Nel 1848 in Italia le rivolte furono diretta conseguenza dei moti parigini e viennesi e testimoniano la crescita del movimento liberale italiano che aveva fatto un passo avanti con l'elezione a Papa di Pio IX, che avviò una politica di riforme d'ispirazione liberale, concedendo un'amnistia per i reati politici ed istituendo una CONSULTA di STATO. Questi provvedimenti, pur non avendo intenti rivoluzionari, aprirono una nuova fase politica in Italia.
In Piemonte ed in Toscana i sovrani concedettero delle riforme istituzionali, concedendo una limitata libertà di stampa e cambiando in senso liberale l'ordinamento giudiziario e di polizia; questi provvedimenti erano stati da tempo auspicati dalle classi popolari e dall'opinione pubblica borghese.
Dove non furono fatte queste concessioni, come nel Regno delle Due Sicilie, esplosero le rivolte. A Palermo una rivolta popolare, che si estese anche a Napoli, costrinse il sovrano a concedere la Costituzione. Questo fatto ebbe ripercussioni in tutti gli Stati Italiani.
A Torino le pressioni popolari tendenti ad ottenere la Costituzione, costrinsero Carlo Alberto, diventato re dopo la morte dello zio Carlo Felice, a concedere lo Statuto, cosiddetto «Albertino» (4 marzo 1848) e fu subito imitato dal Granduca di Toscana.
Appena si sparse la notizia che a Vienna era scoppiata una sommossa liberale e Metternich era stato costretto alla fuga, la popolazione veneziana insorse, liberò dalle prigioni due noti patrioti, Manin e Tommaseo, che si posero alla guida dell'insurrezione e proclamarono la Repubblica dopo aver cacciato gli Austriaci.
La notizia si propagò nel Lombardo-Veneto: il 18 marzo Milano insorse ed in 5 giornate le truppe austriache furono sconfitte e costrette a rifugiarsi nel «QUADRILATERO» (formato dalle città di Mantova, Peschiera, Verona e Legnago). Anche le altre città lombarde insorsero mentre a Milano si formava un governo provvisorio diretto da forze moderate capeggiate da Gabrio Casati. A questo gruppo si contrapponevano i democratici capeggiati da Carlo Cattaneo e Angelo Cernuschi.
I fatti di Venezia e Milano si diffusero in tutta la penisola: a Parma gli insorti costrinsero il Duca a concedere la Costituzione, a Modena il Duca preferì abbandonare la città; colonne di volontari si mossero da ogni angolo d'Italia in aiuto dei governi provvisori di Venezia e Milano. Durante questi fatti, esponenti della borghesia liberale e dell'aristocrazia si erano rivolti a Carlo Alberto perché intervenisse contro l'Austria. I liberali moderati che guidavano i governi provvisori pensavano che solo con l'intervento di un esercito regolare si potesse sconfiggere definitivamente l'Austria. Questa richiesta era anche motivata dalla preoccupazione che le sommosse prendessero una piega radicale e repubblicana: le divergenze fra moderati e democratici rimanevano profonde, perciò i moderati puntavano sull'iniziativa sabauda per togliere spazio al movimento popolare e dare alla Casa dei Savoia l'immagine di difensore dell'indipendenza e dell'unità nazionale.
Premuto da queste sollecitazioni e dal timore che nel Regno di Sardegna si potessero verificare fatti analoghi a quelli di Milano e di Venezia, Carlo Alberto dichiarò guerra all'Austria il 23 marzo 1848 (PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA). L'entusiasmo dei liberali costrinse i sovrani di Toscana e Napoli e lo stesso Papa ad inviare contingenti di truppe in aiuto dell'esercito sabaudo. Dopo i primi successi (Milano, d'altronde, si era già liberata da sola!) la condotta militare suscitò molte perplessità per lentezza ed incertezze. L'eccessiva fretta con cui Carlo Alberto puntava all'annessione della Lombardia piuttosto che impegnarsi ulteriormente contro gli Austriaci, insospettì i rivoluzionari ed anche gli altri sovrani, che, uno dopo l'altro, a cominciare da Pio IX, ritirarono le truppe.
L'azione militare non procedeva perché Carlo Alberto era soprattutto preoccupato di chiudere ogni spazio all'iniziativa popolare ed ai democratici. In questo quadro le prime sconfitte piemontesi fecero precipitare la situazione. A CUSTOZA, dopo 3 giorni di combattimento, il 25 luglio Carlo Alberto si ritirò lasciando Milano nelle mani degli Austriaci ed il 9 agosto il generale Salasco firmò l'armistizio che determinò una crisi del movimento liberale aggravata dalla sconfitta dei moti insurrezionali nel Regno delle Due Sicilie, dove a maggio Ferdinando II di Borbone aveva compiuto un colpo di stato sciogliendo il Parlamento.
Ad uscire battuti furono soprattutto i moderati che avevano confidato nella monarchia sabauda; i democratici ed i repubblicani, trovando conferma alle loro idee, ripresero l'iniziativa politica: agitazioni democratiche ci furono in Toscana e costrinsero il Granduca alla fuga; esse diedero vita ad un Governo Provvisorio guidato da Guerrazzi e Montanelli.
Anche nello Stato Pontificio gli avvenimenti precipitarono: di fronte alle pressioni dei democratici Pio IX chiamò a capo del Governo un conservatore illuminato, Pellegrino Rossi, nella speranza di evitare un inasprimento della tensione politica. Il programma di Rossi urtò contro l'opposizione dei conservatori e del clero, ma risultò limitato ai rivoluzionari. Rossi fu da quest'ultimi assassinato ed il Papa abbandonò Roma per rifugiarsi a Gaeta; dopo poche settimane fu eletta un'assemblea costituente che, il 9 febbraio 1849, proclamò la fine del potere temporale del Papato e la fondazione della Repubblica Romana con a capo un triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi.
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