabile che la ragione si presenti alla natura tenendo, in una mano, i princìpi in virtù dei quali soltanto ò possibile che i fenomeni concordanti possano valere come leggi e, nellâaltra mano, lâesperimento che essa ha escogitato in base a questi princìpi; e ciò al fine sì di essere istruita dalla natura, ma non in veste di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piace al maestro, bensì di giudice che nellâesercizio delle sue funzioni costringe i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge. (I. Kant, Critica della ragion pura) LA CRITICA DELLA DIMOSTRAZIONE DI DIO Per raggiungere un fondamento sicuro, questa dimostrazione [la prova cosmologica] si fa forte dellâesperienza, gabellandosi in tal modo come diversa dalla prova ontologica, che si affida interamente a concetti puri a priori. Ma lâesperienza ò utilizzata dalla prova cosmologica esclusivamente per fare un primo passo e giungere allâesistenza dâun essere necessario in generale. [… ]La ragione crede, poi, di poter trovare i requisiti richiesti soltanto nel concetto dellâessere realissimo, e perciò conclude che esso ò lâessere assolutamente necessario. Ma ò chiaro che qui si presuppone che il concetto dellâessere fornito della suprema realtà sia tale da soddisfare completamente al concetto della necessità assoluta nellâesistenza, cioò che sia possibile conchiudere da questa a quella; tale principio era stato asserito dallâargomento ontologico, e viene trasferito alla prova cosmologica quale suo fondamento, mentre si era partiti dal presupposto di evitarlo. (I. Kant, Critica della ragion pura) LA CRITICA DELLA DIMOSTRAZIONE DI DIO TESI QUARTA. – Il mezzo di cui la natura si serve per attuare lo sviluppo di tutte le sue disposizioni ò il loro antagonismo nella società , in quanto però tale antagonismo sia da ultimo la causa di un ordinamento civile della società stessa. [… ] L’ uomo ha unâ inclinazione ad associarsi, poichè egli nello stato di società si sente maggiormente uomo, cioò sente di poter meglio sviluppare le sue naturali disposizioni. Ma egli ha anche una forte tendenza a dissociarsi, poichè egli ha del pari in sè la qualità antisociale di voler tutto rivolgere solo al proprio interesse, per cui si aspetta resistenza da ogni parte e sa ch’egli deve da parte sua tendere a resistere contro altri. (I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico) LA LEGGE MORALE La legge morale ò l’unico motivo determinante della volontà pura. Ma, poichè questa legge ò semplicemente formale (cioò, richiede soltanto la forma della massima, come universalmente legislativa), così essa, come motivo determinante, astrae da ogni materia, e perciò da ogni oggetto, del volere. (I. Kant, Critica della ragion pratica) SPAZIO E TEMPO Le nostre delucidazioni ci insegnano pertanto la realtà (cioò la validità oggettiva) dello spazio, relativamente a quanto ci si può presentare esteriormente come oggetto; ma, nello stesso tempo, anche lâidealità dello spazio, relativamente alle cose, qualora vengano dalla ragione considerate in se stesse, cioò a prescindere dalla natura della nostra sensibilità . Noi sosteniamo dunque la realtà empirica dello spazio (relativamente a ogni possibile esperienza esterna), e tuttavia la sua idealità trascendentale; riteniamo cioò che esso si annulli se si prescinda dalla condizione della possibilità di ogni esperienza per assumerlo come qualcosa che stia a fondamento delle cose in se stesse. (I. Kant, Critica della ragion pura) LE DUE FONTI DELLA CONOSCENZA La nostra conoscenza trae origine da due sorgenti fondamentali dellâanimo, di cui la prima consiste nel ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), e la seconda ò la facoltà di conoscere un oggetto per mezzo di queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). [… ] Nessuna di queste due facoltà ò da anteporsi allâaltra. Senza sensibilità , nessun oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetto sono cieche. (I. Kant, Critica della ragion pura) L’IO PENSO Lâio penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni; in caso diverso, si darebbe in me la rappresentazione di qualcosa che non potrebbe esser pensata; il che equivale a dire che la rappresentazione o sarebbe impossibile o, per me almeno, sarebbe nulla. [… ] Questo riferimento, dunque, non ha ancora luogo fin che mi limito ad accompagnare con la coscienza ogni rappresentazione, ma si dà solo quando pongo ogni rappresentazione assieme alle altre e ho coscienza della loro sintesi. Solo dunque in quanto posso congiungere in una coscienza un molteplice di rappresentazioni date, mi diviene possibile rappresentarmi lâidentità della coscienza in queste rappresentazioni; ossia, lâunità analitica dellâappercezione ò possibile solo sul presupposto di unâunità sintetica. [… ] E questo ò il principio supremo di tutta la conoscenza umana. (I. Kant, Critica della ragion pura) IL SUBLIME Il sentimento della nostra inadeguatezza a portarci al livello di un’idea che per noi ò legge, ò il rispetto. Ora, l’idea della comprensione di ogni fenomeno che può esserci dato, nell’intuizione di un tutto, ò un’idea che ci ò imposta da una legge della ragione che non riconosce altra misura definita, universalmente valida ed immutabile, all’infuori della assoluta totalità . La nostra immaginazione d’altra parte, anche nel suo massimo sforzo di giungere alla comprensione d’un oggetto dato in una totalità intuitiva [… ], mostra i propri limiti e la propria insufficienza, ma anche al tempo stesso la propria destinazione ad adeguarsi a quell’idea come legge. Il sentimento del sublime della natura ò dunque sentimento di rispetto per la nostra propria destinazione, che con una specie di sostituzione [… ] rivolgiamo ad un oggetto naturale, che ci rende per così dire intuibile la superiorità della destinazione razionale delle nostre facoltà conoscitive sul massimo potere della sensibilità . (I. Kant, Critica del Giudizio) IL SUBLIME E IL BELLO Il bello ed il sublime concordano in questo, che entrambi piacciono per se stessi. Entrambi inoltre non presuppongono un giudizio dei sensi od un giudizio logico determinante, ma un giudizio riflettente; di conseguenza, la soddisfazione non dipende da una sensazione, come nel caso del piacevole, nè da un concetto determinato, come nel caso della soddisfazione dipendente dal buono, ma tuttavia viene riferita a concetti, sebbene indeterminati. La soddisfazione ò pertanto legata alla mera presentazione, o alla facoltà relativa, in modo che la facoltà di presentazione, o immaginazione, in una data intuizione, viene considerata in accordo con la facoltà dei concetti dell’intelletto o della ragione, la cui attività essa promuove. Per questo, inoltre, entrambi i giudizi sono singolari, ma si presentano come universalmente validi per ogni soggetto, sebbene pretendano solo al sentimento del piacere e non alla conoscenza dell’oggetto. (I. Kant, Critica del Giudizio) DALLA LEGGE MORALE A DIO La legge morale… deve anche condurre alla possibilità del secondo elemento del sommo bene, che consiste nella felicità proporzionata a questa moralità , in modo altrettanto disinteressato, per semplice e imparziale ragione; deve cioò condurre alla supposizione dell’esistenza di una causa adeguata a tale effetto; ossia a postulare l’esistenza di Dio come rientrante necessariamente nella possibilità del sommo bene. (I. Kant, Critica della ragion pratica) IL POSTULATO DELLA LIBERTA’ La libertà e la legge pratica incondizionata risultano dunque reciprocamente connesse. Qui io non domando se esse siano anche diverse di fatto o se una legge incondizionata non sia piuttosto la semplice coscienza di sè di una ragion pura pratica, e se questa sia identica al concetto positivo della libertà ; ma domando dove ha inizio la nostra conoscenza dellâincondizionato pratico, se dalla libertà o dalla legge pratica. Non ò possibile che prenda inizio dalla libertà , di cui non possiamo nè aver coscienza immediata, perchè il primo concetto di essa ò negativo, nè conoscenza mediata dallâesperienza, [… ]. à quindi la legge morale della quale diventiamo consci [… ], ciò che ci si offre per il primo e che ci conduce direttamente al concetto della libertà , in quanto la ragione presenta quella legge come un motivo determinante che non può essere sopraffatto dalle condizioni empiriche perchè del tutto indipendente da esse. (I. Kant, Critica della ragion pratica) GLI SCHEMI TRASCENDENTALI Ma i concetti puri dellâintelletto, posti a raffronto con le intuizioni empiriche (anzi, con le intuizioni sensibili in generale), risultano del tutto eterogenei e non possono mai essere trovati in qualche intuizione. Comâò allora possibile la sussunzione delle intuizioni sotto i concetti dellâintelletto, quindi lâapplicazione della categoria ai fenomeni, visto che nessuno potrà mai dire: questa categoria, ad esempio quella di causalità , può essere anche intuita per mezzo dei sensi ed ò compresa nel fenomeno? [… ] Ora ò chiaro che ci devâessere qualcosa di intermedio, che risulti omogeneo da un lato con la categoria e dallâaltro col fenomeno, affinchè si renda possibile lâapplicazione della prima al secondo. Questa rappresentazione intermedia deve essere pura (senza elementi empirici) e, tuttavia, per un verso intellettuale e per lâaltro sensibile: essa ò lo schema trascendentale. [… ] (I. Kant, Critica della ragion pura) LA PACE PERPETUA Lo stato di pace tra uomini assieme conviventi non ò affatto uno stato di natura (status naturalis). Questo ò piuttosto uno stato di guerra, nel senso che, se anche non vi sono sempre ostilità dichiarate, ò però continua la minaccia che esse abbiano a prodursi. Dunque lo stato di pace devâessere istituito[… ] Primo articolo definitivo per la pace perpetua: “La costituzione civile di ogni stato devâessere repubblicana”. [… ]E siccome in fatto di associazione di popoli della terra (più o meno stretta o larga che sia) si ò progressivamente pervenuti a tal segno, che la violazione del diritto avvenuta in un punto della terra ò avvertita in tutti i punti, così lâidea di un diritto cosmopolitico non ò una rappresentazione fantastica di menti esaltate, ma il necessario coronamento del codice non scritto, così del diritto pubblico interno come del diritto internazionale, per la fondazione di un diritto pubblico in generale e quindi per lâattuazione della pace perpetua, [… ]. (I. Kant, Per la pace perpetua) LA VOLONTA’ BUONA La volontà buona non ò tale per ciò che essa fa e ottiene, e neppure per la sua capacità di raggiungere i fini che si propone, ma solo per il volere, cioò in se stessa; considerata in se stessa, devâessere ritenuta incomparabilmente superiore a tutto ciò che, mediante essa, potrebbe esser fatto in vista di qualsiasi inclinazione o anche, se si vuole, di tutte le inclinazioni insieme. Anche se lâavversità della sorte o i doni avari di una natura matrigna privassero interamente questa volontà del potere di realizzare i propri progetti; anche se il suo maggior sforzo non approdasse a nulla ed essa restasse una pura e semplice buona volontà [… ], essa brillerebbe di luce propria come un gioiello, come qualcosa che ha in sè il suo pieno valore. Lâutilità e lâinutilità non possono nè accrescere nè diminuire questo valore. (I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi)
- Filosofia