Nella filosofia giuridica e politica Gentile, seguendo Hegel, identifica lo Stato, il soggetto universale, con lâincarnazione della moralità ( Stato fu sempre per lui sinonimo di Stato etico). Nellâopera I Fondamenti della filosofia del diritto del 1916, come nell’ultimo suo scritto Genesi e struttura della società pubblicato postumo 1946 (in cui riprende e approfondisce i temi già trattati nella prima opera), nonchè in altri scritti minori ( alcuni dei quali sono inseriti nella sezione della bibliografia sotto il titolo ” Scritti politici”) Gentile delineò il suo modello di Stato che, come la società , la morale, il diritto e la politica, egli risolse nell’atto di pensiero: società e Stato, e quindi diritto e politica, non sono, per Gentile, inter homines, ma in interiore homine e, per definirne la natura introduce nel saggio la dialettica di volontà volente e volontà voluta, che ò identica a quella di pensante e pensato, data lâidentità tra pensiero e volontà : il pensiero, essendo attività creatrice e infinita, ò allo stesso tempo volontà creatrice e infinita. Il diritto ò il voluto, cioò non più volontà in atto ma volontà passata, risultato dell’atto di volere, momento astratto della dialettica e come tale fissato nella sua oggettività , di contro alla moralità , che ò volontà del bene, cioò creazione del bene nell’atto di volerlo e quindi momento concreto della dialettica. Diritto e morale, lo Stato e l’individuo si identificano nell’atto del volere volente o del soggetto pensante in cui consiste la loro verità . La struttura dello Stato che Gentile tracciò nei suoi saggi, rappresenta il momento della sintesi che risolve in sè lâindividualità dei suoi componenti e come tale elimina la distinzione tra pubblico e privato, nella direzione di un totalitarismo che paradossalmente garantisce la libertà , la âvera libertà â, per tutti i cittadini. Lâadesione al partito fascista sembrò a Gentile la scelta eticamente e filosoficamente più coerente. Ma lâepisodio cruciale che gli diede la possibilità di definire la sua posizione in politica fu la prima guerra mondiale: Gentile condannò lâattendismo di coloro che, come Croce, temevano che una guerra pur se vittoriosa sarebbe risultata un disastro per il giovane Stato italiano, promuovendo con numerosi articoli la tesi che il conflitto rappresentasse un esame necessario da superare, che avrebbe unito il popolo italiano e gli avrebbe permesso di guadagnare credito internazionale. Scontento della burocrazia e della politica parlamentare (che bollò con disprezzo col termine giolittismo) vide, nel nuovo partito prima, e nel regime dopo, lo sviluppo e il compimento di quel moto storico-ideologico che, dopo aver animato tutto il Risorgimento italiano, si compiva finalmente nell’avvento di uno Stato etico forte, garante della libertà dei cittadini e essenza ed inveramento di questa stessa libertà . Gentile che si definì sempre un liberale (non un liberale di tipo anglosassone, ma di un liberalismo sui generis di derivazione hegeliana e risorgimentale) cercò, durante la sua militanza nel partito e nello Stato fascista, di mantenere una posizione chiara, per gli altri e per sè stesso, di fronte all’inarrestabile conformismo dogmatico del regime, pur difendendone le ragioni e i metodi anche violenti. Per la sua fedeltà ai valori liberali e risorgimentali dovette subire attacchi da molte correnti intransigenti del movimento che lo guardarono con sospetto sin dalla sua adesione al partito. Problematiche furono anche le sue relazioni con il Vaticano, prima e dopo il Concordato del 1929, dovute allâavversione di Gentile verso quella che giudicò una concessione di potere dello Stato alla Chiesa. Se la produzione culturale di Gentile e la sua attività contribuirono allâimmagine del regime, sia in Italia che allâ estero, ò anche vero che lâappoggio di Mussolini non gli mancò mai e spesso alcuni suoi interventi lo tirarono fuori dalle polemiche che i suoi scritti e le sue iniziative di volta in volta provocarono allâinterno del partito; la scelta di seguirlo a Salò fu una dimostrazione di coerenza, oltre che stima verso la persona che lo aveva voluto come faro del regime, e che gli aveva permesso di recitare un ruolo importante nella cultura italiana, ma non solo, per più di un ventennio.
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