Freud ha dunque scorto nella sessualità e nella famiglia il centro dei conflitti, a partire dai quali l’Io si costituisce; ma famiglia e sessualità sono anche il principio della formazione della civiltà e della sua storia: la civiltà non potrebbe infatti sussistere senza una costante sottrazione di energie sessuali e una loro canalizzazione verso mete che esulano dalla sessualità , a vantaggio della comunità . In questo consiste il processo da Freud chiamato di sublimazione, da cui sono dipendenti il lavoro in generale e, in particolare, la creazione artistica e l’attività intellettuale; questa deviazione di corso dell’energia sessuale implica al tempo stesso sacrifici pulsionali, che possono dar luogo a situazioni di frustrazione, in cui un individuo avverte come precluso a se stesso l’appagamento delle proprie pulsioni. Freud perviene a queste conclusioni a partire dal 1908, convinto anche di un’analogia di sviluppo tra l’individuo e la specie umana. Questo tema egli lo affrontava in Totem e tabù (1912-1913), in cui provava a collegare i risultati dell’antropologia evoluzionistica, soprattutto quelli riscontrati da James Frazer, con la psicoanalisi. Freud muoveva dalla nozione antropologica di totem, l’oggetto sacro, per lo più un animale, che viene considerato simbolo della tribù e contraddistingue l’appartenenza alla tribù stessa e una specie di legame di parentela fra tutti i membri di essa. Nel gruppo totemico vigono due tabù, cioò due divieti: non uccidere l’animale totemico, nò mangiarne la carne, e non contrarre matrimonio se non all’esterno del gruppo, ossia non con membri dello stesso totem (questa è detta regola dell’ esogamia ). Freud interpretava queste caratteristiche delle tribù primitive con mezzi psicoanalitici e, più precisamente, era del parere che l’animale totemico simbolizzasse la figura del padre e che i due tabù corrispondessero ai divieti derivati dal complesso di Edipo, il divieto di parricidio e il divieto di incesto. Questo avrebbe dato conferma del carattere universale del complesso di Edipo, che sarebbe stato tipico non solo di una determinata epoca o cultura, ma dell’umanità in toto. Per spiegare questo, Freud costruiva una storia congetturale, mutuando da Darwin l’ipotesi che gli uomini primitivi fossero vissuti in orde, in piccole comunità , in cui un solo maschio adulto, il padre, aveva avuto il possesso di tutte le donne e quindi aveva espulso dal gruppo i figli maschi, potenziali avversari. I fratelli cacciati si erano poi radunati e coalizzati contro il padre, che avrebbero ucciso e si sarebbero cibati delle sue carni: di qui sarebbe scaturita la pratica del pasto totemico, una festa che, da un lato, celebrava l’immedesimazione dei figli con il padre, interiorizzato come avviene con un cibo, e, dall’altro lato, stabiliva legami di solidarietà tra i parricidi, accomunati dalla colpa e dal rimorso per l’azione nefanda. Il carattere ripetitivo di questo pasto totemico, al quale corrispondono le pratiche ossessive dei nevrotici moderni, era diretto a controllare il senso di colpa. Da allora si era costituito un sistema di divieti, a partire dal divieto di incesto, per regolare i rapporti sociali: il complesso di Edipo sembrava così il fondamento della cultura. In seguito, gli antropologi avrebbero però argomentato contro il carattere universale del complesso di Edipo ed in particolare B. Malinowski, nel libro Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, avrebbe mostrato che esso era assente in società melanesiane, caratterizzate da una discendenza matrilineare anzichò patrilineare e dal conferimento di autorità al fratello della madre, e non al padre. Terminata la prima guerra mondiale, Freud condivise con molti altri intellettuali il senso di una crisi che si abbatteva sulla civiltà occidentale (crisi peraltro prevista chiaramente da Nietzsche), ma rifiuta di darne un’analisi in termini di decadenza: tentò anzi di avvalersi degli strumenti e dell’armamentario di concetti psicoanalitici per individuare le radici psicologiche della tendenza delle masse a subordinarsi in modo passivo ad un capo. I legami di un individuo con la massa e di questa con il capo venivano interpretati da Freud, in Psicologia delle masse e identità dell’ Io (1921), come la regressione ad un’attività psichica primitiva, analoga a quella che egli era propensa ad attribuire all’orda primordiale, di cui aveva parlato in Totem e tabù. Nella massa, infatti, tutti sono uguali, ma questo dipende dal fatto che in essa si dilegua la personalità singola cosciente e non esistono volontà singole, ma si cerca di tradurre in atto soltanto una volontà collettiva. Questo rappresenta una regressione rispetto rispetto all’ Io autonomo, che è l’ultimo prodotto dello sviluppo psichico dell’individuo; nell’orda primordiale l’unico libero era il padre: agli inizi della storia, stando a Freud, era lui ‘ il superuomo che per Nietzsche dobbiamo aspettarci solo dal futuro ‘. Alla figura del padre corrisponde la figura del capo, a cui la massa avida di autorità si sottomette: esso è ‘ l’ideale della massa che domina l’Io, anzichò l’ideale dell’Io ‘. Il capo non ha bisogno di amare nessuno, mentre la massa è tenuta unita dall’illusione che il capo ami in uguale e giusta misura tutti i singoli; a questo si aggiungono poi gli effetti portati dalla suggestione, che si accompagna all’idea del possesso di un potere misterioso.
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