1. QUADRO GENERALE
La seconda Guerra mondiale scoppiò il 1 settembre 1939 a seguito dell’invasione della Polonia da parte della Germania. Da tempo Hitler mirava a realizzare una strategia espansionistica verso i territori dell’Europa orientale. L’attacco seguiva infatti l’annessione (Anschluss) dell’Austria (marzo 1938) e l’invasione della Cecoslovacchia (marzo 1939). Lo scoppio della seconda Guerra mondiale fu quindi un esito diretto della politica estera aggressiva di Hitler.
Ma l’origine del conflitto non può limitarsi solo all’azione violenta del dittatore tedesco. Occorre
infatti considerare le numerose crisi che attraversarono gli Stati europei nel periodo successivo alla
prima Guerra mondiale e soprattutto al Trattato di Versailles. Tra i motivi chiave possiamo così
richiamare:
- la dura crisi economica vissuta dalla Germania nel 1923, che aveva gettato nella miseria i ceti medi
- la ripresa del militarismo, favorita dai movimenti che esprimevano tendenze nazionalistiche e alimentata dall’alta finanza, che aveva causato le prime rotture nella Repubblica di Weimar
- il timore dell’espansione comunista ai Paesi dell’Occidente europeo: il pericolo rivoluzionario provocava, infatti, una forte controspinta reazionaria, che si concretizzò in Italia (e altri Paesi) nell’avvento del fascismo e in Germania nell’avanzata verso il potere di Adolf Hitler.
Proprio Hitler, dopo la presa del potere nel 1933, impose l’attuazione del programma già tracciato
nel suo libro Mein Kampf (La mia battaglia). Nello stesso periodo Benito Mussolini, in Italia,
assumeva un nuovo atteggiamento in campo internazionale, nettamente colonialista (proclamazione dell’Impero d’Etiopia nel 1936, appoggio alla guerra di Francisco Franco, in Spagna, contro il fronte popolare). Hitler procedette al ritirò della Germania dalla Società delle Nazioni e diede vita ad un ambizioso progetto di rimilitarizzazione della Renania.
A questi primi atti violenti gli Stati democratici europei non riuscirono a contrapporre una linea
efficace: Hitler e Mussolini, uniti ormai nell’Asse Roma-Berlino (1936), continuavano ad apparire
come i difensori dell’Occidente contro il pericolo comunista. Anche a causa della decisione delle
maggiori potenze europee di non intervenire tempestivamente nei confronti delle violenze di Hitler
(cosiddetta politica dell’appeasement, che possiamo tradurre con “pace a tutti i costi”), Hitler
rivolse le sue mire alla Polonia (richiesta dell’annessione di Danzica). Solo a questo punto in
Francia e in Gran Bretagna si avvertirono decise reazioni antitedesche.
Assicurato l’appoggio alla Polonia, Francia e Gran Bretagna rinunciarono alla loro tradizionale
politica antisovietica e condussero trattative con l’URSS. I negoziati (con inizio nel 1939) fallirono
il 23 agosto dello stesso anno, quando i ministri degli Esteri russo e tedesco Molotov e Ribbentrop
conclusero un patto di non-aggressione.
Dal fallimento di queste trattative allo scoppio della seconda Guerra mondiale passarono pochi
giorni: Hitler il 1 settembre ordinava l’invasione della Polonia. Il 3 settembre Francia e Gran
Bretagna dichiararono quindi, a loro volta, guerra alla Germania. Mussolini – che nel maggio 1939
aveva firmato con Hitler il «patto d’acciaio» (che prevedeva l’impegno italiano in caso di guerra
ad intervenire a favore dell’alleato) – si vide costretto (in ragione della profonda arretratezza delle
forze armate italiane) a proclamare, con il consenso del Führer, la non-belligeranza dell’Italia.
2. LA GUERRA-LAMPO DI HITLER: OCCUPAZIONE DELLA POLONIA E L’OFFENSIVA A OCCIDENTE
Le truppe polacche capitolarono, rapidamente, il 28 settembre. Il territorio occupato fu diviso fra
Germania e URSS. Il successo di Hitler in Polonia si dovette non solo alla superiore potenza delle sue forze su quelle avversarie, ma anche al particolare impiego strategico di moderni apparati bellici di cui l’esercito disponeva.
L’offensiva a Occidente iniziò nel maggio del 1940. Fino allora gli eserciti francese e tedesco si
erano combattuti lungo le linee Maginot (considerata inespugnabile) e Sigfrido. Hitler inizialmente
sembrò preoccuparsi di rimediare alla posizione d’inferiorità nella quale si trovava la sua flotta
rispetto a quella inglese. Dopo alcuni successi ottenuti nell’Atlantico, diresse il suo attacco alle
coste del Mare del Nord. L’occupazione della Danimarca e della Norvegia (aprile-giugno 1940),
ottenuta a prezzo di perdite navali cospicue, tese a liberare il traffico marittimo tedesco dal controllo
che gli Anglo-Francesi effettuavano all’ingresso del Mar Baltico. Hitler riteneva la vittoria sulla
Gran Bretagna il fine ultimo della sua offensiva. Il 10 maggio si scatenò la “prima fase”
dell’offensiva tedesca.
3. I PIANI MILITARI
Ecco in sintesi i piani di Hitler:
- aggirare la linea Maginot
- attaccare l’Olanda e il Belgio
- spezzare le linee francesi attraverso le Ardenne e il fiume Mosa
L’esercito anglo-francese utilizzò la quasi totalità delle proprie forze nel tentativo di respingere
l’avanzata tedesca. L’Olanda e il Belgio caddero in pochi giorni. I tedeschi giunsero il 21 maggio
sulle coste della Manica e interruppero il contatto fra le forze anglo-franco-belghe del nord e il resto
dell’esercito.
In pochi giorni i tedeschi giunsero a Parigi (14 giugno) e si espansero per tutta la Francia. Il 24
giugno – dopo il crollo della linea Maginot – l’intero territorio settentrionale francese era in mano ai
Tedeschi. Contestualmente, il 10 giugno, Mussolini – ritenendo opportuno anticipare l’intervento
dell’Italia in previsione della resa della Francia e dei benefici che se ne sarebbero derivati – dichiarò
guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. L’esercito italiano non era però in grado di sostenere uno
sforzo militare tanto imponente, e fu costretto a ritardare l’attacco. In Francia intanto, a seguito del
disastro militare, emerse una gravissima crisi politica. Dopo che il generale Charles de Gaulle
aveva lanciato ai Francesi un primo appello alla resistenza, il nuovo governo firmò l’armistizio con
la Germania e con l’Italia. Si concludeva così la prima fase.
La seconda, come si è detto, prevedeva l’attacco diretto alla Gran Bretagna. L’8 agosto infatti Hitler
ordinò l’offensiva aerea. Gli Inglesi tuttavia, guidati dal premier in carica Winston Churchill,
resistettero ai numerosi bombardamenti aerei: l’aviazione tedesca non riuscì infatti prevalere su
quella Inglese.
4. L’ESPANDERSI DEL CONFLITTO
Durante l’attacco tedesco agli Stati occidentali, l’URSS procedette alla definitiva annessione dei territori baltici. Per fermare l’avanzata russa, Hitler firmò con il Giappone il 27 settembre 1940 un patto (detto tripartito per la partecipazione anche dell’Italia) che costituiva un’aperta minaccia per l’URSS. Intanto Mussolini combatteva gli Inglesi nel Mediterraneo e in Africa. Qui. nell’agosto del 1940, l’esercito italiano occupò la Somalia e nel settembre dello stesso anno avanzò verso l’Egitto. La nostra flotta fu però drammaticamente colpita nella base di Taranto dagli aerei inglesi. Mussolini tentò allora la conquista della Grecia (ottobre 1940): nei primi due mesi tuttavia l’armata italiana non solo non riuscì ad occupare il territorio greco, ma fu costretta ad arretrare in Albania. Si trattava di un fallimento militare gravissimo, che provocò una crisi nello Stato Maggiore italiano (dimissioni di Badoglio e presa di coscienza dell’impossibilità strutturale della «guerra parallela» di Mussolini).
L’esercito tedesco del resto, affidato al comando di Erwin Rimmel, fu a sua volta costretto ad
intervenire nella guerra libica. Il 6 aprile la Germania iniziò anche la campagna dei Balcani con un
notevole utilizzo di truppe e con l’appoggio degli eserciti italiano, bulgaro e ungherese. La
Jugoslavia cadde in soli tredici giorni. La Grecia rimase isolata di fronte alle truppe tedesche che la conquistarono e riuscirono a occupare anche Creta (1 giugno). L’occupazione della Grecia e della Jugoslavia costituì il preludio della campagna di Russia. Il fallimento della guerra-lampo, le conquiste russe e il profilarsi dell’intervento americano spinsero infatti Hitler ad aprire il nuovo fronte. La nuova mossa del Führer assunse diversi significati, sia di tipo politico-militare che di stampo ideologico:
- eliminare il tradizionale avversario bolscevico
- assicurarsi le materie prime essenziali al proseguimento della guerra
- idea di creare una grande potenza asiatica in grado di controbattere un eventuale intervento americano a sostegno della Gran Bretagna
5. LE CAMPAGNE DI RUSSIA E D’AFRICA, L’INTERVENTO DEGLI STATI UNITI E I SUCCESSI GIAPPONESI NEL PACIFICO (1941-42)
Il 22 giugno 1941 ebbe inizio l’attacco a sorpresa, senza ultimatum e dichiarazione di guerra, della Germania all’URSS. Le armate tedesche sfondarono le frontiere a Leningrado, a Mosca e a Kiev e si diressero verso Mosca. I russi riuscirono tuttavia ad intervenire a circa 100 km dalla capitale. Nonostante le conquiste, il piano di Hitler apparve quasi subito sostanzialmente fallimentare. Stalin infatti era riuscito a mantenere il proprio esercito al di là delle zone conquistate dai tedeschi. Si formarono così attivi centri di resistenza che costrinsero i mezzi tedeschi a veloci ripiegamenti. La mancata conquista della capitale sovietica fu un duro colpo alle strategie di Hitler. In Africa intanto gli inglesi riunirono le forze ed iniziarono la controffensiva. Quasi contemporaneamente alla ripresa degli Inglesi in Africa, si determinò l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Il presidente americano Francis D. Roosevelt aveva già firmato con Churchill la «Carta Atlantica», un progetto di ricostruzione democratica del mondo. L’episodio che provocò l’intervento statunitense nella seconda Guerra mondiale fu l’attacco dei Giapponesi alla base navale americana di Pearl Harbor nelle Hawaii (7 dicembre 1941). Il Giappone mirava da tempo ad estendere il suo dominio in Estremo oriente. Da qui la decisione di attaccare agli Stati Uniti con la sorpresa iniziale di Pearl Harbor. Il Congresso americano votò lo stato di guerra contro Giappone, Germania e Italia. Il 1 gennaio del 1942 venticinque Stati firmarono l’atto costitutivo delle Nazioni Unite e formarono un blocco compatto contro la coalizione nazifascista.
Nel frattempo sul fronte libico Rommel aveva iniziato la controffensiva che doveva portare le
truppe italo-tedesche a El-Alamein. Il comando britannico, in seguito all’attacco giapponese, aveva
destinato alcuni contingenti alla difesa di Singapore. Gli italo-tedeschi, effettuate con successo
alcune operazioni nel Mediterraneo, fecero affluire il Libia un cospicuo gruppo di forze armate.
Dalla stessa linea difensiva partì il contrattacco alleato che segnò la fine della guerra d’Africa.
Sempre nello stesso periodo, sul fronte russo, iniziava la seconda offensiva tedesca. Di fronte
all’avanzata tedesca i Russi usarono la medesima tattica dell’anno precedente: evitarono lo scontro
frontale, si ritirarono lentamente e distrussero all’esercito invasore ogni possibile mezzo di
rifornimento. Si andava così delineando anche il fallimento della seconda offensiva nazista.
6. LA CONTROFFENSIVA SU OGNI FRONTE (1942-43)
A partire dal maggio 1942 gli Stati Uniti iniziarono una fase di difesa attiva. La flotta americana si rivelò più efficiente che quella giapponese nell’impiego di portaerei disponibili. Gli Americani s’impegnarono nella conquista di arcipelaghi a est dell’Australia. Il Giappone peraltro sembrava condurre una guerra sostanzialmente estranea a quella dei suoi alleati. Le forze inglesi e americane, al contrario, eseguivano ovunque le direttive di un unico comando (il comitato misto dei capi di Stato Maggiore avente sede a Washington).
L’apporto giapponese alla guerra nazista risultò dunque molto meno efficace di quanto si potesse
prevedere. Quello statunitense si rivelò invece decisivo nel proseguimento delle operazioni. I
bombardieri americani iniziarono nell’agosto del 1942 i loro voli sull’Europa, provocando ingenti
danni all’industria bellica tedesca. Le truppe americane (guidate dal generale Dwight Eisenhower) sbarcarono l’8 novembre in Marocco e in Algeria, chiudendo a favore degli alleati, in breve tempo, la complessa guerra d’Africa.
In Italia, intanto, solo una piccola minoranza legata a Mussolini credeva ancora nella vittoria
dell’Asse: la situazione appariva infatti matura per un cambiamento al vertice. Nel dettaglio:
- le masse popolari, che a lungo erano state favorevoli alla politica fascista, davano ora una notevole dimostrazione di forza di opposizione, con una importante serie di scioperi
- i partiti politici, dichiarati fuori legge dal regime, avevano ripreso dal 1942 clandestinamente la propria attività
- lo stesso Partito nazionale fascista e gli ambienti vicini al re ponevano con insistenza la questione dell’uscita dell’Italia dalla guerra
Il 19 luglio Mussolini s’incontrò con Hitler, ma non riuscì né a ottenere dalla Germania le forze
necessarie per opporre una valida resistenza agli Alleati, né a esporre chiaramente al Führer
l’impossibilità per l’Italia di continuare la guerra. Alla stessa data Roma subì il primo
bombardamento aereo il 25 luglio. Dopo il voto del gran Consiglio del fascismo che aveva posto in
minoranza Mussolini, Vittorio Emanuele II lo fece arrestare e affidò il governo a Badoglio.
Badoglio ordinò inizialmente di continuare la guerra; in seguito, con tragico ritardo, iniziò le
trattative per l’armistizio, mentre Hitler ebbe tempo di far scendere dal Brennero nuove truppe di
rinforzo. L’8 settembre, al momento dell’annuncio dell’armistizio l’esercito italiano si trovò
indifeso di fronte alla reazione tedesca: il re a Badoglio, assieme ai principali esponenti politicomilitari del nuovo Governo, fuggirono da Roma verso Pescara, lasciando privi di ordini chiari le forze armate per la difesa della capitale.
In questo drammatico contesto, la flotta alleata giungeva a Malta, l’esercito si disfaceva, gli AngloAmericani, sbarcati il 3 settembre in Calabria e l’11 settembre a Salerno, entrarono il 1 ottobre a Napoli ormai in mano alla popolazione insorta contro i Tedeschi. La loro marcia al nord incontrò
tuttavia intense forme di resistenza: al termine del 1943, mentre Mussolini – liberato con una
audace operazione dai Tedeschi – costituiva una Repubblica “satellite” della Germania (cosiddetta
Repubblica di Salò) – le truppe alleate erano ferme sulla linea Gustav (che univa il Garigliano alla
foce del Sangro). La lentezza delle operazioni rientrava nel piano alleato: lo sbarco non mirava in
prima istanza a raggiungere la Germania attraverso l’Italia, bensì ad indebolire la difesa tedesca,
tenendo impegnato nella penisola un rilevante numero di divisioni avversarie.
Sul fronte orientale, in Russia, nel novembre del 1942, era iniziata la controffensiva sovietica: il
centro delle operazioni di difesa russa era costituito dalla città di Stalingrado. Questa, raggiunta
dalle armate tedesche, non capitolò: i tedeschi, anzi, subirono notevoli perdite. Hitler dovette
arrendersi nel febbraio del 1943 quando anche Kijev fu riconquistata dall’esercito russo. Questo
aveva rioccupato ormai buona parte dell’Ucraina e aveva costretto i Tedeschi a retrocedere quasi
fino alla linea della prima estate di guerra. Nella ritirata persero la vita migliaia di soldati italiani,
l’armata che Mussolini aveva inviato in URSS nel luglio del 1942 senza adeguati armamenti.
7. LA GUERRA IN EUROPA: DALLO SBARCO IN NORMANDIA ALLA RESA TEDESCA (1944-45)
Dopo le sconfitte in Africa e in URSS, la Germania nel 1944 era prossima alla sconfitta definitiva.
Impegnata su tutti i fronti, fu anche costretta a respingere brutalmente la notevole serie di
movimenti clandestini sorti all’interno dei Paesi occupati. La cosiddetta “Resistenza” – impulso
spontaneo di reazione alla politica aggressiva della Germania – si profilò rapidamente in Europa
come un vero e proprio «secondo fronte». La drammatica repressione tedesca contro le azioni
partigiane (deportazioni, stermini di massa, fucilazioni di civili) aggravarono la tensione psicologica
in modo impressionante.
In Italia e in Francia gli angloamericani cominciarono i primi rapporti con i movimenti clandestini.
Anche se nel nostro Paese l’avanzata fu particolarmente difficile (in ragione della difesa opposta dai Tedeschi sulla linea Gustav, dalla presenza degli Appennini e dalle condizioni meteorologiche), nel maggio gli Alleati sfondarono il fronte di Cassino e giunsero a Roma il 4 giugno.
Contestualmente, nel nord europeo, il comando angloamericano sferrò il suo attacco più a ovest, in
Normandia (6 giugno 1944). Il comando supremo fu assunto dal generale Eisenhower: dopo mesi di
combattimenti, le truppe alleate avanzarono nell’interno della Francia. Così, a Parigi, il 19 agosto fu
dato l’ordine d’insurrezione: i carri armati americani e francesi entrarono nella città e il comando
tedesco firmò la resa. Ai primi di settembre, quasi tutta la Francia era ormai liberata (era caduto
anche il governo francese collaborazionista, cioè filonazista, che aveva avuto sede a Vichy) e il
generale de Gaulle poteva costituire il nuovo governo. Una serie di altre operazione rendevano il
crollo dell’Asse inevitabile (il fallimento della controffensiva delle Ardenne, estremo tentativo di
ripresa da parte di Hitler, fallì a causa dell’azione aerea degli Alleati e del contemporaneo attacco
sovietico).
Sul fronte orientale, inoltre, nella primavera del 1944 l’Armata Rossa (l’esercito russo) liberò la
Crimea, l’intera Ucraina e la zona centrale della Russia. All’inizio del 1945 la situazione in Europa
era dunque già chiaramente definita:
- Germania: a est la Germania aveva perso tutti i suoi Stati satelliti (Finlandia, Romania, Bulgaria, Paesi baltici, Polonia erano in mano russa; l’Ungheria e la Slovacchia erano invase dalle armate sovietiche)
- Jugoslavia: nella Jugoslavia il movimento di resistenza di Josip Broz Tito (comunista) aveva già rioccupato gran parte del territorio, congiungendosi nel settembre del 1944 con l’Armata Rossa e liberando Belgrado
- Grecia: gli Inglesi avevano liberato Atene con l’aiuto delle forze partigiane
- Italia: le formazioni partigiane tenevano impegnate una parte considerevole delle forze nazifasciste
In questo quadro, Stalin, Roosevelt e Churchill s’incontrarono a Jalta (4-11 febbraio) per concordare il coordinamento del piano d’attacco finale e la successiva spartizione in zone di influenza dei territori liberati. Così, il 13 febbraio, con un’imponente azione aerea, si scatenò l’attacco angloamericano contro le linee fortificate della Germania occidentale. In poco più di un mese l’intera sponda sinistra del Reno cadde sotto il controllo dalle forze alleate.
Nello stesso tempo i Sovietici espugnarono Budapest e Vienna. Il 17 dello stesso mese gli Alleati
sfondavano le linee tedesche sugli Appennini e, liberata Bologna (21 aprile), avanzavano nella Pianura Padana. I partigiani insorgevano in ogni città, i C.L.N. (Comitati di Liberazione Nazionale) assumevano il governo del territorio liberato e ne mantenevano l’amministrazione fino all’arrivo delle truppe alleate.
Il 29 aprile – dopo che Mussolini, mentre tentava di fuggire in Svizzera, veniva ucciso dai partigiani a
piazzale Loreto (Milano) – il comando tedesco d’Italia firmò la resa. Nei giorni seguenti il suicidio di
Hitler e di alcuni suoi collaboratori, l’entrata in Berlino dell’Armata Rossa (2 maggio) e la firma da
parte di Wilhelm Keitel della resa incondizionata (7 maggio), segnarono la fine della seconda Guerra mondiale in Europa.
8. LA FINE DELLA GUERRA IN ESTREMO ORIENTE (1944-45)
Nonostante il crollo tedesco, il Giappone resisteva ancora. Pur avendo perso le proprie unità navali e avendo abbandonato la quasi totalità dei territori occupati negli anni precedenti, l’esercito nipponico non intendeva procedere alla resa (ricorse anzi all’impiego di nuovi, estremi, mezzi umani: i kamikaze).
Tuttavia, in ragione della inevitabile distruzione del suo apparato bellico, il Giappone appariva già
sconfitto quando, il 26 luglio, ricevette dal nuovo presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, l’ordine
della resa incondizionata. Al rifiuto di Tokyo, gli U.S.A. lanciarono su Hiroshima e Nagasaki (6-9
agosto) le prime bombe a fissione nucleare. Fu l’ultimo evento della seconda Guerra mondiale – oltre che uno dei più tragici della storia umana. L’impero nipponico accettò infine la resa (14 agosto).
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