La corrente del libertinismo - Studentville

La corrente del libertinismo

Descrizione della corrente del libertinismo.

Breve presentazione In netta opposizione alla difesa delle ragioni del cuore e della fede dispiegate da Pascal, prende vita nel Seicento una corrente di pensiero che, per quanto composita e mai realmente unitaria, presenta come principale caratteristica la critica dell’ortodossia religiosa in nome dell’autonomia della ragione da ogni autorità  (in primis dall’autorità  ecclesiastica). Proprio l’intenzione di emanciparsi da ogni forma di servitù intellettuale conferisce il nome al movimento, detto “libertinismo” in riferimento al libertus latino, ossia l’ex schiavo affrancato. La corrente libertina si sviluppa con particolare vigore nella Francia dei primi decenni del Seicento (Parigi ò il centro propulsore di questo movimento culturale e in questo ambiente si accendono polemiche e dibattiti che vedono coinvolti molti filosofi ma anche scrittori e poeti), come reazione al tentativo di restaurazione della più rigida ortodossia da parte della Riforma cattolica. Il libertinismo trae origine soprattutto dal Rinascimento e dalla sua affermazione della dignità  e dell’autonomia intellettuale dell’uomo, nonchè dalla sua riscoperta del “vero” Aristotele pagano (in contrapposizione a quello, trasfigurato, a cui si richiamavano i Medioevali). Temi portanti della corrente libertina sono, inoltre, l’affermazione (giudicata all’epoca sconcertante presso gli strati più arretrati della popolazione) dell’infinità  dell’universo, già  difesa da Giordano Bruno. Se ò vero che, in certo senso, viene riscoperto un nuovo e autentico Aristotele, ò altrettanto vero che i Libertini recuperano tendenzialmente i filosofi post-aristotelici, derivandone precisi assunti a cui fare costante riferimento: così dallo stoicismo mutuano l’esigenza di individuare una morale razionalistica, svincolata dalla religione, e la concezione di un universo retto da leggi necessarie e necessitanti, cui nulla (compreso l’uomo) può sfuggire (in siffatta prospettiva cade definitivamente la possibilità  dei miracoli). Dall’epicureismo ò invece desunta la concezione materialistica e atomistica del reale e dell’uomo, mero aggregato di atomi e, in forza di ciò, destinato a non godere di alcuna vita ultraterrena. L’eredità  dello scetticismo – nella sua veste “pirroniana” -, invece, consiste, grazie alla mediazione di Montaigne, nella consapevolezza dei limiti intrinseci della conoscenza umana e la conseguente centralità  della sospensione del giudizio. Il punto su cui tuttavia i Libertini insistono maggiormente ò la tematica dell’impostura religiosa, ovvero la distruzione di quei dogmi volti all’assoggettamento del popolo al potere. Tale critica sfocia o in un moderato deismo, tale per cui alla concezione dogmatica e scritturale del Dio cristiano viene opposto un Dio razionalmente inteso come principio ordinatore del cosmo (e ciò passerà  in eredià  agli Illuministi), oppure in un più radicale panteismo di marca bruniana, per cui Dio altro non sarebbe se non il mondo nella sua vitale realtà , o, nei casi più estremi, in un’aperta professione di ateismo. In ogni caso, al di là  delle varie posizioni assunte dai suoi componenti, il libertinismo tende a propugnare la tolleranza religiosa. Si ò soliti suddividere il movimento libertino in due fasi: nei primi decenni del Seicento, infatti, esso tende a manifestarsi come 1) libertinismo radicale, con una critica incredibilmente severa tanto al dogmatismo religioso quanto all’assolutismo politico ad esso alleato: in questa prima fase rientrano Giulio Cesare Vanini (1585-1619) – pugliese e seguace della scuola padovana giustiziato a Tolosa – e Thèophile de Viau (1590-1626) – poeta francese incarcerato e messo a tacere. Verso la metà  del Seicento, invece, tende a prevalere il 2) libertinismo erudito, caratterizzato da una critica razionalistica dai toni più sfumati e concilianti e, soprattutto, da un sodalizio tra il filosofo libertino e il potere politico (dal quale ottiene favori e protezione). Questo sconcertante sodalizio viene spesso giustificato machiavellicamente. In questa seconda fase rientrano Franà§ois La Mothe le Vayer (1588-1672), Gabriel Naudò (1600-1653) e lo stesso Gassendi. Anche dopo la metà  del secolo, tuttavia, il libertinismo non perde la propria forza espressiva: risale al 1659 l’opera anonima Theophrastus redivivus, contenente un immane compendio delle opinioni filosofiche sostenenti l’ateismo e la materialità  dell’anima. L’autore che forse meglio di qualunque altro assomma in sè tutte le caratteristiche della nuova temperie culturale (critica alla religione, difesa del materialismo e della mortalità  dell’anima, attacco ai miracoli) ò Cyrano de Bergerac. Anche in Italia ci fu una grande diffusione di scritti e associazioni libertine: il più celebre scrittore e filosofo libertino italiano ò il già  citato Giulio Cesare Vanini, che afferma la necessità  di seguire solamente le leggi di natura. A Venezia fu fondata dal Loredano l’Accademia degli Incogniti di cui facevano parte Cesare Cremonini e Ferrante Pallavicino. Don Giovanni, modello del libertino La figura seicentesca del libertino trova la sua più riuscita rappresentazione nel Don Giovanni di Molière (rappresentato per a prima volta nel 1665): Don Giovanni, gentiluomo di corte, ateo perverso, libertino, ha abbandonato Donna Elvira, che tenta invano di ricondurlo a sè, e, gettato dalla tempesta sulla costa siciliana insieme al servo Sganarello, ò salvato da alcuni popolani. Seduce quindi Carlotta e Maturina, due contadine attirate dalle sue promesse di matrimonio. Inseguito dai fratelli di Elvira, sempre in compagnia di Sganarello, si rifugia in una foresta, dove vuole costringere un povero a bestemmiare. Dopo aver salvato la vita a Don Carlo, fratello di Elvira, Don Giovanni invita a cena la statua di un “commendatore” da lui ucciso in precedenza e la statua accetta. Mette poi alla porta il signor Domenica, suo creditore, e risponde con insolenza e con scherno al padre Don Luigi che gli rimprovera la sua vita dissoluta. Dopo essere rimasto insensibile anche alle preghiere di Elvira che vorrebbe farlo ravvedere, Don Giovanni si mette a tavola e la statua del “commendatore” lo invita a sua volta a cena per il giorno dopo. Don Giovanni finge di pentirsi di fronte al padre, ma confessa a Sganarello di volersi servire ora dell’ipocrisia ed ò appunto da ipocrita che risponde al fratello di Elvira. Ma ecco che compare sulla scena uno spettro che concede a Don Giovanni pochi istanti per pentirsi. Poichè egli se la ride, la statua del “commendatore” lo prende per mano: su Don Giovanni si abbatte un fulmine, la terra gli si apre sotto i piedi ed ò inghiottito nell’inferno, mentre il servo Sganarello si lamenta per il salario arretrato che nessuno gli pagherà . Introduzione Il libertinismo è una realtà  assai complessa che difficilmente si lascia esprimere in un quadro coerente. I libertini portarono avanti tesi differenziate e persino tra loro contraddittorie, al punto che ad un primo approccio parrebbe non esistere unità  alcuna in tale corrente di pensiero. Lo svilupparsi del fenomeno dei “liberi pensatori” infatti, pur avendo connotati comuni che ci permettono appunto di parlarne come di una realtà  in qualche modo unitaria, trae origine da più di una fonte e si colloca nella crisi del Rinascimento, resasi ancor più evidente durante i primi anni del Seicento. Il libertinismo dunque è un movimento, espressione di una “crisi” (quella crisi culturale, segnata dal crollo della scolastica, dell’aristotelismo e del sapere rinascimentale), che si sviluppa in Francia e in Italia nel corso del XVII secolo e che si pone in forte contestazione della Chiesa, della religione in genere e di ogni autorità . Il libertinismo è dunque espressione di una crisi. I libertini in effetti sono caratterizzati non da uno spirito di riflessione sistematica, ma da uno slancio morale che li porta a rifiutare qualsiasi tradizione. E’ in questo spirito innovativo, scanzonato e ribelle, da cui prenderà  le mosse quello spirito critico successivo, che si proietta verso l’illuminismo, grazie ad autori come Fontenelle o ancor più come Bayle, che si deve vedere l’originalità  dei libertini. Essi sono alla base dello spirito moderno, ma non del pensiero moderno. Manca loro una coscienza precisa di quel pensiero scientifico che sarà  l’elemento fondamentale per la formazione della riflessione moderna. Possono essere visti, dunque, come all’inizio del moderno spirito europeo, ma non del pensiero moderno, proprio in quanto sono a lato dello sviluppo della scienza, che talora ammirano e divulgano, talora espressamente combattono, ma che tuttavia non entra mai a far parte costitutiva della loro riflessione in maniera coerente e consequenziale. Le origini del libertinismo, per quanto complesse, trovano principalmente riferimento in due correnti precedenti: lo scetticismo erudito francese (Montaigne, Charron) e il naturalismo italiano, derivato dall’aristotelismo eterodosso rinascimentale (Pomponazzi, Cremonini, Vanini, Telesio, ma anche Machiavelli e Bruno). Proprio in virtù di siffatta frammentazione di pensiero, il fenomeno libertino è oggetto di un dibattito critico e storiografico caratterizzato da molteplici posizioni tese a metterne in luce, talora unilateralmente, le origini e l’anima. Se taluni vedono nel libertinismo una prosecuzione non originale e tutto sommato ripetitiva dell’aristotelismo rinascimentale, nei suoi motivi averroistici, ovvero naturalistici e materialisti, altri fanno riferimento ad una proiezione di tale movimento verso lo spirito critico del Fontenelle e del Bayle (pre-illuministi); i primi negano un’influenza francese, riferendo l’ispirazione libertina soprattutto all’ambiente padovano (retroguardia della scolastica ed espressione dell’aristotelismo eterodosso); i secondi invece assolutizzano l’influenza di Montaigne. In realtà  influenze diverse emergono nel corso dello sviluppo del “libero pensiero “, fatto che ci impedisce di accettare chiavi interpretative forzatamente unitarie del libertinismo francese. Merito del Pintard è aver messo in luce come il fenomeno libertino sia una sorta di ribellione morale alla legge, alla tradizione stantia, a ciò che non permette all’uomo di liberare la sua creatività . Questo movimento andrebbe studiato come un fatto di storia morale e non come una corrente filosofica. La polemica libertina, poi, si scaglia contro la cultura della scolastica, contro il tomismo, contro la Chiesa e la religione istituzionale. In una parola, essi si scagliano contro tutto ciò che può rientrare nell’area dell’autorità  ecclesiastica. Tale polemica non ha però una preoccupazione politica, di sovvertimento dell’ordine. E’ un semplice moto dello spirito singolo, che reagisce contro l’autorità , a favore della libertà  dello spirito che non deve soggiacere a nulla. E’, in tal senso un movimento elitario e individualistico. Le masse dovevano continuare ad essere soggette al potere e solo gli “spiriti liberi” poteva arrogare per sè questo atteggiamento critico. E’, però, un tratto tipico del libertinismo la duplicità  di atteggiamento nei confronti del potere, della tradizione, della religione; da una parte (nel comportamento pubblico) formale acquiescenza, anzi sostegno, dall’altra (nella vita privata) critica profonda e distruttiva. Il Pintard ha indagato in maniera ricca e dettagliata lo sviluppo di questo movimento. Egli ritiene che nella sua fase centrale (la più importante e precisa dal punto di vista del pensiero) si sia persa l’originaria carica di rivolta e che emergano in maniera più evidente le prospettive scettiche. In questa fase, detta del libertinismo erudito, collocabile dopo il 1625, il punto propulsivo del movimento è rintracciabile nella “Tètrade”, ovvero in quattro amici che, da incontri casuali stringono un fortissimo legame, determinato da una comune sensibilità  nei confronti della realtà  e del sapere. Il gruppo è costituito da Gassendi, Naudè, La Mothe le Vayer, Elia Diodati. E’ sicuramente emblematico che il punto propulsivo del libertinismo, nella forma del libertinismo erudito, sia costituita da un gruppo così forte e unito, tanto da parere un gruppo di iniziati, come sostiene il Pintard, e allo stesso tempo, tuttavia, così eterogeneo dal punto di vista religioso, filosofico e culturale. Infatti, Diodati è un dilettante, non ha profondità  di ricerca e di pensiero, ma ha notevoli contatti con il mondo della cultura; Gassendi è uomo religioso e filosofo anti-aristotelico, simpatizza con la scienza galileiana (e con l’atomismo epicureo) sua alleata nella lotta alla visione aristotelica della natura, sebbene non ne segua la metodologia, preferendo ad essa un atomismo vitalistico; Naudè è filosofo, fa riferimento all’aristotelismo padovano e dal punto di vista religioso è un indifferente; infine La Mothe le Vayer è anch’esso filosofo, di posizione scetticheggiante/pirroniana ed è anch’egli religiosamente indifferente. Come si vede, dal punto di vista dottrinario non c’è unità  alcuna nel gruppo. Ma, per l’appunto, il libertinismo non ò una dottrina. Peraltro si consideri anche che vi è profonda amicizia e una analogia di vedute tra Gassendi e un altro personaggio, il Mersenne (amico di Cartesio), il quale è estremo nemico dei libertini e dell’irreligiosità  che si va diffondendo. Come Gassendi, Mersenne è un religioso e come Gassendi non crede nelle prove metafisiche dell’esistenza di Dio; entrambi sono polemici contro Aristotele e i suoi sviluppi, ortodossi o eterodossi; entrambi dunque simpatizzano per la fisica galileiana, sebbene Gassendi si distingua per una tentata riabilitazione del meccanicismo di Epicuro, preferito a quello galileiano-cartesiano, e cercherà  di mostrare come questo pensatore, spesso irriso e mal compreso, non si opponga al cristianesimo, ma anzi – se opportunamente interpretato – lo integri perfettamente. Mersenne d’altronde era ostile alla metafisica cartesiana quanto Gassendi, e rivolgeva i suoi interessi apologetici unicamente alla nuova fisica meccanicistica di Galileo. Dunque il libertino Gassendi e l’antilibertino Mersenne hanno molti punti in comune. Come si vede, un’aria culturale nuova pervadeva gli spiriti più vivi ed intellettivamente audaci del tempo, a prescindere dalla diversità  delle posizioni, al punto che individuare il crinale che specifica l’appartenenza al fenomeno del libertinismo non sempre è semplice. Il pensiero e la storia E’ indubbio, comunque, che i libertini hanno visto nell’opera di Montaigne una sorta di paternità  spirituale, mediata attraverso il pensiero e la riflessione di Charron, come è altrettanto indubbio che la lettura libertina di Montaigne non rende certo ragione della complessità  e dell’ampiezza del pensiero di quest’ultimo. Di Montaigne, espressione lucida e consapevole della crisi che la cultura europea attraversa durante la fine del Rinascimento, si riprende in particolare il rifiuto della ragione, intesa quale funzione ordinatrice (peraltro assai debole) e, come tale, destinata a non rendere conto della complessità  del reale, il quale nella sua più intima essenza palesa valenze irrazionali e irriducibili a qualsiasi legge. L’uomo dunque, equipaggiato di una ragione decisamente “debole”, si trova in balia del caso, senza punti di riferimento etici assoluti: di qui lo scetticismo di cui si sostanziali pensiero montaigneano. Il sentimento, l’impulso del momento, lo spirito libero da ogni legge predeterminata (vuoi dalla ragione, vuoi dal diritto positivo) sono i punti di approdo della sensibilità  libertina fin dagli inizi. L’obiettivo polemico è dunque la legge. Questo ci spiega anche come il libertinismo si trovi del tutto distante dal trovare affinità  con la nascita della scienza. Il mondo scientifico, tutto determinato dalle leggi chiare e distinte per l’intelletto matematico, si presenta come una realtà  che si aggiunge agli obiettivi polemici della maggior parte degli autori libertini. La legge, dunque, è il fuoco polemico della riflessione libertina. La natura in cui l’uomo è immerso totalmente è intesa come un insieme di forze cieche e casuali. In tal senso, la prospettiva dei libertini è tale da negare ogni metafisica (anche quella che sarà  funzionale alla nuova scienza) ed è tesa a depauperare di ogni significato la religione. Il tutto è poi accompagnato dalla coscienza di sè come rappresentanti di una elitè intellettuale, un’aristocrazia degli spiriti. Conseguentemente il libertino adotta un atteggiamento di formale ossequio alla religione e al potere, convinto dell’immaturità  delle masse e della loro incapacità  di sostenere la verità . Solo gli spiriti liberi sono destinati alla coscienza critica del mondo, poichè solo essi sanno ascoltare la natura e sono in grado di reggere il messaggio drammatico che essa porta. Per il popolo occorre perpetrare l’antico inganno della religione e della tradizione, onde evitare la decomposizione dell’ordine sociale. Al contrario di quel che faranno un secolo più tardi gli illuministi, essi non diffondono il loro pensiero e non danno ad esso un contenuto di innovazione sociale e politica. Malgrado questa coscienza di non poter iniziare una battaglia contro l’ordine costituito, riflessi sociali e politici non tarderanno a palesarsi, vista la radicale critica dei presupposti della società  che i libertini, fin dall’inizio avevano maturato. Nel corso del 1619 e-1625 accade che Teophile de Viaeu (libertino) e Cesare Vanini (aristotelico, fonte di riferimento per il pensiero libertino), subiscano condanne dal parlamento di Parigi. Occorre ribadire come nel libertinismo rifluiscano in maniera originale, ma non in chiave di una sintesi compiuta, motivi sia naturalistici sia scetticheggianti. Sulla scia dell’opera di Vanini, i libertini si ispirano alla nozione di natura, quale unico ambito entro cui l’uomo sviluppa la sua avventura esistenziale; invece sulla scia dello scetticismo, desunto da Montaigne, essi non riprendono la convinzione, ancora presente in Vanini e tipica dall’aristotelismo tardo scolastico, di una razionalità  della stessa. La natura, per i libertini, è guidata da forze cieche e arazionali, rispetto alle quali l’uomo non è in grado di affermare nulla di certo. Si nota qui bene come il movimento libertino si caratterizzi insieme per una continuità  e allo stesso tempo un distacco, sia dal naturalismo padovano sia dallo scetticismo di Montagne. Subito dopo la crisi del 1626, prevale l’elemento scetticheggiante su quello naturalistico che aveva invece fatto sentire assai più la sua voce in precedenza. Occorre peraltro raffrontare questa posizione sempre più scetticheggiante dei libertini con il contemporaneo sviluppo impetuoso del nuovo sapere scientifico, il quale fa sua, proprio in questi anni, la polemica ed il sospetto contro ogni ipotesi non sperimentabile, e quindi contro la metafisica, necessariamente identificata ancora con l’aristotelismo. Il pensiero scientifico si manifesta con valenze antimetafisiche almeno fino all’elaborazione di una nuova metafisica, quella cartesiana. Da Montaigne dunque i libertini desumono la vis polemica contro la metafisica, contro il dogmatismo ed in ultima analisi contro ogni tipo di ragione “forte”. Questo aspetto che stiamo indagando è fondamentale, poichè è in grado di spiegare come il pensiero critico libertino non potè trovare sintonia con il nascente pensiero scientifico. Proprio questo prevalere della prospettiva scettica, ispirata a sentimenti che delineano una realtà  che sfugge alla ragione, prospettiva volta ad una ricerca che si sa mai compiuta, porta il libertinismo ad essere in totale antitesi alla scienza sperimentale, la quale mostra al contrario che la natura obbedisce con rigore stupefacente a leggi esprimibili matematicamente. Così alleate della scienza saranno personalità  del cattolicesimo, come Mersenne, impegnate in uno sforzo di riconciliazione tra fede e ragione, sicuramente assai delicato dopo gli interventi dell’autorità  ecclesiastica su Galileo, ma senza dubbio di rilievo, mentre il libertinismo rispetto alla chiarezza scientifica si sente decisamente estraneo. Esso si contrappone ad una scienza che palesa l’immagine di un mondo ordinato ed armonico, potenzialmente accordabile con la fede in un dio ordinatore e creatore. La prospettiva libertina desume dall’aristotelismo il naturalismo e però sfocia, (vista l’impossibilità  all’interno dello stesso aristotelismo di identificare in maniera certa leggi di natura conoscibili dall’uomo), in una sorta di criticismo esasperato che si traduce in scetticismo. Tale scetticismo impone all’uomo il rifiuto, in nome del naturalismo, di ogni legge assoluta, intesa quale forzatura e sovrapposizione intellettiva alla natura stessa. Dunque il libertinismo si pone in una posizione intellettuale incapace di apprezzare le recenti scoperte di leggi scientifiche della natura, quali il nuovo metodo sperimentale stava elaborando. Mentre religiosi come Mersenne si sforzano di operare una fusione tra spirito scientifico e concezioni cristiane, liberi pensatori, come i libertini, rischiano di provocare, chiudendosi nel cerchio magico della negazione scettica, un divorzio fra coscienza laica e affermazione del pensiero scientifico. Questo punto, apparentemente sorprendente, si chiarisce ulteriormente se si tiene in conto che la scienza, ben presto, troverà  sviluppo e fondamento in relazione alla metafisica cartesiana. Ciò non poteva sicuramente raccogliere i consensi dei libertini, i quali vedevano in questo connubio un nuovo nascente dogmatismo. L’atteggiamento libertino piuttosto è la testimonianza di quanto la nascita di una nuova visione del mondo, come quella della precisione scientifica, dovette inizialmente creare sconcerto e difficoltà . In ogni caso la scienza, questo sapere che rinunciando alla conoscenza dell’essenza delle cose raggiunge un livello di chiarezza certissimo mediante il linguaggio dei numeri, non poteva non sviluppare una influenza sui libertini e portarli ad una graduale trasformazione del loro scetticismo, spingendoli verso un razionalismo critico. Quindi anche su questo tema abbiamo una forte ambivalenza: da un lato sospetto per le valenze dogmatiche della scienza, specie per la sua elaborazione cartesiana intimamente legata ad una nuova metafisica, dall’altra invece aspirazione ad uno spirito critico che in fin dei conti si trovava realizzato proprio nelle metodologie sperimentali della scienza galileiana e nel dubbio cartesiano. Di qui la profonda inquietudine del libertino che aspira a distruggere la tradizione e i valori del passato fino a negare ogni possibilità  conoscitiva all’uomo ed insieme mira ad una nuova ragione, non metafisica, capace di dare all’uomo nuovi punti di riferimento. Alla luce di quanto detto, risulta immediato il riferimento a Cyrano de Bergerac, uomo che, seppur in maniera tale da rasentare il dilettantismo, conosce e studia le scienze ed ammira Cartesio. Tuttavia di Cyrano ò preceduto da quegli autori che costituiscono più precisamente l’anima scettica ed erudita del libertinismo, autori che costituiscono il cosiddetto “libertinismo erudito”. Rintracciamo l’inquietitudine, descritta poc’anzi, malgrado il carattere fermo e deciso testimoniato da una vicenda esistenziale scevra dalle imprudenze di un Vanini e di un Thèophile de Viau, o dal tumultuoso attivismo di un Cyrano, in La Mothe Le Vayer. Egli contro il meccanicismo scientifico, che dimostra di non poter comprendere, rispolvera il vecchio impianto aristotelico, inteso quale un empirismo radicale che, contro le teorizzazioni matematiche della scienza, non può che approdare ad un sapere solo probabile e congetturale. Dallo scetticismo in campo teoretico deriva un relativismo etico. Infatti, se il mondo è frutto del caso e dell’arbitrio, in sede morale è del tutto illusoria la ricerca di valori assoluti. La vita è per Le Vayer positiva se dentro la stessa l’uomo si pone il compito di una ricerca senza posa, ultimamente priva di uno scopo finale. Rimane evidente la sterilità  di questo scetticismo che non può aprire prospettive costruttive alla riflessione libertina. L’ enorme mole di conoscenze sulla diversità  dei costumi umani e sulle diverse società , tale da spaziare dalla Cina al Perù, e, in campo storico, dall’Egitto ai tempi moderni, non si traduce che in un dubbio universale sulla verità  dell’uomo: quale è la verità  nella infinita varietà  dei costumi morali delle molteplici civiltà ? Non c’è alcuna risposta a questa domanda. Si evidenzia, relativamente a questa riflessione, quale importanza ebbero le scoperte geografiche come fattore destabilizzante le tradizioni religiose e culturali dell’occidente, non esclusa la sapienza biblica; l’aver scoperto numerose nuove civiltà , di alto valore etico e culturale, implicava perdere la centralità  e l’esclusività  che la cultura occidentale e cristiana presumeva di possedere, ed implicava l’apertura di uno stato d’animo scettico e dubbioso, quale si vede testimoniato negli autori libertini. Le stesse scoperte scientifiche, che scardinavano la certezza aristotelica e cristiana della centralità  della Terra e dell’uomo, avevano fatto ulteriormente scricchiolare tutti i punti cardinali. Quest’uomo, al servizio del Richelieu, distaccato, amante del quieto vivere ed insieme assetato di sapere e di erudizione, portato ad esaltare montaigneanamente il dubbio pirroniano e la debolezza della ragione umana, risolve la sua attività  intellettiva in un immobilismo e in un acquiescenza totale al potere. Mersenne, pur prete e anti-libertino, rappresenta un elemento assai più dinamico nella vita intellettuale francese. Ciò non toglie che, anche al di là  delle conclusioni a cui giunge la riflessione del le Vayer, il suo atteggiamento, determinato dalla sete di sapere, potesse avere sviluppi assai diversi, come risulterà  quando una nuova fiducia nella ragione si insinuerà  nel panorama culturale francese. Montesquieu – un secolo più tardi – fonderà  sull’erudizione e sulla conoscenza della diversità  dei costumi umani, le basi di una nuova scienza della legislazione. Naudè, anch’ egli uomo al servizio dello Stato, in quanto bibliotecario di Mazzarino, anticipando temi poi sviluppati dal Fontenelle e dal Bayle, applica il dubbio scettico alla storia, mostrando le potenzialità  di un metodo critico. Contro l’homo credulus si cerca di mettere in luce le vere, empiriche, materiali cause degli eventi umani in diretta polemica con ogni spiegazione mitica degli stessi. Tuttavia questa riflessione critica del Naudè, portata alle estreme conseguenze, chiude il libertinismo dentro una prospettiva priva di speranze per l’uomo, che in ultima analisi ben si accorda con la sua teorizzazione della Ragion di Stato. Il protagonista della storia è lo Stato e il suo interesse è ciò che ispira l’azione della politica. Sembra qui contraddetta la caratteristica tipica del primo libertinismo, ovvero l’esaltazione dell’individuo sopra ogni cosa. Naudè invece trova nell’utile dello Stato il criterio di esplicazione delle vicende storiche, dove poco resta alla libera azione del singolo. Ma, proprio in questo aspetto del suo pensiero, Lissa ritrova potenzialità  nuove del libertinismo, proiettate innanzi verso il razionalismo critico. Ecco esplicitata dunque la nascita di quello spirito critico di cui si faranno portatori Bayle e Fontenelle, che trae origine, come si può notare, dagli sviluppi interni del libertinismo e dal suo procedere su versanti apparentemente opposti tra loro. Con il Foigny troviamo come i temi della tradizione libertina si possano tradurre in una concezione utopica, che però, più che evidenziare valenze positive, trova ragione nel desiderio di fuggire dal mondo reale. Fuori da un’utopia evanescente e fantasiosa, il vivere è infatti descritto quale continuo morire dal quale è impossibile sottrarsi. La vita è un male e non vale la pena d’essere vissuta. Peraltro la conoscenza è per l’uomo tragica, perchè apre alla considerazione del proprio destino di morte: meglio l’ignoranza tema su cui tornerà  il Leopardi). La conoscenza dunque è il male più profondo per l’uomo. Abbiamo così il raggiungimento della più radicale negatività  che il pensiero libertino possiede al suo interno, negatività  che si traduce in travaglio e tormento. Tale leggiadra ed insieme disimpegnata visione della vita è testimoniata dalla schiera dei poeti lirici, che nel secolo XVII sono prevalentemente libertini. Questo genere poetico, definito “libertino” quasi per natura dallo Spink, testimonia peraltro, in maniera assai evidente, l’importanza della riflessione che fa capo ad Epicuro, e dunque l’importanza della figura del Gassendi nella genesi di quella percezione del vivere che entra costitutivamente nella definizione del libertinismo. Temi essenziali di questo poetare sono: la vita secondo natura e contro ogni restrizione; la insofferenza per l’ipocrisia religiosa ed il favore invece per la spontaneità , per l’amore ed il sentimento; il senso ineluttabile e tragico (pur senza drammi) della morte; la vita come insieme di sensazioni, le quali unicamente possono conferire la felicità . Così dunque in questo ambito vanno ricordati poeti quali Des Yveteaux, Desbaurrex, La Fare, Chaulieu, Chapelle, e Mme Deshouilères. Ma al di là  di una descrizione analitica, autore per autore, interessa qui evidenziare il tratto sintetico che emerge da questa produzione. “… Et chercher en tout temps l’honnàªte voluptè… ” scrive Des Yveteaux. Nella sua poesia, come in quella del Desbarreaux, si avverte l’intenzione di vivere una vita all’insegna della libertà , dell’eleganza dei costumi, della superiorità  rispetto ad ogni pedanteria e fasulla scienza. Una vita, cioè, intessuta di distacco ed insieme della capacità  di cogliere la felicità  negli onesti piaceri. L’ “Honnàªte homme”, diverrà  l’ideale conclamato in tali opere, indicando con questo l’indipendenza del giudizio da qualunque sua applicazione particolare, la negazione d’ogni etichetta o insegna intellettualmente qualificante. I personaggi descritti si ritrovavano presso case private per salotti culturali e per godere della leggiadria dell’ideale di vita conclamato. Centri di ritrovo erano la casa di M. me de la Sabliòre e, dopo che questa si ritirò in convento, la casa dell’abate di Chaulieu, che rimase punto di riferimento per gli amici per circa trent’anni. Tale stile di vita era caratterizzato dalla sensualità  ma non dalla dissolutezza, era ostile alla devozione religiosa, ma non tale da contestarla apertamente e con convinzione, era infine ispirato al decoro ed alla elevatezza dei sentimenti. Ma ancor più che la poesia e l’elaborazione teorica, testimonia questo ideale di vita la persona del cavaliere de Mèrè, che era una specie di arbiter elegantiarum e la più grande autorità  su tutto quanto costituiva la vera gentilezza (Honnàªtetè), e che dedicò tutta la sua esistenza a coltivare il piacere dei rapporti sociali, e che era persona ambita nei salotti colti dell’epoca. Il cavalier de Mèrè fu fonte d’ispirazione per Pascal, nelle sue descrizioni di quell’ideale mondano che, nei “Pensieri”, è accusato come vacuo e intriso di tristezza ma che Pascal dimostra di conoscere con acume. Con queste figure il libertinismo sembra venire a coincidere con lo “spirito mondano”, inteso anche nelle sue valenze più disimpegnate. Tale spirito ò caratterizzato dall’eleganza, dalla cultura non pedante e mai approfondita, dal discorrere con fascino e consapevolezza del dramma della vita, senza tuttavia che esso impegni l’uomo in una seria ricerca di una risposta. Esso si risolve, secondo Moscato, in un’arte di piacere a tutti, in una inconcludenza erudita, in una leggiadro elitarismo intellettuale.

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