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La donna In Etruria Abbiamo l’esempio di Tanaquil, modello di donna evoluta, emancipata e capace di spianare con abilità e astuzia la carriera del marito. Tanaquil dunque fu un personaggio straordinario: regina di Roma (moglie di Tarquinio Prisco) ma non romana. Una donna dalle capacità significative, esperta di prodigi come tutti gli Etruschi. E di fare prodigi Tanaquil mostrò la sua abilità a Roma; ma per capirne l’importanza bisogna partire da molto lontano, dal giorno in cui, con il marito destinato a diventare re Tanaquil, lasciò la natia Etruria per cercare fortuna a Roma. Tanaquil aveva dunque deciso che a Roma, città nuova, dove ogni nobiltà era di fresca data e dove erano offerte a tutti ampie possibilità di affermazione sociale, il marito avrebbe potuto far valere le sue capacità, conquistando quel potere al quale ella disperatamente ambiva. Già nel corso del viaggio aveva iniziato a dar prova delle sue capacità di interprete. Quando era giunta nei pressi del Gianicolo, seduta sul carro insieme al marito, aveva assistito ad un prodigio: una aquila era scesa planando sulla testa di Lucumone (originario nome di Tarquinio) e gli aveva tolto il berretto. Volteggiando quindi sul carro come se adempisse ad una missione divina, glielo aveva rimesso sulla testa e si era levata di nuovo alta nell’aria, fino a scomparire. Tanaquil aveva interpretato il prodigio: Lucumone sarebbe diventato re per volere divino; ed aveva visto giusto. Qualche anno più tardi nella reggia era accaduto un altro fatto singolare: mentre un figlio della schiava Ocrisia stava dormendo, la sua testa era stata all’improvviso avvolta dalle fiamme. Accorsa alle grida dei presenti, Tanaquil aveva impedito che si gettasse acqua per spegnere il fuoco. E, al risveglio del bambino, il fuoco era scomparso. Di nuovo Tanaquil aveva interpretato il prodigio: il bambino – aveva detto – sarebbe stato la luce e il sostegno della reggia nei momenti difficili; aveva veramente previsto il futuro: cresciuto, il bambino sarebbe diventato il re Servio Tullio. Pur interessante per la ricostruzione del personaggio di Servio, l’episodio non riguarda direttamente Tanaquil, la quale non si limitò ad interpretare prodigi. Nella sua qualità di regina prese anche altre iniziative, certamente inconsuete per una donna; alla morte del marito, caduto vittima di una congiura di palazzo, esortò Servio a prendere il suo posto: “È a te, se sei un uomo, che tocca prendere il trono. È a te, e non ai vili che hanno pagato i suoi sicari, che spetta diventare re, come del resto gli dei hanno mostrato”. Ed ecco, in esecuzione del suo piano, Tanaquil presentarsi al popolo e arringarlo dalla finestra della reggia: “Il re è ancora vivo. Ben presto si riprenderà. Nel frattempo, bisognerà obbedire a Servio”. Così per alcuni giorni, Servio affermò la sua autorità, e, quando la notizia della morte del re trapelò, Servio fu il primo re che regnò senza essere nominato dal popolo. In Sabina Le donne sabine godevano di una certa libertà già in patria e, dopo il “ratto” da parte dei romani, mantennero lo Status sociale di cui godevano prima. Delle donne sabine sappiamo poco o nulla, solo qualche notizia e un solo nome: Ersilia. Delle donne sabine, infatti, si parla solo a proposito del loro celeberrimo rapimento, quando, invitate ai giochi indetti da Romolo in onore di Nettuno, furono assalite dai Romani e portate a Roma per popolare la nuova città. Ma quante furono le sabine rapite? Furono davvero solo trenta, come si potrebbe desumere dal fatto che le trenta curie avrebbero preso i loro nomi? Accanto alla tradizione, che riporta questo numero, c’è chi sostiene che fossero 527 e chi 683 donne. Tutte vergini. Particolare importante, quest’ultimo. Il fatto che una sola delle donne rapite fosse sposata (Ersilia) e che fosse stata rapita per errore fu uno degli argomenti più forti che i Romani usarono in loro difesa, quando i Sabini rivendicarono le loro donne: il ratto, dissero, era (segue nel file da scaricare)
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