Nello spazio di pochi giorni, nel settembre 1829, il Leopardi compose i due “idilli campestri“, la “Quiete dopo la tempesta” e il “Sabato del villaggio“, gemelli per la struttura e l’ideologia che li ispira: il carattere puramente negativo del piacere che la realtà perennemente delude riducendolo ad una “pausa tra due dolori” o ad una “attesa che fatalmente andrà delusa”.
La base concettuale di quest’opera è data dalla teoria del piacere: il piacere ha un’essenza soltanto negativa perché consiste o nel sollievo al cessare del dolore o nell’aspettativa di qualcosa dal futuro. La ‘quiete’ rappresenta il primo caso, il “Sabato del villaggio” il secondo.
Il canto fu composto in quattro giorni, dal 17 al 20 settembre 1829. Il Leopardi vi esprime il fondamentale concetto che l’uomo è condannato al dolore e che la felicità, o meglio il “piacere”, è soltanto il sentimento che si prova quando, per una causa qualsiasi, il dolore spontaneamente cessa.
“Piacer figlio d’affanno”: è il motto che si legge a metà della composizione e che costituisce il suo motivo ispiratore; come un’epigrafe lapidaria, il verso divide la poesia in due parti uguali, contrapponendo a un primo momento poetico “descrittivo e gioioso”, dove il villaggio riprende a vivere ed “ogni cor si rallegra”, un secondo momento meditativo e dolente dove il poeta espone le sue convinzioni filosofiche. Tra i due momenti c’è un salto di stile e di tono: serve per trasformare il piccolo esempio del temporale di campagna nella metafora generale della condizione umana, cioè nella descrizione dell’infelicità costante ed ineliminabile dove il piacere rappresenta un momento episodico.
La parte descrittiva cui segue una seconda parte riflessiva, ha dato luogo a due diversi tipi di interpretazione critica: quella che isola la prima parte, considerandola perfetta in sè, una sorta di “quadretto fiammingo” e considera la conclusione come una coda prosastica; e l’opinione invece di chi, valutando la necessità di una considerazione unitaria degli elementi di pensiero e di quelli di sensibilità, propone una lettura in cui già il quadro iniziale sia visto come pervaso intimamente dal senso della fragilità delle nostre emozioni.
Ovviamente in ogni Canto del Leopardi è presente anche il momento riflessivo, così anche nella “Quiete” segue all’idillio la parte concettuale, la riflessione pessimistica. Quel piacere è solo “figlio d’affanno”, esso nasce dalla fine di un timore, dalla cessazione della tempesta. Quel poco di piacere di cui fruiscono gli uomini deriva dalla fine di un dolore; la morte perciò, che porrà fine ad ogni male, è per essi il bene più grande.
La poesia è la documentazione più ragionata del pessimismo leopardiano a proposito del piacere.
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Critica secondo il Lonardi:
Si riconosce nella poesia la presenza di varie fonti greche: presenza sorprendente in un testo che sembrerebbe nascere semplicemente dall’osservazione di una realtà familiare. Sono possibili riscontri con Omero (immagine del cielo che si rompe). Leopardi rappresentò la quotidianità di Recanati avendo in mente quei poeti che egli giudicava ancora primitivi e naturali. Non è illegittimo supporre che nel mondo artigiano-contadino egli abbia in una certa misura trasferito il modello antico: che abbia visto l’erbaiolo, il carrettiere etc. non già come personaggi idillici ma come figure esemplari di una umanità arcaica e semplice. Solo che quando compone questi canti non può più credere che la condizione di ignoranza, la non problematicità sia una condizione di felicità: questa gli appare fragile e provvisoria, confinata nel breve momento che segue alla tempesta e ridotta per di più al solo e mediocre ritorno alle abitudini. Leopardi finisce quindi per concedere anche agli “ignoranti” il triste privilegio dell’infelicità, ma non si assegna, né assegna ad altri, un compito verso loro.
Analisi:
La poesia si articola in:
Prima strofa: (1 – 24) il poeta descrive ciò che accade appena passata la tempesta, agli animali, nella natura, tra gli uomini; la vita del borgo che torna al lavoro consueto; il senso di liberazione e di gioia nel borgo, dopo lo spavento del temporale.
La seconda strofa inizia con la ripresa del verso chiave della prima strofa rovesciato: “Si rallegra ogni core“. La strofa è strutturata su due osservazioni che, primo, constatano il piacere nell’uomo dopo l’affanno, secondo, spiegano la natura e l’origine del piacere. Questa strofa è costruita su una successione di interrogative che segna il passaggio dall’esempio specifico (temporale) al discorso generale dove la tempesta diventa metafora dei pericoli ben più vasti e straordinari che minacciano gli uomini; la strofa ha, come chiave interpretativa, il verso “Piacer figlio d’affanno”.
La terza strofa fa perno su due momenti di ironia: primo, sulla natura che, per amore del genere umano, sparge pene e, secondo, sulla specie umana, così cara agli eterni che solo la morte può liberare dai dolori; gli enunciati che rivelano la realtà filosofica e contengono l’apostrofe (accusa) diretta alla natura smascherano con un brusco effetto di contrasto la serenità delle immagini di apertura.
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- Giacomo Leopardi
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