Scapigliatura lombarda
Viene così denominata una corrente letteraria formatasi a Milano poco dopo il 1860 e fiorita tra il ‘60 e l’80. Il nome deriva dal romanzo di uno di essi “Scapigliatura” di Cletto Arrighi. (traduzione del francese “Bohème”).
Si tratta di un gruppo di scrittori, per lo più lombardi, che, più che essere legati tra loro da una chiara consapevolezza d’intenti artistici, lo furono da una certa consuetudine di amicizia e somiglianza di costumi e di atteggiamenti esteriori.
Essi vollero reagire lal sentimentalismo scorato e svagato, al fantastico del nostro secondo romanticismo, al lacrimoso, all’enfatico (Prati ed Aleardi) con il ritorno, o, meglio, con il proseguimento dai motivi realistici del primo romanticismo (ricordiamo che siamo in Lombardia), ma esasperandoli in una ricerca dei motivi più squallidi e quotidiani, e anche di quelli più abnormi ed estranei ad ogni convenzione e misura morale ,tentando un’esperienza radicalmente romantica e rivoluzionaria (per questo parte della critica definisce questo movimento corto terzo romanticismo: codesti scrittori infatti propugnavano un’assoluta libertà nella arte e nella vita) (secondo altri critici si tratterebbe di una prima manifestazione del Decadentismo, ma ciò non sembra accettabile, in quanto manca a costoro il senso dall’inconscio,che è la caratteristica essenziale, il segno distintivo del Decadentismo).
Gli Scapigliati reagiscono quindi: tanto alla, disciplina morale ed artistica del nostro I° romanticismo, quanto al sentimentalismo fantastico del 2°; aderendo ad una visione della vita antitetica a sconvolta, vogliono rinnovare la vita (ricordiamo il loro modo di vivere) e l’arte, e questo sia nella forma sia nel contenuto; quanto alla prima (=forma): cercano l’originalità nella forma contorta, bizzarra, artificiosa (sciatterie alternate a preziosità formali, metri antitradizionali,linguaggio che mescola modi poetici o prosaici); quanto al secondo (=contenuto): cercarono l’originalità psicologica nel temi cinici, immorali, volgari, con la dichiarata volontà di scandalizzare, nelle aberrazioni e la malattie dello spirito; lo stilo alterna umore, ironia, bizzarria.
Attuarono quindi una continua polemica contro la morale e l’arte del loro tempo, in particolare con gli ambienti permeati della moralità manzoniana; uno di essi, Emilio Praga, così si rivolgeva al Manzoni: “Tu puoi morir!…degli anticristi è l’ora!”. Non bisogna però sorridere, né rifiutare in blocco e senza esame questo movimento; in fondo alla reazione degli Scapigliati, reazione che fu espressione di un intimo, sofferto travaglio, sia pur violenta e beffarda, c’era il desiderio di nuove forme di vita e di arte,desiderio che tuttavia non seppe concretarsi e chiarirsi, ma rimase allo stato di ribellione e quindi non fu costruttivo.
Qual è il significato, quale il valore di questa corrente?
Duplice:
1) in sostanza il nostro Romanticismo si era chiuso in limiti piuttosto ristretti (ricordare la condiziona politica) dalle molteplici suggestioni romantiche europee solo alcuna erano state accolte; Foscolo,Leopardi, Manzoni sia come arte,sia come ricchezza spirituale, erano rimasti piuttosto isolati; ora la Scapigliatura lombarda agitò l’atmosfera piuttosto immobile del nostro ambiente spirituale e ci avvicinò al romanticismo europeo; gli Scapigliati infatti imitarono molto dagli stranieri: Baudelaire, Hugo, Poe, Heina.
2) Aver avviato l’arte decisamente verso il realismo,con il ripudio dei toni vaghi a sentimentali,dello sfocato nel sentimento e nell’immagine, favorendo la ricerca di immagini concrete, anche se le sue (della Scapigliatura) furono crudamente realistiche o brutali,di aspetti particolari della società, di un linguaggio aderente alla realtà (frequentemente gli scapigliati usarono termini dialettali) .
Caposcuola fu il Rovini.
Sempre nel campo dalla poesia si reagì al secondo romanticismo, nel Veneto ed in Toscana, (v. Carducci), con una ripresa delle esigenze di claissica disciplina, da attingersi appunto dallo studio amoroso dei classici.
Reazione all’idealismo romantico
Nella letteratura di quest’epoca vediamo un orientamento parallelo a quello che si verifica nella politica (realismo del Cavour) e nel pensiero filosofico (positivismo): la tendenza è al realismo. (1870-1900)
Si abbandonano le effusioni sentimentali, si tende alla rappresentazione oggettiva, alla narrazione pacata, alla precisazione delle immagini, si tende a “lasciar parlare i fatti”. Il realismo non è fenomeno esclusivamente italiano, ma europeo: le forme più estremiste di esso si ebbero in Francia (Flaubert, Diudet, Balzac, Zola). Con il nome complessivo di “realismo” noi indichiamo l’indirizzo comune a tutte la manifestazioni dell’epoca: politiche,filosofiche, letterarie, artistiche; poi preciseremo, per la filosofia,” positivismo”, e quanto alla letteratura, parleremo di realismo, ma, di volta in volta, quando sarà il caso useremo termini più precisi. (negli studi storici: metodo filologico o storico).
Una corrente che si affermò in Italia, soprattutto nella prosa, ma anche nella poesia,fu il “verismo“. Esso deriva (e in parte la continua, ma con modi e forme diverse) da un’ affine corrente letteraria francese, il “naturalismo”.
Parliamo del naturalismo, anzitutto. (Zola, De Goncourt). Sosteneva che l’artista deve raccogliere dei “documenti umani”, studiarli e descriverli con la freddezza impersonale che adoperano i fisiologi nei confronti delle malattie. Si muoveva da una concezione meccanicistica della vita: noi siamo il risultato, il prodotto di combinazioni fisiche e chimiche, vorrei dire,per spiegarmi, ma non si tratta di una formulazione esatta, “il prodotto di ciò che mangiamo, come anche di elementi ereditari”, in breve, a che si riduce il nostro “io”? A pura animalità. I francesi si dettero a descrivere Parigi, i bassifondi parigini, gli anormali del vizio e i miserabili, vedendoli, appunto, come pura animalità.
Secondo loro, questo era ritrarre “la vera natura umana” (perché la più primitiva). E si narrava obiettivamente, “fotograficamente”, in modo cioè freddo ed indifferente, con la convinzione, cui abbiamo già accennato, che gli esseri, anche i più abietti, non hanno alcuna colpa della loro miseria morale, perché tutto deriva in loro dall’ereditarietà, più l’ambiente (dall’alcool ,dalla demenza, dalla miseria). Potete immaginare il contenuto dei romanzi di tali scrittori.
Verismo (1870-1880)
Esso è una tendenza meno esasperata del naturalismo. Propagandista ne fu il Capuana (badare che già prima delle sue enunciazioni teoriche la nostri letteratura si era orientata verso il realismo).
Si badi inoltre che: il verismo, o, meglio, la dottrina dal verismo, viene elaborata nell’ambiente Milanese; che su di esso esercitarono una certa influenza anche i modelli della grande narrativa inglese e russa, oltre al naturalismo francese; che questa corrente si ricollega, sia pur dopo e quindi attraverso l’esperienza della Scapigliatura alla tendenza realistica manzoniana.
Che cosa vogliono i veristi? Una letteratura oggettiva, quindi dramma e narrazione , che siano senza intrusioni dello scrittore, oggettivi appunto. Lo scrittore muoverà dallo “studio del vero”, dalla “scelta e l’inquadratura del documento umano”, poi ricostruirà il processo dei fatti con precisione scientifica , non però dall’esterno, ma aderendo alle ragioni naturali di esso; troverà un linguaggio spoglio di ogni residuo convenzionale o accademico, cha faccia parlare i personaggi con la loro stessa lingua.
E se oggettività è aderenza alla vita, al vero, si eliminerà ogni intrusione dell’artista e la narrazione tenderà a risolversi tutta in dialogo e paesaggio.
Il nostro verismo si svolse, a differenza dal naturalismo francese, al mondo provinciale, ai semplici, agli umili, socialmente, ai “primitivi”, non già agli anormali o viziosi: e con ciò contribuì a quella conoscenza delle regioni a quel tentativo di avvicinamento spirituale tra gli Italiani, cui miravano gli statisti pure per altre vie.
Il Russo, uno dei maggiori studiosi del verismo e del Verga, afferma che,volendo usare una definizione sintattica,sì potrebbe dire che i nostri veristi furono vichiani, mentre i naturalisti francesi furono cartesiani, volendo con ciò dire che i nostri, pur affermando di seguire, il canone dalla i parzialità, trasfigurarono fantasticamente il modo dei loro, primitivi, lo incalorirono del loro sentimento, mentre i francesi lo esaminarono scientificamente, con la chiarezza propria dal metodo cartesiano. “I nostri veristi maggiori e minori vennero scrivendo nei loro romanzi e racconti le memorie poetiche della propria adolescenza paesana, trasfigurata nostalgicamente nella lontananza di luoghi e delle stagioni”. L’opera dei veristi ebbe anche il valore di un documento sociale; gli Italiani scoprivano il popolo, il popolo,diciamo, non già la borghesia; in fondo all’opera di alcuni di essi v’è anche un significato, una polemica sociale: contro le false miserie e sofferenze borghesi, alle “pose” presentare il mondo della vera miseria: anche per questa via,dunque la letteratura continuava lo spirito dal Risorgimento, come del Romanticismo, nel senso che rispecchiava la vita, solo che ora si scendeva ad una realtà meno eroica; per questo il Torraca, fin dal 1881 metteva il capolavoro del Verga accanto alla relazione scritta dal Sonnino e dal Franchetti sulla Sicilia.
Veristi:
- Luigi Capuana – teorico del verismo italiano (Giacinta – Appassionate (novelle) – Paesane (novelle) Il Marchese dì Roccaverdina) – Più valido come critico che come artista – forse in lui le qualità riflessive prevalgono su quelle fantastiche ed effettive – sente di più l’influenza francese, unisce la rappresentazione del caratteristico e del pittoresco del paesaggio all’indagine di psicologie tormentate, ombrose.
- Matilde Serao – incline ad un verismo più bonario e conciliante. Soprattutto felice nel ritratto di anime di fanciulle, e di povere donne del mondo borghese e popolano di Napoli, nel rendere il senso del “vicinato” napoletano e, in genere, gli ambienti chiusi, specialmente femminili -(romanzi – novelle: All’erta sentinella); nei romanzi della seconda maniera (Conquista di, Roma…), ove presenta un mondo di grandi città, con grandi alberghi, mode psicologiche, essa ci sembra scrittrice fallita.
- Maio Pratesi (L’eredità – Il mondi di Dolcetta): concezione dolorosa e severa della vita umana, temperata da una fede profonda negli ideali di giustizia risorgimentali. Può considerarsi il padre del verismo toscano.
- Renato Fucini (Le veglie di Neri – All’aria aperta = race colte di novelle): spigliato e fresco disegnatore di paesaggi e di interni, a cui accorda le figure con il fare dei “machiaiuoli” toscani; mentre è piuttosto superficiale nei bozzetti comici, è invece migliore in quelli di seria ispirazione; l’azione stessa dei bozzetti diventa essa pure pittura, colore del personaggio che la racconta; a volte leggiamo cose pervase da un vero soffio di liricità (Vanno in Maremma – Tornan di Maremma).
Giovanni Verga
Cominciò con il comporre romanzi sulle orme di Dumas padre (romanzi storici):
- In Sicilia: I carbonari della montagna – Amore e patria – Sulle lagune – ed esercitare l’attività giornalistica.
- A Firenze: da l 65 al 71 inizia l’amicizia con il Capuana. Scrive: Una peccatrice e Storia di una capinera.
- A Milano: dal 72 al 93 (il periodo più importante della sua vita di uomo e di scrittore). Viene in contatto con la Scapigliatura, fa amicizia con: Boito, Praga, Giocosa, De Roberto.
Partecipa nei salotti e nei caffè alle discussioni e alle polemiche sulle varie tendenze artistiche; incomincia a maturare, in collaborazione con il Capuana, le idee nuove che ben presto approderanno alla poetica del Verismo.
Opere:
- Eva
- Tigre reale
(Romanzi)1874: Nedda (Racconto) – segna l’adesione al verismo – Primavera ed altri racconti – Vita dei capi
– Novelle Rusticane (novelle)
1881: I Malavoglia – 1889: Mastro don Gesualdo(romanzi)
1884: Cavalleria rusticana (piccolo dramma).
Raccolte di novelle: Per le vie – Vagabondaggio – Don Candeloro e C. – Il marito di Elena (romanzo).
Drammi: La lupa – In portineria – Dal mio al tuyo.
Critica dell’arte verghiana:
Del Verga ebbero successo e diffusione presso i contemporanei i romanzi giovanili; i capolavori incontrarono invece l’indifferenza e l’ostilità dei critici. Cause: il carattere dell’arte del Verga, chiusa e scabra, apparentemente fredda; la confusione tra il Verga e la scuola (verismo condannato perché immorale); il gusto generalmente orientato vero altre forme artistiche; il pregiudizio linguistico.
Il Croce fu tra i primi a valutare positivamente l’arte del Verga; affermò che non vi è arte impersonale, che il Verga abbracciò la dottrina della impersonalità, perché essa corrispondeva al suo sentimento e della realtà e dell’arte.
Ma il più sensibile interprete dell’arte verghiana è il russo; le sue idee si sono imposte e noi le facciamo nostre.
1° – Profonde differenze tra il naturalismo francese ed il verismo italiano: il primo di intonazione scientifica di ambiente cittadino, anzi parigino, caratterizzato da uno stile prosastico, spesso volto alla rappresentazione di una realtà umana abnorme (metropoli, bassifondi, forma più esasperata, impersonalità, freddezza), (concetto che i delinquenti, gli anormali non hanno alcuna colpa delle loro abiezioni, perché esse derivano dall’ereditarietà – Zola, De Goncourt).
Il secondo (Provincia, gente sana, forma meno esasperata) è rievocazione ingenua del mondo provinciale, di carattere più lirico e melodico quanto allo stile.
2° – Svolgimento e continuità nell’arte del Verga.
Nota comune alle sue opere è la passionalità, ma scoperta, romanticamente esasperata nelle opere giovanili, frenata, calata nella narrazione nei capolavori.
Nelle opere giovanili vi è la rappresentazione di un mondo di passioni romantiche e superficiale, in un ambiente aristocratico e artificiale; nei capolavori le passioni ingenue ed elementari dei primitivi.
Si tratta quindi di un progresso etico ed artistico vale a dire: Verga prova disgusto per un mondo vuoto, corrotto, falso, rappresentato nei romanzi giovanili, in cui il dolore è un “dolore di lusso”, sente la vita come fatalità di dolore, scopre nei primitivi maggiore verità: essi sono più uomini, se essere uomini vuol dire “saper soffrire”.
3° – L’arte del Verga non è impersonale; egli è “uomo tra gli uomini”, non guarda ai primitivi con distacco scientifico, come a soggetti patologici, ma li sente e rappresenta come esseri umani, i cui umili sentimenti possono essere eroici, come i sentimenti più complessi.
Ma il suo pessimismo si va facendo più doloroso e serio, la sofferenza da LACRIMAE HOMINUM ai fa LACRIMUM RERUM.
4° – Il Verga si libera da ogni autobiografismo, il sentimentalismo si fa sentimento.
5° – Differenza con il Verismo italiano: Verga p il più lirico, veramente poeta nell’intimo del sentimento e del linguaggio, vero discepolo del Manzoni, per quella volontà di ritrarre il reale senza intromettersi con la propria soggettività, per quel suo volgersi al mondo degli umili (anche se si tratta di umili intesi diversamente), per quel suo proseguire la lotta contro ogni forma di letteratura accademica, dotta, per la stessa eticità della sua arte.
Concetti
Dall’egoismo sterile del soggetto all’obiettività delle cose.
Passione sempre.
Processo di guarigione dell’artista: oggettivando i suoi sogni li guarda dal di fuori, ne sente l’artificioso, il grottesco. In lui la vita ed arte si svolgono e procedono insieme: è il rifiuto di una vita malasana e di un’0arte corrispondente.
Lirismo prepotente che si fa sempre più schivo: lirico.
Uomo sofferente, prosatore melodico.
Mai pezzi di bravura.
Umili in senso vichiano.
Polemica tra la vera e la falsa passione: gli umili sanno patire di più, per questo sono più uomini.
Non tanto ritrattista del singolo, quanto delle scene affollate: coralità dell’arte verghiana,
Il sentimento mai in primo piano; ragione artistica di ciò: frenare la passionalità; ragione etica: i dolori hanno sempre qualcosa di solitario e di schivo.
Malavoglia: più lirico; Mastro don Gesualdo: più narrativo. Lessico ritrovati alle sorgenti stesse del linguaggio, discorso infittito di formule e di proverbi, sintassi scarna e povera, ma originalissima, segnata di cadenze musicali, tecnica del disegno e del colore di un impressionismo primitivo, linguaggio che è tutt’uno con la cosa.
Poesia verista
In realtà non si potrebbe parlare di poesia verista, perché la poesia non accetta definizioni.
Comunque, limitatamente verista e in parte influenzato (ma in minima parte, perché anzi si dichiarava a loro avviso, dagli Scapigliati) fu Vittorio Bettelloni, veronese.
(In primavera: raccolta di liriche, Piccolo Mondo: poemetto).
Egli voleva una poesia che “avesse i piedi in terra”, che si tenesse cioè aderente al vero, adottasse forme piane, umili, antiaccademiche. Ed erano, i suoi, umili e piccoli soggetti: amore per una crestaia, appuntamenti per istrada, il primo baio, cenette in trattoria. In realtà la sostanza del libro è semplice, fresca, ma viva e libera, ma sguaita.
Più polemicamente vistosa, ma più superficiale la poesia di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti) (Postuma – Polemica – Nova Polemica) che suscitò gran chiasso ai suoi tempi, ed in difesa della quale scesa in lizza persino il Carducci, per fastidio della vuota e falsa poesia sentimentaleggiante dell’Alerai e del Prati.
Poesie caratterizzate da violenza di rappresentazione erotica, da spunti antiborghesi ed anticlericali, con un’arte non certo sprovveduta.
Questa poesia non si impegnava però a fondo, era gioco di ingegno arguto, e perciò, per noi, ha valore documentario, non poetico.
Poesia del periodo del realismo
Si tratta di poeti con caratteristiche diverse che perciò non possono essere raccolti sotto un comune denominatore, il che del resto è sempre arbitrario, tanto più, semmai per i grandi, ma qui, neppure per comodità didattica è possibile delineare atteggiamenti comuni.
- Tesine