Tre sono i possibili modi fondamentali di vivere e di concepire la vita, secondo Kierkegaard: quello estetico, simboleggiato da don Giovanni, che il filosofo presenta come protagonista del Diario di un seduttore, quello etico, simboleggiato dal «marito fedele», e quello religioso, simboleggiato da Abramo, il personaggio biblico. I primi due «ideali» sono descritti in Aut-Aut, il terzo in Timore e tremore. Questi tre «modelli» sono in irriducibile alternativa tra di loro; si escludono vicendevolmente; sicchè il terzo non costituisce un superamento in senso hegeliano dei due precedenti. Il passaggio, possibile ma non necessario, dall’uno all’altro implica, per Kierkegaard, sempre una radicale rottura, un salto, una metà noia, cioò un capovolgimento di mentalità . Anche la vita religiosa non nasce come continuazione, incarnazione della vita etica, ma, al contrario, proprio religioso dal naufragio di questa; come – di nuovo – «rottura», come «conversione», come «abbandono» anche degli stessi criteri e valori etici. Lo strumento che permette la vita etica ò la ragione, quello che guida la vita religiosa ò la fede. Di questa fede Kierkegaard ha portato come esempio Abramo. A lui, già settantacinquenne, e senza figli per la sterilità della moglie Sara, Dio disse: «Parti dal tuo paese, dai tuo parentado, dalla casa di tuo padre, e va nella terra che io ti mostrerò. Io farò di te un popolo grande, ti benedirò e renderò grande il tuo nome». Spinto dalla fiducia nella Parola del suo Signore, Abramo eseguì il comando. Diventò molto ricco di bestiame, di oro e di argento, ma non ebbe quel figlio dal quale doveva nascere il popolo di Israele. E quando cominciava ad emergere il dubbio sulla promessa di Dio, questi lo rassicurò: avrebbe avuto un erede «uscito dalle sue viscere», partoritogli da sua moglie ormai novantenne. E nacque infatti Isacco. Sembrava ormai compiuto il compito di Abramo; ma Dio lo mise alla prova: «Orsù, prendi il tuo figlio, l’unico che hai e che tanto ami, e offrilo in olocausto sopra quel monte che io ti mostrerò». Sembrava quindi che Dio ritirasse la promessa, ma, ciò nonostante, il vecchio eseguà l’ordine. Ma allorchè già aveva deposto sulla legna per la pira il corpo di Isacco e aveva messo mano al coltello per sgozzarlo, intervenne il Signore e gli disse: «Non mettere la mano addosso al fanciullo, e non fargli alcun male, perchè ora conosco che tu temi Iddio, e non mi hai negato tuo figlio, il tuo unico figlio». In questo racconto biblico Kierkegaard individua gli elementi della fede autentica: Ci furono uomini grandi per la loro energia, per la saggezza, la speranza o l’amore. Ma Abramo fu il piຠgrande di tutti: grande per l’energia la cui forza ò debolezza, grande per la saggezza il cui segreto ò follia, grande per la speranza la cui forma ò demenza, grande per l’amore ch’ò odio di se stesso. Fu per fede che Abramo lasciò il paese dei suoi padri e fu straniero in terra promessa. Lasciò una cosa, la sua ragione terrestre, e un’altra ne prese: la fede. Altrimenti, pensando all’assurdità del suo viaggio, non sarebbe partito. Fu per fede uno straniero in terra promessa ove nulla gli ricordava quel che egli amava, mentre la novità di tutte le cose gli poneva in cuore la tentazione d’un doloroso rimpianto… Fu per fede che Abramo ricevette la promessa che tutte le nazioni della terra sarebbero state benedette nella sua posterità . Il tempo passava, la possibilità rimaneva Abramo credeva. Il tempo passò, la speranza diventò assurda, Abramo credette. à pure esistito nel mondo colui che ebbe una speranza. Il tempo passò, la sera fu al suo declino, e quell’uomo non ebbe la viltà di rinnegare la sua speranza… Poi conobbe la tristezza; e il dolore, invece di deluderlo come la vita, fece per lui tutto quel che potè e, nella sua dolcezza, gli dette il possesso della sua speranza ingannata. à umano conoscere la tristezza umano condividere la pena di chi ò afflitto, ma ò cosa piຠgrande credere, e piຠconfortevole e benefica cosa contemplare chi crede. Abramo non ci ha lasciato lamentazioni. Non ha contato tristemente i giorni man mano che trascorrevano; non ha guardato Sara con occhio inquieto per vedere se gli anni incidevano rughe sul suo volto; non ha fermata la corsa del sole per impedire a Sara di invecchiare, e Sara fu schernita nel paese. Eppure era l’eletto di Dio e l’erede della promessa… Non sarebbe forse stato meglio che egli non fosse stato l’eletto di Dio? Che cosa significa dunque essere l’eletto di Dio? Significa vedersi rifiutare nella primavera della vita quello che ò il desiderio della giovinezza, per essere esaudito in vecchiaia dopo grandi difficoltà . Ma Abramo credette e serbò fermamente la promessa, cui avrebbe rinunciato se avesse dubitato. Avrebbe detto a Dio, allora: «Forse non ò nella tua volontà che questo mio desiderio si realizzi. Rinuncio dunque al mio desiderio, all’unico mio desiderio, nel quale riponevo la mia felicità . La mia anima ò onesta, e non nasconde nessun astio segreto per il tuo rifiuto». Non sarebbe stato dimenticato. Avrebbe salvato molti col suo esempio ma non sarebbe diventato il padre della fede, perchè ò grande cosa rinunciare al proprio desiderio piຠcaro, ma ò cosa piຠgrande serbarlo dopo averlo abbandonato. Grande ò cogliere l’eterno, ma ò piຠgrande cosa riavere il transeunte, dopo averne fatto rinuncia. (Timore e tremore) Di fronte al personaggio di Abramo, che non si trattiene finanche dal voler sacrificare il figlio, Kierkegaard nota: Ma, quando mi metto a riflettere su Abramo, sono come annientato. Ad ogni istante i miei occhi cadono sull’inaudito paradosso che ò la sostanza della sua vita…; il mio pensiero non può penetrare quel paradosso neppure per un capello. (Timore e tremore) Per lui dunque la fede ò esperienza propria del singolo, vissuta in piena solitudine. Non ò mai un possesso stabile, ma una ricerca continua, un rapporto con Dio che deve rinnovarsi momento per momento. Tale rapporto ò paradossale, perchè implica lo scontro con la propria ragione, coi propri affetti e sentimenti, e perchè ò aperto sull’ignoto: perciò ò anche angoscioso. Esso sorge da una chiamata di Dio – in ciò la fede ò dono di Dio – non dal potere dell’uomo, e, tuttavia, all’uomo manca la certezza di questo rapporto, mancano le possibilità di verifica. All’uomo non resta altro che rinunciare a sè per trovare il vero se stesso.
- 1800
- Filosofia - 1800