L’ITALIA NEL DOPOGUERRA
L’Italia, come le altre nazioni coinvolte nel primo conflitto mondiale, si trovò nell’immediato dopoguerra a fronteggiare gravissime difficoltà economiche e politiche, tra cui:
- la disoccupazione generale
- il problema della riconversione industriale da militare a civile
- il ritorno dei reduci di guerra
- la gestione delle classi a reddito fisso particolarmente colpite dalla crisi economica
Forte preoccupazione suscitarono anche le notizie provenienti dalla Russia: il movimento operaio e
socialista pensò a tratti che anche per il nostro paese potesse essere giunto il momento della
rivoluzione proletaria e comunista. Agli scioperi si aggiunsero manifestazioni di forte contenuto
politico. Nel sud, diversi gruppi di braccianti tentarono di occupare le terre incolte. A Torino, nel
1919, si costituirono in diverse fabbriche dei consigli di operai che tentarono di gestire direttamente
la produzione. Nell’estate del 1920 furono occupate dagli operai le più grandi fabbriche del Nord,
inclusa la Fiat. Il biennio 1919-20, cosiddetto “biennio rosso” (dal colore delle bandiere dei
manifestanti) fu dunque segnato da intense agitazioni politico-sindacali.
In realtà, le possibilità di una rivoluzione socialista in Italia erano inconsistenti per due diverse
ragioni:
- in primo luogo la classe operaia non costituiva la maggioranza
- in secondo luogo il movimento operaio era profondamente diviso: molti operai erano cattolici, riformisti, repubblicani e non credevano nella rivoluzione socialista
Le agitazioni operaie produssero da un lato risultati economici positivi (miglioramenti nel salario e
nelle condizioni di lavoro) dall’altro effetti politici negativi: spaventarono fortemente la borghesia,
il ceto medio, i piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente
numerosa. Il timore di una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di
Benito Mussolini.
A livello politico, la guerra aveva cambiato tante cose e i mutamenti intervenuti ebbero precisi
riflessi sulla composizione del nuovo Parlamento. Il Partito socialista ottenne 156 deputati in
confronto ai 48 del 1913, il Partito popolare ne ebbe 100 in confronto ai 33 cattolici eletti nel 1913.
I liberali persero la maggioranza. Avevano infatti ottenuto poco più di 200 deputati rispetto agli
oltre 300 eletti nel 1913. Poiché nessun partito aveva la maggioranza per governare, sarebbero stati
necessari degli accordi solidi e duraturi fra forze politiche diverse. Questo risultato però non fu
raggiunto. Le nuove elezioni, tenute nel 1921, non cambiarono sostanzialmente le cose. I governi
che nacquero da questi parlamenti divisi furono così sempre più deboli sostenuti da maggioranze
instabili.
In questa situazione confusa cominciò a trovare spazio il movimento fascista, fondato da Benito
Mussolini. Mussolini era stato dapprima socialista. Era poi divenuto nazionalista e sostenitore
dell’intervento italiano nella prima Guerra mondiale. Personaggio ambizioso, non legato a progetti e
programmi politici definitivi, Mussolini raccolse sempre maggiori consensi facendo leva sia sulle
emozioni e paure di molti italiani, sia sugli interessi economici di una parte della società, ottenne
l’appoggio dei nazionalisti (che parlavano, a proposito degli esiti della guerra, di «vittoria
mutilata») e quello decisivo della classe dirigente, dei proprietari terrieri, dei piccoli borghesi
moderati, intimoriti dalla propaganda rivoluzionaria.
2. IL BIENNIO ROSSO
Nel clima acceso del biennio rosso, Mussolini fece della violenza un uso sistematico (costituzione di effettive bande di uomini armati). I continui richiami a uno Stato autoritario e la sua costante propaganda contro il Parlamento ebbero successo, anche per la debolezza estrema degli ultimi governi liberali.
Nonostante la fine dell’occupazione delle fabbriche avesse mostrato l’inesistenza di un pericolo
socialista rivoluzionario in Italia, gli scontri tra operai e fascisti si fecero più aspri e frequenti con
numerose vittime da ambo le parti, coinvolgendo anche persone estranee e innocenti. Sostenuto
anche con contributi in denaro da svariati agrari e industriali, le violenze, le cosiddette «spedizioni
punitive» dei fascisti si intensificarono, spesso con inaudita violenza nei confronti degli avversari
politici. Gli organi dello Stato che avrebbero dovuto mantenere l’ordine, non intervennero per
reprimere le illegalità: in diversi momenti, le forze di polizia addirittura si affiancarono alle squadre
fasciste.
3. LA MARCIA SU ROMA
In questo contesto, il 28 ottobre 1922 i reparti armati dei fascisti (le famose “camicie nere”) organizzarono una marcia su Roma. Essa si concluse con il rifiuto di Vittorio Emanuele III di firmare lo stato d’assedio e con l’incarico affidato a Mussolini di formare un nuovo governo. Il primo governo Mussolini, appoggiato dai liberali nazionalisti e da molti cattolici, ottenne il voto favorevole del Parlamento, nonostante l’opposizione di socialisti e comunisti.
4. IL DELITTO MATTEOTTI
Nelle elezioni del 1924 Mussolini presentò una lista di candidati (cosiddetto «listone») formata sia da fascisti che da liberali e cattolici. La nuova legge elettorale prevedeva un premio di maggioranza al partito che avesse avuto il maggior numero di voti.
Contando inoltre sul clima di violenza generato dalle squadre fasciste, Mussolini ottenne la
maggioranza assoluta (oltre i due terzi dei seggi del Parlamento). Diversi esponenti liberali e
cattolici (oltre ai partiti di sinistra, tradizionalmente ostili alla politica mussoliniani) esercitarono il
proprio ruolo di opposizione in Parlamento con durezza e intransigenza. È il caso soprattutto del
deputato socialista Giacomo Matteotti, che denunciò in uno storico discorso le violenze, le minacce
e i brogli elettorali dei fascisti durante le elezioni. A distanza di pochi giorni dalla sua dura
requisitoria in Parlamento, Matteotti venne rapito da un gruppo di fascisti estremisti e brutalmente
assassinato il 10 giugno 1924. Il sentimento di fortissima indignazione che si diffuse nel Paese, a
seguito del delitto, condusse allo scioglimento anticipato della coalizione di governo mussoliniana.
Deputati socialisti, comunisti, cattolici, repubblicani e liberali abbandonarono per protesta il
Parlamento riunendosi altrove (cosiddetta “secessione dell’Aventino”).
5. LA DITTATURA
L’opposizione “aventiniana” si rivelò tuttavia un grave errore politico. Il re Vittorio Emanuele III, sostenne infatti ancora una volta Mussolini, riconfermandogli la fiducia. E questi, ormai libero di non fingersi capo moderato e responsabile, in un celebre discorso (gennaio 1925) rivendicò la «responsabilità politica, morale e storica» del delitto Matteotti e realizzo una serie di riforme che trasformarono l’Italia in uno stato autoritario. Nel corso dello stesso anno infatti si procedette infatti progressivamente allo smantellamento dello stato liberale ed all’instaurazione della dittatura fascista.
Nel dettaglio:
- vennero sciolti tutti i partiti, tranne quello fascista
- il potere di fare le leggi venne sottratto al Parlamento e affidato al governo, cioè allo stesso Mussolini e ai ministri da lui scelti
- fu impedito il diritto di sciopero: a lavoratori e datori di lavoro venne imposto l’obbligo di iscrizione ai sindacati fascisti
- fu limitata la libertà di stampa e di associazione
- venne creato il Ministero della cultura popolare (cosiddetto MinCulPop)
- venne istituito il Tribunale speciale per difesa dello Stato, la polizia politica
Quest’ultima (l’OVRA = opera di Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo) aveva il compito di
identificare e denunciare gli oppositori del governo fascista.
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