La visione cosmologica nella Divina Commedia di Dante - StudentVille

La visione cosmologica dantesca

La cosmologia dantesca: come Dante Alighieri ha trasposto la visione aristotelica all'interno della Divina Commedia e la visione morale del mondo.
La cosmologia dantesca: come Dante Alighieri ha trasposto la visione aristotelica all'interno della Divina Commedia e la visione morale del mondo.

La cosmologia dantesca nella Divina Commedia

Nella Divina Commedia di Dante Alighieri troviamo sintetizzata la visione cosmologica medievale. Essa è una diretta derivazione della concezione aristotelico – tolemaica filtrata attraverso la riflessione operata nella prima metà del XIII secolo da Tommaso d’Aquino; riprende, inoltre, lo spirito della cosmogonia platonica. Il concetto del tempo come creato dal Demiurgo per mezzo del moto delle sfere e che si realizza soltanto nel corso della vita fisica e mortale, discende senza dubbio dalle speculazioni platoniche. Il Demiurgo e l’idea del Bene, congiunti in un nesso monistico, che a sua volta è estraneo però al pensiero di Platone, formano i primi elementi di definizione filosofica del Dio cristiano, a cui bastano per determinarsi pochi attributi più definiti di origine ebraica.

Elementi astronomici nel Paradiso di Dante

Nella Divina Commedia, e in particolare nella terza cantica, il Paradiso, gli elementi astronomici e cosmologici sono parte integrante della costituzione poetica.
In numerosi luoghi del poema, l’Autore presenta situazioni astronomiche ben definite e riconoscibili e ne indica gli influssi sui comportamenti e le sorti degli umani. Astronomia e astrologia sono fusi in un’unica  concezione poetica ed esistenziale. Ciò è tanto più vero nella Cantica del Paradiso, dove le anime appaiano a Dante nei diversi cieli. Ma la cosmologia dantesca è, contemporaneamente, una visione morale del mondo. Per l’Autore, la virtù divina è causa e creazione di  tutto ciò che esiste . I cieli e le loro influenze agiscono come cause derivanti dalla creazione.
Il loro moto non è un fatto puramente meccanico, ma ad essi presiedono le singole gerarchie o intelligenze celesti, ognuna per uno specifico cielo. Ogni pianeta e ogni costellazione ha una specifica influenza sulle creature terresti.

Uomo e Dio: Inferno, Purgatorio e Paradiso

Secondo la concezione cosmologica dantesca la terra, creata dalla divinità, come ogni altro elemento fisico e metafisico, è una sfera immobile al centro dell’universo ed è circondata da sette pianeti (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) dal cielo alle stelle fisse, dal cielo Cristallino o Primo Mobile e, infine, dall’empireo (che non è un cielo, anzi non è neppure spazio).
La concezione della centralità della terra è una determinazione della concezione antropologica che voleva l’uomo elemento centrale di tutta la storia, fisica e non, dell’universo: difatti la storia della terra comincia con la nascita dell’uomo e la storia dell’uomo si risolve nella storia dell’incontro dell’uomo e di Dio. In funzione dell’uomo, dunque, si dispiega tutta la storia che alla fine si risolve in una storia di Dio attraverso gli uomini. Funzionali a questo rapporto Dio – uomo si pongono anche gli angeli, il diavolo, e tutti gli esseri che solo dall’uomo e dalla sigla che questo dà ad essi, si collocano come cooperatori (e perciò sono positivi) o antitetici (e perciò avversi).
E per l’uomo che vive felice Dio crea il paradiso terreste, e per l’uomo caduto nel peccato e immediatamente cacciato e privato del paradiso terreste, per redimerlo e consegnarlo alla felicità eterna, Dio, attraverso il Figlio, scende in terra, si fa crocifiggere, si carica dei peccati dell’uomo e ristabilisce il colloquio  tra Dio e l’uomo, che l’uomo, il primo uomo, aveva interrotto.

Si pongono per o contro l’uomo i luoghi che gli si aprono dopo la morte:

  • Inferno, dove l’uomo viene negato attraverso una degradazione che non conosce limiti temporali;
  • Purgatorio, dove l’uomo riconquista l’attitudine al pieno godimento della beatitudine;
  • Paradiso, dove l’uomo è ammesso alla numerosa corte dell’imperatore celeste circondati da angeli e beati.

Anche nell’aldilà l’uomo continua a vivere la sua esistenza che non è di netta spaccatura con l’uomo della terra,  ma di continuità e legame: di là difatti gli uomini vedono esaltate, o positivamente o negativamente, le loro caratteristiche e sono o interamente beati, ma distinti secondo virtù, o interamente disgraziati, ma divisi e distinti in rapporto ai loro vizi o peccati.
La vicenda terrena, dunque, anche sotto l’aspetto cosmologico non si esaurisce dentro il breve e fisico spazio terreno ma si dilata al di là del tempo nell’eternità , mantenendo e conservando quel legame con la divinità affermata che si pose nel momento dell’intervento creativo, generativo della divinità.

Com’è nata la Terra e cosmologia dantesca

Come per tutti i contemporanei (e per questa parte l’accettazione della cosmologia medievale rivista dalla teologia è completa) per Dante la terra si divide in due emisferi, di cui il meridionale è interamente occupato dalle acque dell’oceano, il  settentrionale  quello che ruota attorno al Mediterraneo, è fatto di terre emerse ed è abitato dagli uomini. La terra nacque nel momento in cui Dio creò gli angeli e i cieli.  Ma appena creati alcuni angeli si ribellarono, sollecitati da superbia:  Dio li espulse e  il loro capo, Lucifero, diventò il re di un regno ribaltato e negativo, l’inferno. Scaraventati dal cielo i ribelli precipitarono verso la terra, che inorridita di dover contenere nel suo grembo tanto mostro, si ritirò nel settentrione e qui posta fu in seguito popolata dagli uomini.

L’emisfero meridionale fu occupato interamente dalle acque. Come si vede, anche per questa parte Dante lega la concezione fisica a quella  etico – religiosa e la disposizione acqua – terra risponde per lui a sensibilità morale: in questo caso Dante innova sulla concezione tolemaica che voleva essere del tutto geografica e fisica. Pertanto dentro la terra, insieme ai suoi compagni di rivolta, Lucifero si conficcò al centro a testa in giù (ad indicare il ribaltamento morale nascente dal peccato) e in quella posizione starà ancora e vi rimarrà per l’eternità. La testa e il busto si collocarono nell’emisfero settentrionale, il resto del corpo in quello australe. Ma una parte estrema della terra, nonostante l’orrore, dovette subire il contatto con Lucifero e apertasi in forma di voragine o imbuto rovesciato diede vita all’inferno.

Dalla terra che emerse dallo svuotamento dell’emisfero australe si formò un isola a forma di alta montagna, che si restringe dalla base verso la cima: quell’isola divenne il purgatorio. In origine fu la dimora dei nostri progenitori ma, dopo il peccato e dopo che Caino uccise Abele, gli uomini ne furono espulsi e l’isola fu assegnata alle anime purganti.

La terra, dunque, secondo Dante, contiene oltre il continente emerso e popolato, l’inferno, sotterraneo, e il purgatorio, l’unica isola dell’oceano.
Lungo la stessa linea assiale si dispongono:

  1. Gerusalemme, centro della terra emersa e luogo dove la storia dell’uomo pur essendo in ogni tempo  cristiana si può dividere in storia precristiana e storia post-cristiana, anche se questa seconda parte della storia, che è  dell’uomo redento, continua per un tempo limitato, fino alla purificazione definitiva nel purgatorio;
  2. Lucifero,  attraversato dalla linea ideale nell’ombelico (centro interno della terra);
  3. il Purgatorio o meglio l’albero del bene e del male che si pone al centro del paradiso terreste, che dell’isola – montagna  occupa la cima. Ancora una volta l’ordinamento topografico si configura come disposizione morale. Lucifero è il male e da lui sembrano dipartirsi quasi a ventaglio, per successive e molteplici determinazioni, le varie trasgressioni della legge morale e divina, ponendosi più vicini all’apertura i peccati più frequenti e meno gravi. Egualmente il purgatorio, partendo da una base ampia e stringendosi man mano che si sale verso la cima si dispone in una serie di ripiani tagliati nella montagna tanti quanti i peccati capitali.

Il Paradiso nella cosmologia dantesca

Fuori dalla terra, in alto, nel cielo Dante collocò il paradiso, cui si accede passando per nove cieli o stelle o pianeti. Il vero paradiso è l’Empireo, puro pensiero divino, al di fuori dello spazio, e i beati, che vivono la loro beatifica visione della divinità, si dispongono attorno ad essa gerarchicamente, quasi a comporre un’ideale corte.

I cieli appartengono ancora al mondo della materia, anche se sono formati di quintessenza. Solo l’Empireo è immateriale. Ed immateriale sono anche gli angeli distribuiti gerarchicamente in nove cori.
Agli angeli è affidato il compito di dirigere i nove cieli e di comunicare, attraverso gli influssi astrali, le tendenze o caratteri che distinguono creatura  da creatura e avviano al proprio destino. Essi fanno muovere l’universo in base alla loro visione di Dio; il moto dei cieli è misurabile dalla rotazione del pianeta ed è  causato dal velocissimo movimento del Primo Mobile; quindi è costituito dal moltiplicarsi del primo moto che, a sua volta, è frutto dell’amore  di Dio e per Dio, Motore Immobile del Tutto.

Le sfere celesti ruotando producono un suono armonioso, segno sonoro dell’ordine cui obbediscono. Questa musica non viene avvertita sulla terra dagli uomini per ottundimento dell’udito (tale credenza era anche in Cicerone  che ha sua volta l’aveva dedotto  da Platone e dai pitagorici). Dante, salendo nei vari cieli, percepisce un’armonia sempre crescente fino a quando è tanto sublime che non la può più sopportare: non ode più nulla.

Razionalità e ordine nella cosmologia Dante

La cosmologia dantesca come si vede, con il suo gusto delle rispondenze, dei parallelismi, delle simmetrie, delle proporzioni, per la  sua gerarchica  distribuzione di pene e premi, per il fatto che di tutto protagonista, insieme con Dio, è l’uomo (vivente in terra, dannato all’inferno, espiante nel purgatorio, beato nel paradiso) risponde ad una forte e precisa legge di razionalità.
Dante nei singoli episodi potrà abbandonarsi a motivazioni affettive, a contrasti, a sublimazioni mistiche, ma nel complesso il suo oltremondo è un capolavoro di razionalità, di ordine, di misura, a volte perfino geometrizzante. La legge universale che regola tutto l’universo spirituale e che si traduce, quindi, in principio morale per il mondo umano naturale, è dunque il principio dell’ordine.
Esso significa in primo luogo ordine fisico, cioè collegamento armonico di tutti gli esseri fra loro: e tutti si muovono da Dio, Motore Immobile, a Dio, causa finale. Fra l’assoluta grandezza e altezza di Dio e la limitatezza e bassezza mondana, sta come ponte provvidenziale, l’incarnazione del verbo, che traduce il disegno ordinato e perfetto nella storia degli uomini e nella morale, quindi nella storia di ogni uomo.

La fine del mondo: come avverrà

Il mondo si dissolverà al momento del giudizio universale, il giorno nel quale Cristo verrà nuovamente sulla terra per giudicare  i vivi e i morti.
I corpi risorgeranno e si ricongiungeranno alle anime. Il purgatorio sparirà, mentre rimarranno per l’eternità  il paradiso, sede dei beati, e l’inferno, sede dei dannati.

Con la resurrezione dei corpi cambierà la condizione sia dei dannati sia dei beati. La perfezione dell’uomo risiede infatti nell’unione di anima e corpo; l’anima, separata dal corpo, è meno perfetta dell’insieme. Quando saranno uniti, anima e corpo sentiranno maggiormente il bene, nel paradiso, e il male nell’inferno.

Il paradiso: struttura e ordinamento morale

Terzo e ultimo dei regni oltremondani, il paradiso dantesco si colloca nei cieli e più esattamente nell’Empireo, al di là e al di sopra dei nove cieli del sistema tolemaico; proprio perché è nei cieli si dice anche “celeste” per distinguerlo dal paradiso terreste o Eden: luogo questo assegnato ad Adamo ed Eva prima del peccato e, secondo una certa tradizione, alle  anime dei giusti morti senza peccato; luogo l’altro ritenuto sede di Dio e della corte celeste, costituita dalle schiere degli angeli e da tutti coloro che, superata con l’aiuto della grazia divina la prova dell’impatto con la terra, godono ora della visione beatifica della divinità. Seduti nei seggi circolarmente, sì da dare l’impressione di un’amplissima rosa, bianca, candida perché tutti sono vestiti di bianca stola, i beati si dispongono in diverse file, secondo una gerarchia di meriti, come paladini guerrieri della fede, attorno al loro imperatore, o come frati in un grande coro che, seduti sui seggi disposti a varie altezze, cantano le lodi del Signore che a loro si mostra sull’altare.
L’immagine dominante è quella del cerchio, che è figura geometrica allusiva alla perfezione, alla completezza. A quella del cerchio si aggiunge quella verticale della scala, ad indicare sempre allegoricamente il tema ascensionale che caratterizza le anime nel loro progressivo colmarsi di Dio, impadronendosi di Lui per esaltarsi. Il segno concreto di tale beatitudine fatta di contemplazione e di intima intensa gioia è la luce;  di luce si avvolgono i beati, fino a perdere dentro di essa ogni elemento che richiami la loro figura in terra: sono ora  difatti delle sfere di luce; di luce sono fatti i cieli che vanno dalla luna all’Empireo. La luce è qui metafora della vita spirituale, simbolo dell’immaterialità. Solo nel primo cielo, della luna, le anime conservano ancora deboli linee del loro disegno corporeo; negli altri ogni postilla terrena si dissolve e spegne per dare luogo alla figura della sfera (ancora un simbolo di perfezione). Il paradiso si presenta dunque fortemente unitario, a segnare anche nella sua esteriore compattezza l’unitaria convergenza di tutti i beati e di tutti gli angeli, verso Dio, da cui tutto parte e a cui tutto risale: da Lui tutti derivano ogni momento di letizia e di fervore, a Lui poi ridonano il proprio fervido sentire. Ma la garantita unità anche topografica che tutto il paradiso riduceva all’Empireo andava a scapito della varietà e della molteplicità di situazioni che caratterizzavano i due mondi superati: “un simile paradiso, nella sua unità materiale e spirituale, rendeva impossibile una ricchezza di scene e dialoghi successivi, poeticamente e dottrinalmente interessanti, quali ci offrono le prime due cantiche.
Per farlo Dante avrebbe dovuto rappresentare la reggia di Dio come una vera reggia, con varie sale, corti, giardini. Troppo alto e squisito poeta egli era per poter immaginare di rappresentare sé e Beatrice aggirantisi per le scale del Paradiso a intesser colloqui or con questo or con quello spirito, distraendolo per alcun tempo dalla visione di Dio, e distraendosene egli stesso. D’altra parte questo era un rinunziare alla simmetria con le altre due cantiche, non solo formale, ma sostanziale; ché rinunzia sostanziale sarebbe stato il togliere alla terza cantica il suo carattere di trattato di teologia. A ciò fu rimedio il popolare di anime, con un pretesto qualsiasi, i pianeti che si dovevano attraversare per salire all’Empireo.
E, una volta stabilito di popolare i pianeti, poté sembrare opportuno al poeta immaginare che discendessero in ciascuno quelle anime che ne avevano subito gli influssi, e dare così anche un piccolo saggio di classificazione astrologica (M. Porena, introd. al Commento alla D.C., ed Zanichelli).

Da questa esigenza oltre che dottrinale anche poetica, discese in Dante la creazione di un secondo, momentaneo (durava solo il tempo, brevissimo, della permanenza del poeta e della guida nel cielo che si attraversava) paradiso, quasi perfezione e anticipazione di quello che è il vero paradiso. Le anime, dunque, per dare modo a Dante – creatura terrena e portatrice di tutti i limiti fisici e morali che gli discendevano dalla terrestrità – di poter godere della beatitudine del paradiso, obbedendo ad un ordine del Creatore, mosse da spirito di carità, da una irrefrenabile atto d’amore, scendevano dai gradini occupati nella candida rosa,  nella Luna o in Mercurio o in Giove.
E non a caso: comparivano  nei singoli cieli gli spiriti che durante la permanenza terrena avevano, più profondo e dominante, avvertito il segno di quel cielo. Così nella luna discendevano e a Dante si mostravano e con lui parlavano le anime di coloro che nascendo erano state impresse dall’influenza della Luna e ugualmente avveniva per ogni cielo. Esistono infatti precisi rapporti simbolici fra cieli e virtù e a questi si uniscono in perfetta assonanza le gerarchie angeliche e le arti:

CIELOPOTENZEANIMECOME APPAIONO LE ANIMEARTI
Luna: ispira l’incostanza dei comportamentiAngeli:
proteggono
i singoli uomini
mancarono ai
voti
immagini tenuemente
luminose che conservano tracce di sembianze umane
Grammatica
Mercurio: dona l’amore per la gloria terrenaArcangeli:
incaricati dei
grandi
compiti
spiriti tesi al
conseguimento
della gloria
terrena
spiriti splendenti che cantano e danzano e si celano nel proprio splendoreDialettica
Venere: dona la tendenza all’amorePrincipati: governano le potenze terrenespiriti amantisplendori che si muovono più o meno velocemente a seconda del loro grado di visione di DioRetorica
Sole: rende
sapienti gli
spiriti
Podestà: combattono nella lotta fra Bene e Malespiriti
sapienti
luci che cantano e danzano e formano tre corone concentricheAritmetica
Marte:
influisce sugli
spiriti militanti
Virtù: governano  grandi mutamenti storicicombattenti per la fede e i
martiri
punti luminosi che formano una croce in cui lampeggia CristoMusica
Giove: rende
le anime giuste
e pie
Dominazioni: mediano sulla terra il potere di Dio sul tempospiriti giustisplendori che cantando formano le lettere della scritta DILIGITE IUSTITIAM QUI IUDICATIS TERRAM, poi si raccolgono nella M dell’ultima parola che si trasforma, mentre si aggiungono altre anime in un aquila araldica, simbolo dell’imperoGeometrica
Saturno: ispira il desiderio di raccoglimentoTroni:
mediazione della giustizia
spiriti
contemplativi
Dal cielo di Saturno si alza verso l’Empireo una scala di luce lungo la quale salgono e scendono o si soffermano sui diversi gradini gli splendori delle animeAstronomia
Stelle fisseCherubini: mediazione della sapienza divina tra finito e infinitospiriti
trionfanti
Luci accese dal sole di Cristo; attorno alla più luminosa di esse fa corona di luce cantando l’angelo Gabriele: i beati salgono all’EmpireoFisica e
Metafisica
1° Mobile o
Cristallino
Serafini: mediazione della carità divina tra finito e infinitoi nove cori angelicinove cerchi  luminosi che ruotano a velocità diverse attorno a Dio, che è un punto matematico di grandissima luminositàMorale
EmpireoTutti i beati e tutti gli angeliI beati si presentano come un fiume di luce da cui emergono e in cui si immergono le faville degli angeli; poi lo spettacolo muta e Dante vede le anime disposte a formare un anfiteatro candido per il colore delle vesti delle anime: è la candida rosa, in mezzo a cui, come api, volano gli angeli

Assolto il loro compito le anime ritornavano nel paradiso, a rioccupare il seggio a ciascuna di loro assegnato nella candida rosa. Ma questo dei cieli era un paradiso del tutto funzionale a Dante, alle sue limitate capacità, alle sue necessità poetiche: un paradiso che preparava il pellegrino alla visione unitaria del trionfo della trinità nell’Empireo.
E ternario in corrispondenza con la trinità divina è anche il ritmo delle parti dell’Empireo: anche qui prevale l’allegoria del  tre. Tre difatti sono le persone della Trinità e tre sono i protagonisti dell’Empireo: gli angeli (la moltitudine volante degli angeli), i beati dell’antico e del nuovo testamento raccolti unitariamente, ma con il rispetto della gerarchia, nella candida rosa (‘l convento de le bianche stole) ed infine la divinità (l’alto lume). Tre erano le parti dominanti nell’inferno (antinferno, alto inferno, basso inferno) e nel purgatorio (antipurgatorio, purgatorio, paradiso terreste).
Anche la corrispondenza simmetrica è sempre espressione di una legge che tutto contiene, armonizza, unifica. Di qui l’unico asse che lega tutto l’universo dalla voragine infernale al monte del purgatorio,  e Dio.

Ordinamento morale del Paradiso

“Un ordinamento morale compiuto del paradiso si può dedurre solo dalle apparizioni dei beati nelle sfere celesti, nelle quali essi si mostrano per far conoscere a Dante il loro posto. A tutti loro è comune la beatitudine della vista di Dio, la visio dei, in cui trovano tutti la pace; ma la natura della visione è diversa ed estremamente individuale, per loro come del resto per  le “altre schiere”, gli angeli, poiché essa dipende dalla grazia.
Nessuno è in grado di conoscerlo pienamente, neppure Maria e gli ordini supremi degli angeli; solo egli stesso si vede e si penetra totalmente. La diversa misura della visione procede dalla grazia al cui acquisto il merito è una condizione necessaria, ma da sola non sufficiente; essa è volontaria e supera ogni merito, ma accettarla è meritevole perché conforme alla volontà di accoglierla.

La grazia genera la visione, dalla visione sgorga la misura del celeste fuoco d’amore, della cari¬tas patriae, e questo si manifesta nel grado di luce che irraggia dall’anima.
Per mostrare in forma concreta a sé e ai suoi lettori questo ordinamento estremamente sottile, che in ultima analisi si manifesta con effetti particolari in ogni anima, Dante si rifà alle tradizioni astrologiche della tarda antichità.
Poiché la preparazione all’acquisto della grazia consiste nella virtù, e questa nasce dall’amore terreno di Dio, dalla caritas viae, poiché inoltre questo amore viene determinato nella sua particolare direzione dalla disposizione naturale, cioè dall’influsso delle stelle , e il retto amore , la virtù, è un uso retto e misurato che l’anima rationalis  fa delle sue disposizioni naturali, Dante trovò nel criterio astrologico delle disposizioni naturali un ordinamento del paradiso nel senso della dottrina dell’amore, che conservava la molteplicità de caratteri umani nell’eterna gerarchia del regno di Dio” (E. Auerbach, in Studi su Dante, Milano, 1963).

E si osserva la grande e molteplice strategia che religiosamente muove ogni forza fisica o metafisica proprio in questa compartecipazione estremamente coerente di tutte le forze operanti nel creato ad un destino di ordine che è la legge dell’universo, e di salvezza, che è fine dell’uomo, sia come singolo sia come unità di una società: nello stesso ordine convergono i moti politici, la collaborazione fra due supreme autorità, i libri della Sacra Scrittura, i testi dei mistici e dei teologi, la poesia dei trovatori e degli stilnovisti , il mondo terreno, la vicenda storica. Tutto si colloca davanti a Dio ed ha ugualmente diritto ad essere giudicato, punito, premiato, sublimato; di fronte all’eterno il fatto di cronaca ha lo stesso peso ideale che il grande evento  che investe l’impero. Nello stesso tempo e nello stesso canto si collocano il grande Giustiniano, cui va il merito di aver dato ordine alle leggi e di aver creato il grande codice romano, e l’umile Romeo; che vive alla corte di Provenza ed è protagonista di un modesto fatto di cronaca ed ugualmente si trovano insieme l’imperatrice Costanza e la pudica Piccarda , la cui vicenda poté interessare due o tre famiglie fiorentine.
All’aldilà si lega il mondo terreno, non solo perché lì convergono coloro che si salvano e verso terra si proiettano le influenze celesti, ma anche perché il beato gode della sua condizione di letizia paradisiaca per quello che in terra fece e di sé lasciò come testimonianza: le due vicende, terrena e oltremondana, non sono dunque separabili come pure si legano il finito e l’infinito, il tempo e l’eternità.
E tutto questo, se è chiaramente individuabile nei due regni dell’inferno e del purgatorio, è un momento caratteristico del paradiso. Di qui, nell’ascesa verso l’Empireo, la presenza degli interessi terreni, che si esprime prima di tutto nelle domande che il pellegrino pone su problemi che sono in stretto rapporto con momenti di vita morale e intellettuale. A soddisfare il desiderio conoscitivo di Dante si muovono tutte le anime, caritativamente pronte e sollecite. Da una chiara cono¬scenza e soluzione dei problemi, infatti, dipende anche la felicità degli uomini, la loro possibilità di evitare gli errori e di prepararsi all’ordine del paradiso. Anche per questa ragione – di apertura verso i temi della società – gli incontri di Dante con le anime non hanno carattere di intimità: si parla della decadenza dell’impero e della Chiesa, si inveisce contro  la turpitudine di molti monaci, si lamenta il progressivo deterioramento del costume delle antiche famiglie. La mira è grande ed abbraccia supreme autorità e soprattutto la società perché ritorni ai grandi valori e riedifichi in sé  e negli ordinamenti sociali l’ispirazione che ad essa giunge dai testi sacri.  Anche i mistici, che trovano la loro felicità nel distacco dalle cose terrene e nella visione integrale della divinità sono lì ad indicare che l’uomo, che si inabissa in Dio e rinuncia a se stesso, si conquista nella sua vera ed autentica libertà. Il paradiso è, sotto questo  aspetto, la celebrazione dell’intervento provvidenziale della divinità nella storia di tutta l’umanità, ma è anche il regno dell’assoluto a descrivere il quale Dante si impegna in un compito titanico, in un tentativo di rendere espressivo ciò che teologicamente si dice ineffabile, di dare concretezza ad un mondo fatto di luce.

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