Fino al 1928 gli USA vivono una crescita economica senza precedenti
Gli Stati Uniti d’America, dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale, oltre a esportare i loro prodotti agricoli e industriali in Europa, avevano anche aiutato le industrie delle nazioni europee a risollevarsi dalla crisi del dopoguerra investendo grandi somme di danaro. La produzione industriale e agricola degli Stati Uniti aveva avuto così un fortissimo incremento, fino a toccare punte di grande prosperità e benessere.
Anche le economie europee, fin dal 1925, avevano dato segnali di ripresa: la produzione industriale e agricola stava tornando ai livelli dell’anteguerra. Durante questo periodo di forte crescita economica si era diffusa in America una grande fiducia, e tutto lasciava credere che la macchina produttiva americana non si sarebbe arrestata e che la ricchezza fosse facilmente a portata di mano.
Questo diffuso ottimismo si manifestò soprattutto in borsa, un luogo in cui vengono acquistate e vendute azioni, cioè piccole quote che rappresentano il capitale di una società. Tra il 1925 e il 1928 il valore delle azioni scambiate a Wall Street, la borsa di New York, salì vertiginosamente. I risparmiatori e gli imprenditori confidavano sul fatto che le azioni, acquistate a un certo prezzo, potessero fruttare ingenti guadagni se rivendute a distanza di tempo per un valore superiore a quello di acquisto.
Gli Stati Uniti producono troppo: il 1929 è l’anno della grande crisi
Nell’ottobre 1929, improvvisamente, avvenne il crollo. Infatti la produzione era talmente aumentata che non trovava più, né in Europa né in America, tanti acquirenti quanti ne sarebbero stati necessari. Si verificò dunque un forte squilibrio tra la produzione e i consumi: di conseguenza, i prodotti restarono invenduti nei depositi. Le industrie non riuscivano più a vendere e molte di esse fallirono, perché i proprietari non erano più in grado di restituire alle banche i soldi avuti in prestito per potenziare le loro industrie; allo stesso modo gli agricoltori non riuscirono a restituire i prestiti avuti per comperare le macchine agricole che avevano permesso loro di aumentare la produttività delle terre. Con gli industriali e gli agricoltori fallirono anche numerose banche, che avevano concesso loro danaro in prestito.
Il presidente Hoover si dimostra incapace ad affrontare l’ondata di crisi
L’ondata di crisi travolse anche la borsa. L’improvviso crollo dell’economia indusse gli investitori a rivendere al più presto le azioni comperate. In pochi giorni a Wall Street non c’era più nessuno disposto ad acquistare. Il valore dei titoli si ridusse drasticamente, mandando sul lastrico tutti coloro che avevano impegnato i loro risparmi e i loro capitali in operazioni di borsa. Alla perdita di denaro, in molti casi, si aggiunse quella del posto di lavoro: molte imprese, infatti, furono costrette a chiudere i battenti e a mandare a casa i loro dipendenti. Negli USA, nella fase più acuta della depressione, si contarono circa 13 milioni di disoccupati e si registrarono numerosi suicidi. Nella sola giornata del 24 ottobre, il drammatico “giovedì nero” in cui crollò Wall Street, si tolsero la vita ben 11 persone.
L’allora presidente degli Stati Uniti, il repubblicano Hoover, negò sussidi alla massa dei disoccupati e ritenne che, per superare la crisi, fosse necessario piuttosto concedere aiuti agli imprenditori e ridurre le spese dello Stato. Questi rimedi non riuscirono a far fronte alla situazione critica di quegli anni e diffusero nella popolazione americana sconforto e sfiducia. Si giunse così alle elezioni presidenziali del 1932, che registrarono la sconfitta di Hoover e la vittoria del candidato democratico, Franklin Delano Roosevelt.
Il New Deal di Franklin Delano Roosevelt
Franklin Delano Roosevelt (1882- 1945) fu un uomo politico di grande rilievo e fascino e ben accetto alle masse popolari. Egli era convinto che per ridare impulso all’attività produttiva e per rimuovere le cause della crisi occorreva ridare fiducia alla società americana. Dopo essere stato eletto presidente degli Stati Uniti, attuò un vasto programma economico, chiamato New Deal, con un termine preso dal gergo dei giocatori di carte che significa “la nuova mano”, “il nuovo gioco”. Tale progetto prevedeva l’intervento dello Stato per il risanamento della situazione economica. Tale intervento si concretizzò in stanziamenti e finanziamenti per realizzare numerose opere pubbliche. Tra queste la costruzione di strade e la creazione di un sistema di dighe sul fiume Tennesse per impedire le inondazioni, migliorare la navigazione e produrre energia elettrica a bassi costi.
Nel settore agricolo si anticiparono capitali agli agricoltori e si favorì la riduzione delle aree coltivate per evitare una produzione eccessiva rispetto alle richieste del mercato. Nel settore industriale fu dato impulso alla produzione con varie commesse da parte dello Stato. Nel settore del lavoro si concessero sovvenzioni ai disoccupati, pensioni d’anzianità, misure di assistenza per madri e bambini. Inoltre fu fissata una base minima di salario sotto la quale non era consentito scendere. Questi incentivi si proponevano di infondere fiducia nei cittadini e di stimolare una ripresa dei consumi e degli acquisti.
Nel 1934 inizia la ripresa economica degli USA
In poco tempo i benefici effetti del New Deal si fecero sentire in tutto il Paese; la situazione economica cominciò a migliorare dalla fine del 1934. La crisi americana del 1929 mise in risalto il nuovo e deciso ruolo dello Stato nell’economia.
Questo intervento dello Stato in economia costituì un evento eccezionale. Fino ad allora, infatti, i sistemi economici si erano basati su principi opposti rispetto a quelli adottati da Roosevelt. In primo luogo si riteneva che lo Stato dovesse “lasciar fare” ai privati e consentire loro di svolgere qualunque attività economica in libera concorrenza. Si affermava poi che le imprese, per conseguire maggiori guadagni, dovessero mantenere bassi i salari degli operai. Roosevelt, invece, era convinto del contrario. Nella sua ottica, per far guadagnare le industrie era necessario mettere le persone nella condizione di comperare, quindi tenere le retribuzioni sufficientemente alte per accrescere i consumi.
Inoltre, se i privati con le loro attività produttive non favorivano lo sviluppo economico e l’occupazione, lo Stato stesso doveva trasformarsi in imprenditore, spendere i propri soldi anche a costo di indebitarsi. Non a caso, negli anni di presidenza Roosevelt il bilancio pubblico americano fece registrare importanti perdite. Il numero dei disoccupati, però, scese di diversi milioni e ciò sembrava confermare l’opinione di un illustre economista del tempo, John Maynard Keynes, autore dell’opera “La teoria generale dell’impiego, dell’interesse e della moneta“, secondo cui il bilancio in rosso di uno Stato non è di per se un evento dannoso se è destinato a produrre nel tempo occupazione e risultati positivi. Ciò non vuol dire che l’economia americana stesse per diventare statalista, ma solo che lo Stato stava assumendo una funzione integrativa dell’iniziativa privata in una situazione critica di emergenza.
La crisi si trasferisce in Europa
La crisi del 1929 non restò circoscritta agli Stati Uniti, ma toccò presto anche l’Europa, soprattutto i Paesi che avevano rimesso in piedi le loro industrie grazie ai prestiti americani. Nel momento più acuto della crisi gli USA dovettero ritirare i propri capitali dall’Europa, trascinando nella crisi le banche e le industrie che avevano beneficiato in un primo tempo del loro aiuto. Nelle nazioni più colpite dalla crisi tutti gli strati della popolazione subirono gravi conseguenze, nessuno escluso. La miseria colpì un po’ tutti. Si verificarono perciò scioperi di protesta contro l’aumento del costo della vita e contro la disoccupazione. Gli scioperi e le manifestazioni non si rivolsero solo contro i governi, ma anche contro il sistema economico liberista, contro il tipo di società nato dallo sviluppo industriale e contro i regimi democratici, che venivano accusati di essere i responsabili della crisi.
Non è certamente un caso che Hitler sia salito al potere in Germania nel 1933, cioè nel pieno della crisi che aveva colpito quel Paese più di ogni altro in Europa.
Della crisi del 1929 risentirono meno le nazioni che non dipendevano economicamente dagli Stati Uniti, o che potevano contare su un mercato interno abbastanza solido e ampio. Così l’Inghilterra, che non aveva conosciuto una grande espansione dei consumi e poteva inoltre fare affidamento su un impero coloniale ancora vasto, fu meno colpita. Diverso fu il caso dell’Unione Sovietica, la cui economia non era legata al commercio internazionale in alcun modo, in quanto non era minimamente interessata alle regole del libero mercato ed alle sollecitazioni della produzione di beni di consumo.
- Tesine