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La seconda generazione: dal 55′ al 60 La seconda generazione di elaboratori elettronici è caratterizzata dalla quasi definitiva scomparsa delle valvole a vuoto e dalla loro sostituzione con il transistor (TRANsmit reSISTOR). Inventato da tre scienziati della Bell Telephone Laboratories (John Barden, W. H. Brattain e W. B. Shockley ), esso soppiantò in breve tempo la valvola a vuoto poiché era nettamente più veloce e più piccolo di quest’ultimo, ma soprattutto era più affidabile e meno vorace di elettricità. Con l’impiego dei transistor e il perfezionamento delle macchine e dei programmi, l’elaboratore diventa più veloce e più economico e si diffonde in decine di migliaia di esemplari in tutto il mondo. Inoltre, forse sotto la spinta dell’introduzione di nuove tecniche di organizzazione e di direzione aziendale, gli elaboratori non sono più utilizzati in ambito contabile e statistico, ma anche in applicazioni più complesse che investono tutti i settori di attività. Il primo computer di seconda generazione prodotto su scala industriale nasce nel 1957, a dieci anni dall’invenzione del transistor. Il suo nome è “Modello 2002” ed è prodotto dalla Siemens. Fra i sistemi della seconda generazione ricordiamo inoltre l’IBM 1401 (dotato di 10.000 transistor) che fu installato nel periodo che va dal ’60 al ’64 in più di centomila esemplari, il super computer IBM 7090 (con 44.000 transistor e 1,2 Mbit di memoria ) installato in ca. 100 esemplari nei più importanti centri scientifici e l’unico tentativo italiano: l’ELEA 9003 della Olivetti, prodotto in 110 esemplari. Di notevole importanza è stata anche l’introduzione dell’ elaboratore elettronico per il controllo automatico dei processi industriali nella raffineria Texaco di Port Arthur. L’elaboratore raccoglieva i dati da vari strumenti di misura disseminati lungo l’impianto, analizzava i dati e li confrontava con quelli contenuti in memoria, che rappresentavano lo standard di qualità dei prodotti. L’elaboratore segnalava anche le varie anomalie e forniva in tempo utile i suggerimenti per risolverle. Un sistema del genere aveva all’incirca un costo di 300.000 dollari ma questo poi scese drasticamente con il ricorso ai circuiti integrati ( 100.000 dollari ) e con il ricorso al microprocessore (3.000 dollari). Il notevole sviluppo degli elaboratori e delle loro applicazioni non è dovuto soltanto alle caratteristiche della CPU, ma anche ai continui miglioramenti apportati alle memorie ausiliarie e alle unità per l’immissione e al emissione di dati. Le memorie a dischi, mediante una serie di testine a pettine, sono capaci di registrare decine di milioni di lettere o cifre. Accanto ai dischi collegati con l’unità centrale, si introducano delle unità in cui le pile di dischi sono mobili e possono essere facilmente sostituite con un’altra pila in pochi secondi, portando così la capacità di memorizzazione ad una soglia praticamente illimitata. Gli elaboratori della seconda generazione sono caratterizzati anche dalla presenza di uno speciale dispositivo per lo smistamento dei dati al loro interno che permette loro di sovrapporre diverse operazioni, cioè contemporaneamente di leggere e perforare schede, di eseguire calcoli e prendere decisioni logiche, di scrivere e leggere su nastri magnetici. Nascono nei primi anni ’60 anche le unità terminali, speciali elaboratori con il compito di trasmette i dati all’elaboratore centrale che si trova a centinaia di Km di distanza tramite le linea telefonica. L’IBM 1401 : L’ELEA 9003 della Olivetti: (segue nel file da scaricare)
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