La poesia elegiaca è molto vicina, per il contenuto, a quella lirica: si tratta infatti di poesia soggettiva in cui il poeta analizza se stesso, descrive i suoi sentimenti (in primo luogo l’amore) e i suoi sogni, riprendendo in definitiva i modelli già proposti da Catullo. Si differenzia dalla lirica vera e propria sia per la lunghezza dei componimenti (che spesso superano anche i 100 versi), sia per il metro usato che è sempre il distico elegiaco, cioè una strofe di due versi («distico») costituita da un esametro e da un pentametro.
I Romani importarono questo genere letterario dalla Grecia, modificandone tuttavia profondamente i contenuti, al punto da conferire all’elegia latina caratteri di grande originalità. Mentre infatti l’elegia greca, e soprattutto quella della letteratura ellenistica, aveva in genere carattere mitologico ed erudito, quella romana assunse, sin dall’inizio, un tono spiccatamente soggettivo, capace di esprimere le passioni, i sentimenti, le fantasie e le confessioni del poeta.
Uno dei grandi temi dell’elegia è senza dubbio l’amore, ma non l’amore felice, fonte di gioia e di felicità, bensì l’amore sofferenza, sentito come sentimento esclusivo e totalizzante, che lascia il cuore continuamente senza pace, apportare di angoscia più che di serenità. Altro tema ricorrente è quello della fuga dalla realtà, dell’evasione in un mondo di sogno, lontano dal fragore della vita cittadina, dai problemi dell’esistenza quotidiana, immerso nel paesaggio idillico di una campagna in cui regnano pace, serenità, gioia e naturalmente amore.
L’elegia raggiunse il suo massimo splendore nell’età augustea ad opera di tre grandi poeti: Tibullo, Properzio e Ovidio i quali, proponendo un modello di poesia intima e soggettiva, dichiaratamente indifferente agli sforzi di rifondazione morale e civile dello Stato e della società romana operati da Augusto, si pongono decisamente in opposizione rispetto all’attività poetica ricca di impegno di Virgilio e di Orazio e, in ultima analisi, alla stessa ideologia del principato augusteo.
I poeti elegiaci rappresentano dunque l’altra voce della cultura augustea, quella di chi non credeva nelle grandi promesse di rinnovamento e preferiva quindi chiudersi nel privato e accarezzare i propri sogni. Per questo i poeti elegiaci, ad eccezione di Properzio, non aderirono al circolo filoimperiale di Mecenate, ma a quello di Messala, che programmaticamente si manteneva lontano da ogni impegno politico e ideologico.
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