La fortuna del personaggio Ulisse nella letteratura - Studentville

La fortuna del personaggio Ulisse nella letteratura

Tema svolto per la maturità sul personaggio di Ulisse nella letteratura.

Nell’Iliade Odisseo è il sovrano di un regno abbastanza ricco anche se non molto grande, e partecipa alla spedizione contro Troia, insieme agli altri Achei, con dodici navi. E’ considerato uno degli eroi più valorosi, inferiore solo ad Achille e Aiace Telamonio; ma è il primo tra tutti per quanto riguarda l’intelligenza strategica e l’astuzia politica. A lui non vengono attribuiti i soliti epiteti degli altri combattenti, come “omicida” o “distruttore di schiere”, ma le sue qualità sono riferibili all’eloquenza persuasiva, alla razionalità, alla lungimiranza. Queste facoltà vengono approfondite nell’Odissea, e addirittura egli stesso dimostra di vedersi diverso e più complesso rispetto agli altri eroi. Per esempio, nella reggia di Alcinoo, si vanta dell’inganno del cavallo col quale i Greci espugnarono Troia, chiedendo a Demodoco di cantare, durante il banchetto, quell’episodio (VIII, 493-495). Nei vari episodi del poema tante sono le occasioni in cui l’eroe dà prova della sua accortezza. Famoso è l’inganno con cui nascose il proprio nome al Ciclope Polifemo, dicendo di chiamarsi Nessuno, accecando poi il mostro invece di ucciderlo, in modo che potesse uscire facilmente dalla caverna. Odisseo è un eroe multiforme, diverso dal solito che si fonda solamente sul valore guerriero e sul senso dell’onore, ma si adatta alle circostanze, senza affrontarle con uno slancio distruttivo.

Nella Divina Commedia, Dante colloca il personaggio di Ulisse nell’Inferno (canto XXVI), nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, tra i consiglieri fraudolenti, avvolti da lingue di fuoco che nascondono la loro figura, come essi nella vita hanno oscurato la verità (pena del contrappasso). Dante intravede l’eroe, e di fronte allo spessore di questo personaggio, celebrato dalla letteratura greca e latina, teme il confronto, quindi lascia che sia Virgilio a porgli delle domande. Il poeta pone Ulisse tra i fraudolenti per vari motivi, politici e morali: l’inganno del cavallo, il furto del Palladio che sottolinea il suo disprezzo per le cose sacre, l’abbandono della famiglia per appagare la sua sete di conoscenza, il superamento delle colonne d’Ercole, azione empia nei confronti degli dèi. Celebri rimangono le terzine che Dante mette in bocca all’eroe quando voleva persuadere i compagni ad spingersi verso l’Oceano: “Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza”(vv. 118-120). E’ questo l’episodio della morte di Ulisse; oltrepassando le colonne d’Ercole infatti, l’eroe e i suoi compagni naufragano penosamente vicino la montagna del Purgatorio. Per Dante questo viaggio simboleggia il proposito di oltrepassare i limiti della conoscenza umana, della compiutezza del genere umano. Il peccato di Ulisse, oltre all’inganno che ha prodotto sofferenza e dolore, è l’aver portato all’estremo la propria virtù cercando di assomigliare a Dio. L’eroe dimentica di essere un semplice essere umano, e glorifica le proprie capacità trasformando ciò che era positivo, ovvero il desiderio di seguire la virtù e la conoscenza, in un’insensata voglia di superare il limite. Ulisse è il riflesso di Dante al negativo: sono entrambi degli scopritori, ma Dante è approvato da Dio, Ulisse è un ribelle. Dunque, in questo passo dell’Inferno, il poeta condanna Ulisse per le colpe che ha commesso, ma, intimamente, non riesce a non esaltarlo, tanto che il racconto del naufragio occupa ben trentasette versi.

Foscolo riprende la figura di Ulisse nel sonetto A Zacinto. Ricordando che l’eroe, dopo varie peregrinazioni, riuscì a baciare la sua terra, il poeta si ripiega su sé stesso e nota la somiglianza tra il proprio destino e quello di Ulisse. Anche egli si sente in balìa di un fato avverso e crudele, ma ha la sensazione che le due conclusioni saranno diverse. Mentre infatti l’eroe greco è ritornato ad Itaca dai propri cari, Foscolo teme di morire in terra straniera, completamente solo, senza che i familiari e i suoi amici possano piangere la sua morte. Il vagare in terre straniere e la morte lontana dalla patria sono temi romantici. E’ un modo per rappresentare il disorientamento del poeta, uomo reale che non si adegua alla società. Vi è un contrasto tra la figura di Ulisse “bello di fama e di sventura”, realizzato e inserito nella sua società, e il poeta, che non si adegua alla sua società, si sente estraneo, ed è condannato a un continuo vagare, alla sconfitta e alla solitudine.

L’eroe greco è presente anche nel più ampio dei Poemi conviviali del Pascoli, L’ultimo viaggio. Il poema è diviso in ventiquattro canti, come i libri dell’Odissea, e il poeta interpreta il mito di Ulisse in chiave decadente. Pascoli immagina che Odisseo, una volta tornato ad Itaca, durante gli anni della sua vecchiaia ha nostalgia delle avventure passate. Decide allora di partire di nuovo e ripercorrere a ritroso le tappe del suo viaggio. Ma, visitando ogni luogo, si accorge che non vi è rimasta alcuna traccia delle sue imprese e che queste non sono altro che un’illusione; la realtà è molto diversa da ciò che rammentava. Infatti, quella che ricordava come una splendida spiaggia, l’isola di Circe, è squallida e deserta; il paese dei Ciclopi in realtà è abitato da miti pastori che lo accolgono in modo ospitale, e quando l’eroe chiede di Polifemo, essi rispondono che in realtà è un vulcano, con un occhio tondo in cima e che erutta pietre verso il mare. Deluso, decide allora di sapere la verità sulla sua esistenza, e parte per il luogo abitato dalle Sirene, dove durante il primo viaggio si era fatto legare all’albero della nave. Non appena di avvicina, il mare diventa calmo e piatto e scorge due figure di Sirene che guardano immobili il cielo, e accanto a loro un mucchio di ossa di uomini. Si illude allora che siano quelle perfide Sirene che ricordava, ma pur di conoscere la verità, preferisce avvicinarsi e morire. In verità le illusorie Sirene erano scogli, e passando in mezzo a loro la nave si spezza. Così miseramente termina l’ultima illusione dell’eroe greco. In questo caso Ulisse è l’immagine del poeta decadente, il quale è rimasto orfano delle certezze del Romanticismo e del Positivismo, e si sente un piccolo essere insignificante di fronte all’immensità dell’universo. E’ alla continua ricerca del senso della vita, ma, come l’eroe, è destinato a morire senza aver ricevuto alcuna risposta.

Anche Saba si identifica con l’eroe, ma egli riprende la caratteristica dello spirito indomito, che lo spinge ad esaminare uomini e cose, a cercare di scoprire il bene e il male. Nella poesia Ulisse il poeta ricorda quando, da giovane, si imbarcava come mozzo verso le coste dalmate. Il mare lì era insidioso, perché pieno di isolotti che appena emergevano dalle acque. Ma ora, come l’eroe greco, lo spirito di Saba si sente ancora spinto verso quegli isolotti solitari e deserti, verso il mare, alla ricerca di nuove peripezie ed esperienze. Il viaggio in mare rappresenta la vita, con le sue difficoltà ed imprevisti, e ciascuno, alla fine, riesce ad approdare in un porto sicuro quando ritrova sé stesso. Anche Saba è appagato dalla sua esistenza, ma come Ulisse, egli ha uno spirito ribelle ed ha nostalgia dei pericoli e delle avventure passate.

Come si nota da questo breve excursus, le caratteristiche peculiari di Ulisse vengono adattate al contesto letterario e all’indole dei vari poeti. L’eroe multiforme, valoroso condottiero con una grande capacità intellettiva, nonostante la sua grande sete di conoscenza, durante il viaggio era preso da momenti di sconforto e nostalgia della patria e dei familiari. In questi passi esaminati invece, prevalgono l’avventura e la continua curiosità dell’eroe, condannato da Dante, destinato alla sconfitta in Pascoli, nostalgico anche nei momenti tranquilli in Saba. Solo in Foscolo si aggiungono l’amor di patria e la felicità del ritorno.

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