Alla base della religiosità etrusca, soprattutto nei tempi più antichi della civiltà, stava l'idea fondamentale che la natura dipendesse strettamente dalla divinità e che perciò ogni fenomeno naturale fosse espressione della volontà divina.
Gli dei erano concepiti come esseri soprannaturali, misteriosi, vaghi, e l'uomo non ne aveva alcuna conoscenza. Incerti sia del loro numero che del loro sesso o delle loro apparenze, gli etruschi potevano soltanto cercare di captarne le manifestazioni ed i desideri attraverso l'interpretazione di "segni", spesso costituiti da semplici fenomeni naturali, o cercare di carpirne i favori attraverso riti, sacrifici ed offerte votive.
In effetti gli etruschi divennero dei veri esperti, famosi e rinomati anche presso i romani, nell'arte dell'interpretazione dei "segni" attraverso i quali si credeva manifestarsi la volontà divina, mentre l'aspetto ritualistico esteriore era talmente sviluppato e scrupolosamente osservato da colpire i contemporanei e gli antichi che definirono l'etrusco come un popolo "… che tra tutti gli altri si dedicò particolarmente alle pratiche religiose in quanto si distingueva nel saperle coltivare" (Tito Livio).
Depositaria della dottrina ed esperta della disciplina era la casta sacerdotale, aristocratica discendenza di quei "lucumoni" che avevano ricevuto dagli dei la rivelazione ed i testi sacri. I sacerdoti erano divisi in collegi ed indicati con nomi diversi a seconda del settore in cui erano esperti, si trattasse della interpretazione delle viscere (haruspex) o dei fulmini (fulgitur).
La sacra scrittura era composta da tre libri: i Libri Aruspicini, che trattavano dell'interpretazione ai fini divinatori delle viscere degli animali, i Libri Fulgurales, che contenevano la dottrina dei fulmini, i Libri Rituales, che riguardavano le norme di comportamento da seguire sia nella vita pubblica che in quella privata. Particolarmente affascinante appare l'osservazione delle viscere degli animali, cuore e fegato soprattutto, pratica che aveva precedenti anche nel mondo mesopotamico ma che tra gli etruschi ebbe un ruolo talmente spiccato da assurgere a caratteristica nazionale. Questa disciplina, come del resto anche l'ars fulguratoria, poggiava sul fondamento teorico della corrispondenza magica tra macrocosmo e microcosmo, cioè tra mondo celeste e mondo terrestre. I due mondi si corrispondevano nell'ambito di un preciso e preordinato sistema unitario e tutto ciò che accadeva nella volta celeste ( divisa in caselle che erano le dimore dei singoli dei) doveva avere necessariamente una ripercussione sulla zona corrispondente nel mondo umano. Un fegato poteva così venire interpretato osservando le sue irregolarità, imperfezioni o regolarità e quindi prendere in considerazione i messaggi della divinità che occupava la casella interessata. Questa intima connessione tra mondo umano e mondo divino ebbe conseguenze molto importanti anche sul culto dei morti: come vedremo infatti la tipologia edilizia delle necropoli e la struttura stessa delle tombe rifletteva esattamente quella abitativa. Questo é per noi un grande vantaggio dal momento che le necropoli etrusche sono incomparabilmente meglio conservate rispetto ai siti urbani. Nel corso del VII secolo iniziò un processo di assimilazione delle divinità etrusche all'Olimpo greco o addirittura di importazione di nuovi dei greci che venivano "etruschizzati". Tuttavia questo non attenuò la specificità della religione etrusca ed il senso di completo annullamento dell'uomo di fronte al volere divino.
Il culto dei morti
Gli etruschi attribuivano grande importanza al culto dei morti, anche perché questo culto equivaleva a quello degli antenati ed in particolare del capostipite ed era quindi mezzo per l'affermazione del prestigio e della potenza di una famiglia. Possiamo tuttavia distinguere diversi momenti nell'esercizio di questo culto e la sua evoluzione si rifletterà anche nelle tipologie delle necropoli. Come anche in altre civiltà preclassiche del mondo mediterraneo, nei primi tempi gli etruschi erano legati alla concezione della continuazione dopo la morte di una attività vitale del defunto. Poiché si pensava che all'interno della tomba avesse luogo una certa sopravvivenza del morto, non solo spirituale ma in qualche modo legata alle sue spoglie mortali, é evidente che la collaborazione dei vivi per attrezzare la tomba di tutti i necessari "comfort" aveva un ruolo fondamentale. La tomba veniva così foggiata nell'aspetto della casa e dotata di suppellettili e arredi, veri o riprodotti in figurazioni e modellini miniaturistici, a volte affrescata sulle pareti con scene della vita quotidiana o dei momenti più significativi, sereni e piacevoli del defunto. Sulle pareti delle tombe, specialmente nella zona di Tarquinia ( necropoli dei Monterozzi), appaiono simposi, scene di caccia, gare atletiche, giochi, tutte situazioni che, oltre a riferirsi alla vita reale erano ritenute capaci di trasmettere al morto qualcosa della vitalità che esse esprimevano. Allo stesso modo, anche cornici, travature, soffitti, frontoncini, soffitti, erano tesi a ricostruire l'ambiente domestico al quale alludevano con forte realismo.
Gli esempi più antichi di tomba monumentale sono costruiti sul modello dell'abitazione allora in uso: una capanna a pianta circolare o ellittica. Si tratta di sepolcri a pianta circolare edificati con grandi blocchi di pietra e coperti con una falsa cupola (tholos) ottenuta dalla progressiva sporgenza verso l'interno dei filari dei blocchi fino ad una lastra terminale di chiusura. Alla camera sepolcrale si accedeva attraverso un breve corridoio (dromos) ove spesso venivano poste offerte di cibo o suppellettili ( tomba del carro a Populonia.) Quando questa tipologia venne abbandonata ,si passò alla tomba scavata sottoterra, prima ad un solo ambiente poi a più camere. Il nuovo tipo é riconducibile ad una planimetria caratterizzata da un ambiente centrale accessibile da un lungo corridoio al di là del quale si disponevano altri ambienti. La pianta poteva essere anche molto complessa con un dromos, camere laterali, sala centrale con pilastri e banchine. I tumoli assumono dimensioni monumentali, con diametro spesso superiore ai 30 metri e spesso contenevano varie tombe della stessa famiglia.
Esempi di primo piano sono osservabili a Cerveteri e si ricollegano all'evoluzione delle tipologie abitative coeve alle necropoli (seconda metà del VII secolo), quando le case si organizzarono in due o tre ambienti affiancati e preceduti da una sorta di vestibolo oppure attorno ad una corte centrale. Dalla metà del VI e per tutto il V secolo si assiste ad un nuovo mutamento dell'impianto planimetrico delle necropoli: le nuove tombe dette "a dado", si allineano con le facciate su strade preventivamente tracciate. All'interno v'erano soltanto due ambienti, mentre all'esterno scalette laterali portano alla sommità del dado, dove esistevano altari per il culto. Si suppone che tale cambiamento rifletta un profondo mutamento della struttura sociale, ove si afferma un ceto non aristocratico promotore di soluzioni abitative più democratiche. Non solo, a causa dell'influenza del mondo greco erano cambiate anche le concezioni di fondo riguardo al destino dei defunti. Alla primitiva fede nella "sopravvivenza" del morto nella tomba, si sostituì l'idea di un "regno dei morti", immaginato sul modello dell'Averno greco.
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