La pioggia nel pineto Parafrasi
Taci. Entrando nel bosco non odo più suoni umani, ma odo suoni nuovi prodotti da foglie e gocce.
Ascolta (rivolgendosi a Ermione, la sua compagna). Piove dalle nuvole sparse. Piove su… (la lunga enumerazione e la lunga serie di anafore che caratterizzano i versi 10/25 ubbidiscono primariamente alle esigenze ritmiche del poeta!) sulle tamerici impregnate di salsedine ed arse dal sole, sui pini dalle scorze ruvide e dalle foglie aghiformi, sui mirti (detti “divini” dal D’Annunzio perché nella mitologia classica erano sacri alla dea Venere!), sulle ginestre dai gialli fiori raccolti e sui ginepri che sono pieni di bacche profumatissime. Piove sui nostri volti divenuti tutt’uno con il bosco (silvani dal latino silva), su le nostre mani, e sui vestiti leggeri, estivi che, ormai bagnati, erano sono diventati aderenti ai nostri corpi. Piove anche sui pensieri che sgorgano purificati dalla atmosfera panteistica, sulle vicende amorose, che legano uomo e donna.
Odi (Ermione)? La pioggia che cade sul fogliame degli alberi della pineta deserta producendo un crepitìo (termine onomatopeico) che varia a seconda di quanto è folto il fogliame. Ascolta. Alla pioggia (pianto del cielo) di inserisce il suono di un nuovo strumento: il canto delle cicale che non viene fermato ne dalla pioggia ne dal colore scuro del cielo. Ogni arbusto produce un suono ed insieme iniziano a comporre un concerto di strumenti. Dopo la descrizione della natura riappaiono il D’Annunzio e la sua donna… Noi siamo nel più intimo della foresta, non più esseri umani ma vivi d’una vita vegetale. Ermione ha il volto bagnato ed inebriato dalla gioia e le sue chiome profumano come le ginestre.
Ascolta, ascolta. Il canto delle cicale va diminuendo ma in crescendo c’è quello della rana che proviene dall’umida ombra remota. Regna per un attimo un apparente silenzio. Ora riprende lo scroscio dell’acqua, che lava. Torna nuovamente sulla rana e sulla cicala. La prima canta sempre più forte la seconda è in silenzio.
(Ora la descrizione d’Ermione resa anche tramite molte similitudini) Piove sulle tua ciglia nere e sembra che tu stia piangendo di piacere e quasi resa verdeggiante sembri uscire dalla corteccia di un albero. La metamorfosi delle due creature da umane a vegetali continua comportando la trasfigurazione delle varie parti del loro corpo in forme o aspetti della natura. Il poeta vede il cuor di lei come una pesca intatta e gli occhi come due polle d’acqua e i denti come mandorle. Andando fra le macchie e gli arbusti i due si avvicinano e sia allontanano. La lirica si conclude come la prima strofa.
Plic, plic… ploc! Sembra proprio di sentire le gocce più o meno grandi frangersi sulle foglie o sui rami, o al suolo. Sembra anche di vedere Ermione e Il Vate che si rincorrono “di fratta in fratta” allontanandosi e tornando, poi, ad avvicinarsi. Con chissà quali prolungamenti di sguardi tra i due, che pensieri leggeri e felici. Da piangere, sì, ma di piacere.
E’ un poco esasperata la metamorfosi della bella Ermione in una pianta, però è originale, è dannunziana…
Grande è il rapporto del D’Annunzio con la natura, uno grande spirito panteistico illumina tutta la lirica che riflette luce verdolina.
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