"Notizia intorno a Didimo Chierico"
XII.
— Ora dirà de' suoi costumi esteriori. Vestiva da prete; non però assunse gli ordini sacri; e si faceva chiamare Didimo di nome, e Chierico di cognome. ma gli rincresceva sentirsi dar dell'abate. Richiestone, mi rispose: La fortuna m'avviò da fanciullo al chiericato; poi la natura mi ha deviato dal sacerdozio; mi sarebbe rimorso l'andare innanzi, e vergogna il tornarmene addietro: e perché io tanto quanto disprezzo chi muta istituto di vita, mi porto in pace la mia tonsura e questo mio abito nero: così posso ammogliarmi ed aspirare ad un vescovato.
Gli chiesi a quale de' due partiti s'ammoglierebbe. Rispose: Non ci ho pensato; a chi non ha patria non istà bene l'essere sacerdote, né padre.
Fuor dell'uso dei preti compiacevasi della compagnia degli uomini militari. Viaggiando perpetuamente, desinava a tavola rotonda con persone di varie nazioni; e se taluno (com'ei s'usa) professavasi cosmopolita, edili si rizzava senz'altro. S'addomesticava alle prime; benché con gli uomini cerimoniosi parlasse asciutto; ad a' ricchi pareva altero: evitava le sette e le confraternite; e seppi che rifiutò due patenti accademiche. Usava per lo piú ne' crocchi delle donne, però ch'ei le reputava più liberamente dotate dalla natura di compassione e di pudore; due forze pacifiche le quali, diceva Didimo, temprano sole tutte le altre forze guerriere del genere umano.
— Era volentieri ascoltato: né so dove trovasse materie; perché alle volte chiacchierava per tutta una sera, senza dire una parola di politica, di religione, o di amori altrui. Non interrogava mai per non indurre, diceva Didimo, le persone a dir la bugia: e alle interrogazioni rispondea proverbi, o Guardava in viso chi gli parlava. Non partecipava né una dramma del suo secreto ad anima nata: — Perché, diceva Didimo, il mio secreto è la sola proprietà su la terra ch'io degni di chiamar mia, e che, divisa, nuocerebbe agli altri e a me. — Né pativa d'essere depositario degli altrui secreti: — Non ch'io non mi fidi di serbarli inviolati: ma avviene che a voler scampare dalla perdizione qualche persona, m'è pure necessità a rivelare alle volte il secreto che m'ha confidato: tacendolo, la mia fede riescirebbe sinistra; e maniifestandolo, m'avvilirei davanti a me stesso.
— Accoglieva lietissimo nelle sue stanze: al passeggio voleva andar solo, o parlava a persone che non aveva veduto mai, e che gli davano nell'idea: e se alcuno de' suoi conoscenti accostavasi a lui, si levava di tasca un libretto, e per primo saluto gli recitava alcuni squarci di traduzioni moderne de' poeti dieci: e rimanevasi solo. Usava anche sentenze enigmatiche. Nessun frizzo: se non una volta e per non ricaderci, rilesse i quattro Evangelisti. Ma di tutti questi capricci e costumi di Didimo s'avvedevano gli altri assai tardi, perch'ei non li mostrava, né gli occultava; onde credo che venissero da disposizione naturale.
XIII.
Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana. A chi gli offeriva amicizia, lasciava intendere che la colla cordiale per cui l'uomo s'attacca all'altro, l'aveva già data a quei poche ch'erano giunti innanzi. — Rammentava volentieri la sua vita passata, ma non m'accorsi mai ch'egli avesse fiducia nei giorni avvenire o che ne temesse. (…..) . Mostravasi gioviale e compassionevole, e benché fosse alloramai intorno a' trent'anni, aveva aspetto assai giovanile; e forse per queste ragioni Didimo, tuttochè forestiero, non era guardato dal popolo di mal occhio, e le donne passando gli sorridevano, e le vecchie si soffermavano accanto a una porticciola a discorrere seco, e molti fantolini, de' quali egli si compiaceva, gli correvano lietissimi attorno. Ammirava assai; ma più con gli occhiali, diceva egli, che col telescopio: e disprezzava con taciturnità sì sdegnosa, da far giusto e irreconciliabile il risentimento degli uomini dotti. Aveva per altro il conpenso di non patire d'invidia, la quale, in chi ammira e disprezza, non trova mai luogo. E' diceva: — La rabbia e il disprezzo sono due grandi estremi dell'ira: le anime deboli arrabbiano, le forti disprezzano: ma tristo e beato chi non s'adira.
XIV.
Insomma, pareva uomo che essendosi in gioventù lasciato governare dall'indole sua naturale, s'accomodasse, ma senza fidarsene, alla prudenza mondana. E forse aveva più amore che stima per gli uomini; però non era orgoglioso, né umile. Pareva verecondo, perché non era né ricco né povero. Forse non era avido né ambizioso; perciò parea libero. Quanto all'ingegno, non credo che la natura l'avesse moltissimo prediletto, né poco. Ma l'aveva temprato in guisa da non potersi imbevere degli altrui insegnamenti e quel tanto che produceva da sè, aveva certa novità che allettava, e la primitiva ruvidezza che offende. Quindi derivava in esso per avventura quell'esprimere in modo tutto suo le cose comuni; e la propensione di censurare i metodi delle nostre scuole. Inoltre, sembravami ch'egli sentisse non so qual dissonanza nell'armonia delle cose del mondo: non però lo diceva. Dalla sua operetta greca si desume quanto meritamente si vergognasse della sua giovanile intolleranza. Ma pareva. quando io lo vidi, piú disingannato che rinsavito; e che senza dar noia agli altri, se ne andasse quietissimo e sicuro di se medesimo per la sua strada, e sostandosi spesso, quasi avesse più a cuore di non deviare, che di toccare la meta. Queste a ogni modo sono tutte mie congetture.
Un anello essenziale per comprendere il passaggio dalla passionalità incandescente del Foscolo nell'Ortis alla pacatezza di Ugo Foscolo nelle Grazie, cultore dell'armonia rasserenatrice, è costituito dalla traduzione del Viaggio sentimentale di Laurence Sterne, ma soprattutto dalla Notizia intorno a Didimo Chierico che l'accompagna. L'opera di Sterne aveva affascinato lo scrittore italiano sin dagli anni giovanili (si nota l'influsso nel progetto del romanzo giovanile "Il sesto tomo dell' Io").
Ad una traduzione lavorò tra primavera ed estate del 1805, trovandosi nella Francia del Nord al seguito della tentata spedizione napoleonica contro l'Inghilterra; la riprese nel 1812 a Firenze, nella villa di Bellosguardo, sui colli fiorentini (lo stesso periodo in cui lavora alle Grazie). La traduzione è attribuita da Foscolo ad un personaggio fittizio, Didimo Chierico, di cui nella Notizia viene tracciato il ritratto. Didimo era il nome di un grammatico dell'età ellenistica; "chierico" deriva dal fatto che il personaggio era stato avviato da fanciullo al sacerdozio, senza però assumere gli ordini sacri ed allude forse alla sacralità della figura del letterato, "sacerdote" della poesia.
Evidentemente Didimo non è altro che l'alter ego di Foscolo stesso: risulta così una nuova maschera dello scrittore, come lo era stato Jacopo Ortis negli anni giovanili. Ma Didimo è un anti-Ortis: quanto Jacopo è appassionato e disperato, tanto Didimo è distaccato dalle passioni, ironico e disincantato. Le passioni serbano in lui "un calore di fiamma lontana".Si esprime in questa figura un bisogno di dominare il mondo delle passioni, di filtrare una realtà troppo tumultuosa attraverso una più distaccata serenità : è una disposizione d'animo che è strettamente collegata a quella che dà vita alle Grazie, che nascono non a caso nello stesso periodo. Didimo conserva gli ideali dell’ eroe giovanile: l’amor di patria, il senso fiero della proprio indipendenza e libertà, il disdegno per la vita e la bassezza d’animo. Ma tende a dominare le passioni; quel poco che ne traspare sembra “calore di fiamma lontana”. Non si può dire che sia approvato ad un’olimpica saggezza: è “più sdegnato che rinsavito”, non ha più fiducia nell’ avvenire, anche se non ne ha paura; si adatta alla prudenza mondana, ma “senza fidarsene”. Sente ancora, come Ortis, una “dissonanza nell’armonia del mondo”, ma invece di contrapporsi ad essa con atteggiamento eroicamente agonistico, si limita a tacere. Non ha una meta sicura verso cui indirizzarsi e si limita a “non deviare” della linea che si è assunta.
Nel 1815 la Notizia fu ripubblicata insieme con l'Ipercalisse (il titolo completo è: Didimi Clerici prophetae minimi Hypercalypseos liber singularis, ovvero il Libro singolare dell'Ipercalisse di Didimo Chierico profeta minimo) sempre sotto la maschera di Didimo Chierico, Foscolo scaglia una satira violenta contro i letterati milanesi, con cui era entrato in urto dal 1810. L'opera è scritta in latino biblico, modellato su quello dell'Apocalisse, a cui si riferisce anche il titolo, che allude al carattere oscuro e cifrato delle allusioni (dal greco kalypto che significa "nascosto").
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- Ugo Foscolo
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