La libera professione nel campo estimativo - Studentville

La libera professione nel campo estimativo

La libera professione nel campo estimativo.
La libera professione nel campo estimativo.

1. L’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE
La libera professione può essere esercitata da un tecnico diplomato o laureato che iscritto all’albo professionale della propria categoria. Le attività libero-professionali sono sottoposte al controllo delle organizzazioni di categoria: Ordini professionali per i laureati e Collegi professionali per i diplomati. Ogni ordine e collegio è rappresentato a Roma da un Consiglio Nazionale, operante presso il Ministero di Grazia e Giustizia e, in sede locale, dai Consigli provinciali. Per poter esercitare la libera professione , un tecnico deve possedere i seguenti requisiti:

– essere cittadino di uno degli Stati facenti parte dell’Unione Europea;
– godere dei diritti civili e non aver riportato condanne penali;
– possedere un determinato titolo di studio;
– aver conseguito l’abilitazione all’esercizio professionale;

Il tecnico e il suo elaborato vengono propriamente denominati con i termini seguenti:
– Consulente tecnico d’ufficio ( C.T.U.), è il tecnico al quale il giudice di un processo civile affida l’incarico di compiere una specificata indagine e di esprimere un motivato parere su u determinato quesito;
– Consulenza tecnica d’ufficio (o consulenza tecnica giudiziale) è l’elaborato presentato dal C.T.U. nel processo civile;
– Perito è,  nel processo penale, il tecnico al quale il giudice affida l’incarico di compiere una specifica indagine e di esprimere un motivato parere su un determinato quesito;
– Perizia è l’elaborato tecnico presentato dal perito nel processo penale;
– Consulente tecnico di parte è il tecnico al quale le parti in causa in un processo civile o penale affidano l’incarico di compiere accertamenti e di esprimere pareri atti a sostenere le loro tesi;
– Consulenza tecnica di parte è in un processo civile o penale, l’elaborato presentato dal consulente tecnico di parte.

2. LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO

Nel nostro ordinamento giudiziario il compito di formulare il giudizio e di emanare la sentenza in un processo spetta sempre al magistrato, ma, poiché questi non può avere conoscenze in tutti i settori della scienza e dell’arte, è stata istituita, in funzione di collaboratore del giudice, la figura del consulente tecnico d’ufficio (C.T.U.).  E’ il giudice stesso che richiede l’intervento dell’esperto. L’art. 61 c.p.c. stabilisce infatti, che quando è necessario, <il giudice può farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica>.  Il C.T.U. svolge la funzione di collaboratore e consigliere del giudice in un rapporto di subordinazione. Compito del C.T.U. è quello di rispondere a precisi quesiti formulati dal giudice, che possono riguardare l’accertamento e la descrizione di situazioni di fatto ben definite, o la loro valutazione tecnica ed economica .
Il giudice nomina con una apposita ordinanza il C.T.U. e ne fissa l’udienza di comparizione per il giuramento. Il C.T.U. viene scelto a discrezione  del giudice tra gli iscritti all’albo dei consulenti tecnici, istituto presso ogni tribunale è distinto in categorie.
Il C.T.U. se accetta l’incarico può essere ricusato dalle parti in causa:
– chi abbia interesse personale nella causa in corso o in altra vertente su identica questione di diritto;
– chi sia – o il cui coniuge sia – parente fino al quarto grado, o affiliato, o convivente, o commensale abituale di una delle parti in causa o del difensore di una delle parti;
– chi abbia – o il cui coniuge abbia – causa pendente o grave inimicizia di rapporto di credito o debito con una delle parti in causa o col difensore di una delle parti;
– chi abbia dato consiglio o prestato patrocinio o deposito testimonianza o fornito assistenza come consulente tecnico di parte nel processo in corso o in precedenti gradi del processo;
– chi sia tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti.

3. LA CONSULENZA TECNICA DI PARTE
A  norma  dell’art. 201 c. p. c., quando il giudice nomina il C.T.U., assegna alle parti un termine per  la nomina (facoltativa) di un consulente tecnico di parte. Questi si affianca al difensore giurista, assumendo la veste di difensore tecnico.
Il consulente tecnico di parte partecipa alle operazioni peritali del  C. T. U., delle quali deve essere informato  a norma dell’art. 90 disp. att. c.p.c. e nel corso  delle quali può fare osservazioni che dovranno essere riportate a verbale. Egli può presentare una propria relazione, che viene chiamata consulenza tecnica di parte o consulenza tecnica stragiudiziale.
Se il C.T.U. è chiamato a fornire chiarimenti in udienza o in camera di consiglio, anche i consulenti di parte possono parteciparvi e hanno diritto  di esporre le proprie  deduzioni, in contraddittorio fra loro e con il C.T.I.
La consulenza tecnica stragiudiziale viene redatta su carta semplice.

4. LA RELAZIONE DI STIMA
Si ha arbitrato quando la soluzione di una controversia insorta fra due o più persone, anziché essere rimessa al potere giudiziario, viene affidata al giudizio di esperti denominati arbitri. Di questo istituto giuridico si occupa il codice di procedura civile agli articoli che vanno dall’806 all’831, modificati dalla legge  5/1/1994 n. 25.
Si  chiama compromesso il contratto con il quale “le parti possono far decidere da arbitri le controversie fra di loro insorte”, tranne quelle di lavoro, quelle relative a questioni di previdenza e assistenza obbligatorie, quelle che riguardano questioni di stato e di separazione personale tra coniugi e le altre che non possono formare oggetto di transazione.
Il compromesso, per essere valido, deve essere fatto per iscritto e determinare l’oggetto della controversia. La soluzione delle controversie mediante arbitrato è piuttosto diffusa, poiché esso rappresenta una forma snella di giudizio, che evita le formalità e le lungaggini di un ricorso alla magistratura. Gli arbitri possono essere un o  più, purchè in numero dispari (art. 809 c.p.c.). Se  gli arbitri sono più d’uno, si viene a costruire un collegio arbitrale, nel quale il numero dei componenti deve essere dispari per consentire la formazione di un parere di maggioranza in caso di dissenso. Gli arbitri possono essere scelti fra cittadini qualsiasi. Non essendo richiesto alcun particolare requisito che dipenda da titoli di studio o professionali: semplicemente gli arbitri debbono godere della stima e della fiducia di chi li nomina.
Il compromesso o la clausola compromissoria deve contenere la nomina degli arbitri., oppure stabilire il numero di essi e il modo di nominarli. Può essere stabilito che gli arbitri vengano nominati dalle parti.
Gli arbitri hanno la facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno. Le parti possono però stabilire nel compromesso, nella clausola compromissoria o con atto scritto successivo, purchè anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento. In ogni caso, gli arbitri debbono assegnare alle partii termini per presentare documenti e memorie, e per esporre le loro repliche. Gli atti d’istruzione possono essere delegati dagli arbitri a uno di essi (art. 816 c.p.c.).
Il giudizio degli arbitri è denominato lodo arbitrale. Se le parti non hanno disposto diversamente, il lodo arbitrale deve essere pronunciato entro 180 giorni dall’accettazione della nomina da parte di tutti gli arbitri. Quando debbono essere assunti mezzi di prova, il termine può essere prorogato per una volta sola e per non più di 180 giorni. Nel caso di morte di una delle parti, il termine è prorogato di 30 giorni. Le parti, d’accodo, possono consentire con atto scritto la proroga del termine.
Il lodo arbitrale deve conformarsi nella sostanza alle norme di diritto salvo che le parti abbiano autorizzato gli arbitri a pronunciare il loro giudizio secondo quanto ritengono giusto. Esso deve avere i requisiti formali indicati dall’art. 823 c.p.c. , deve essere deliberato a maggioranza di voti degli arbitri, i quali debbono essersi tutti personalmente espressi sulla questione, deve essere redatto per iscritto su carta legale e deve contenere:

a) l’indicazione delle parti;
b) l’indicazione dell’atto di compromesso o della clausola compromissoria e dei quesiti relativi;
c) l’esposizione sommaria dei motivi della controversia;
d) il dispositivo della sentenza;
e) l’indicazione della sede dell’arbitrato, del luogo e del modo in cui è stato deliberato;
f) la sottoscrizione degli arbitri, con l’indicazione della data in cui ciascuna sottoscrizione è avvenuta.

Per la validità del lodo non è necessaria la firma di tutti gli arbitri,  essendo sufficiente quella della maggioranza, purchè sia dato atto che il lodo è stato deliberato in conferenza personale di tutti, con l’espressa dichiarazione che gli arbitri hanno voluto o non hanno potuto sottoscriverlo. Il lodo ha efficacia vincolante per le parti dalla data della sua ultima sottoscrizione.

5. LA RELAZIONE DI STIMA
Anche quando la prestazione di un estimatore è richiesta per motivi estranei alle controversie giudiziarie, la risposta peritale deve essere formulata per iscritto e costituisce la relazione di stima. Chi affida ad un professionista l’incarico di compiere una stima, molto spesso ha già in mente una propria personale valutazione, e ciò che desidera avere e un’autorevole conferma o una convincente smentita.

PREMESSA. E’ la parte introduttiva della relazione, chiamata anche cappello di stima. In essa  l’estimatore indica le proprie generalità, i propri titoli professionali, il proprio recapito, e dichiara come, quando e da chi ricevette l’incarico di compiere la stima. Indica poi sommariamente la data, il luogo e il tipo delle operazioni compiute per procedere all’accertamento dei dati necessari all’espletamento del mandato ( sopralluoghi, rilievi, misuri, accessi a pubblici uffici).

INDIVIDUAZIONE DELLO SCOPO DELLA STIMA. Questa parte è indispensabile quando lo scopo della stima non risulti già esplicitamente indicato nella premessa. Può essere allora utile una breve narrazione dell’antefatto, cioè degli eventi occorsi e delle motivazioni che hanno indotto il committente a richiedere la prestazione professionale.

INDIVIDUAZIONE E DESCRIZIONE DEL BENE OGGETTO DI STIMA: Il  bene da stimare va identificato con la sua eventuale denominazione, e localizzato con l’indicazione della sua ubicazione e del suo accesso. Debbono esserne forniti i dati catastali, allegando eventualmente un estratto di mappa e un certificato di partita. La descrizione deve essere accurata, completa e essenziale; non deve trascurare nessun elemento utile alla stima, ma non deve perdersi nell’indicazione di particolari del tutto insignificanti.

INDIVIDUAZIONE DELL’ASPETTO ECONOMICO DA STIMARE E SCELTA DEL PROCEDIMENTO: Questo punto della relazione costituisce la premessa alla fase successiva di vera e propria valutazione. Esso deve conoscere le motivazioni  di scelta dell’aspetto economico, in funzione dello scopo della stima, ed illustrare e commentare le ragioni di scelta del procedimento e del parametro, in relazione alle caratteristiche del  bene e alla situazione del mercato.

VALUTAZIONE VERA E PROPRIA: La parte centrale di tutto l’elaborato, nella quale si fornisce il resoconto delle vere e proprie operazioni di stima. L’esposizione deve seguir l’ordine logico delle fasi del processo valutativo, a partire dall’assunzione documentata dal procedimento applica, fino all’ottenimento del risultato finale.

CONCLUSIONE: Costituisce il coronamento formale della relazione, nel quale viene richiamato il quesito proposto e ne viene fornita la risposta esplicita, datata e sottoscritta  dal professionista.

APPENDICE: E’ l’eventuale insieme degli allegati (documenti, grafici, fotografie, tabelle di conteggi effettuati a parte, ecc.) che il professionista reputa utile fornire per conferire completezza e maggior potere probatorio al suo elaborato

 

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