La volontà di potenza - Studentville

La volontà di potenza

Commento dell'opera.

“La volontà  di potenza” è un insieme di scritti nietzscheani raccolti (1901) dalla sorella Elisabeth e dal discepolo e copista Peter Gast, raccolti in modo arbitrario e condizionato dalle simpatie razziste e autoritarie. Tuttavia non è per questo che si può accusare eccessivamente la sorella- parafulmine, sostenendo che Nietzsche non avrebbe mai scritto un’opera così: essa, in linea di massima, rispecchia le idee del filosofo tedesco, se facciamo eccezione per alcune manomissioni di forte sapore nazista. “La volontà  di potenza” può essere considerata come grande summa del pensiero nietzscheano: e le troviamo davvero tutte le sue teorie, dalla volontà  di potenza (che dà  il nome all’opera), all’eterno ritorno, al nichilismo, al binomio apollineo-dionisiaco, al superuomo. La forma predominante è quella, tipicamente nietzscheana, dell’aforisma. Il primo libro si apre con la constatazione che “il nichilismo è davanti alla porta [… ] in una interpretazione determinata, in quella della morale cristiana sta il nichilismo”: è proprio il “tramonto del cristianesimo” che ha aperto la porta al nichilismo, ossia alla perdita di tutti i valori, perfino la nozione di bene e di male. Del resto non poteva perdurare oltre la morale cristiana, morale “che si volge contro il Dio cristiano (il senso della veracità , altamente sviluppato dal cristianesimo, prova nausea di fronte alla falsità  e alla menzogna di tutte le interpretazioni cristiane del mondo e della storia)”. Ecco che ora viene a sostituirsi all’esecrabile morale cristiana la morale secondo la quale tutto è privo di senso, “tutte le interpretazioni del mondo sono false”. Il nichilismo, in altre parole, è la conseguenza dell’interpretazione dei valori dell’esistenza, finora ammessa. Nichilismo significa che “i valori supremi sono svalutati. Manca lo scopo. Manca la risposta alla domanda: dove? “. Ma Nietzsche non si limita a criticare il cristianesimo in tutto e per tutto e gli riconosce qualche merito, ad esempio l’aver per molto tempo fornito all’uomo un valore assoluto, o l’aver fatto apparire il male pieno di significato, o ancora l’aver impedito all’uomo di disprezzarsi come tale: “In summa: la morale fu il grande antidoto contro il nichilismo teorico e pratico”. Il nichilismo stesso, spiega Nietzsche, ha come premessa che non vi sia verità  alcuna, che non esista una assoluta natura delle cose, quelle che Platone chiamava “cose in sò”: si è stati sempre portati a credere che esistessero dei valori (questo è bene, quest’altro no), ma il nichilismo porta a considerare gli uomini stessi come fissatori dei valori. “Il nichilista filosofo è persuaso che tutto ciò che accade è privo di senso e invano”: ma il nichilismo non è altro che un’espressione della decadenza che sta investendo il mondo, una decadenza che ha le sue pesanti conseguenze ( lo scetticismo, il libertinaggio dello spirito, la corruzione dei costume, i metodi di cura psicologici e morali). Ma dire che è espressione, non significa dire che ne è causa: esso è solo la “logica” della decadenza, i cui tipi principali sono la perdita della forza per reagire agli stimoli o lo scambiare la causa con l’effetto il sentire la vita come base del male. Tutti i supremi giudizi di valore finora ammessi sono riconducibili a “giudizi degli esauriti”: si chiamò Dio ciò che indebolisce e l'”uomo buono” è una forma di autodecadenza. Ma Nietzsche si oppone con vigore: “Io insegno a dir no a tutto ciò che rende debole; io insegno a dir sì a tutto ciò che rafforza, che accumula energia, che giustifica il sentimento della forza”: il suo è un volersi opporre ai deboli, agli stanchi di vivere, alle masse che seguono la morale cristiana e socialista (“l’istinto del gregge”). E contro il socialismo, che nell’Ottocento andava sempre più affermandosi, Nietzsche muove un’aspra polemica: ” che altro è se non una balorda incomprensione di quell’ ideale morale cristiano? … ci saranno sempre troppi possidenti perchò il socialismo possa significare altro che un attacco di malattia; e questi possidenti sono come un uomo di una fede: si deve possedere qualche cosa per essere qualche cosa. Ma questo è il più vecchio e il più sano di tutti gli istinti: io aggiungerei: si deve voler avere di più di quanto si ha, per diventare di più… Nella dottrina del socialismo si nasconde malvagiamente una volontà  di negare la vita… “. E non è questo che vuole Nietzsche: nello Zarathustra, egli invitava a restare fedeli alla Terra, non facendosi ingannare da promesse ultraterrene, e anche qui in fondo è lo stesso: occorre amare la vita e la terra, proprio come farà  il superuomo (quando ve ne sarà  uno). Ed emerge l’aristocrazia di cui si fa portavoce il pensatore tedesco, a discapito delle masse democratiche e socialisteggianti: non è nella massa che vanno riposte le speranze, ma nei singoli! Il libro secondo de “La volontà  di potenza” è dedicata alla critica dei valori supremi finora riconosciuti e si apre, come c’era da aspettarsi, con una critica alla religione, come svalutazione dell’uomo, impotente di fronte ad un ipotetico Dio: “Tutta la bellezza e la magnificenza che abbiamo prestato alle cose reali e immaginate, io voglio rivendicarla come proprietà  e opera dell’ uomo: come la sua più bella apologia. L’ uomo come poeta, pensatore, Dio, amore, forza; ammiriamo la sua regale generosità , con cui ha fatto doni alle cose per impoverire se stesso e sentirsi miserabile ! Finora il suo maggiore disinteresse fu questo, che egli ammirò e adorò e seppe nascondere a se stesso che egli stesso aveva creato ciò che ammirava. ” La religione, secondo il filosofo tedesco, nasce per errore ed ignoranza dell’uomo: allo stesso modo in cui ancor oggi esso ritiene che la collera sia la causa del suo adirarsi o che lo spirito sia la causa del suo pensare, così in tempi lontanissimi, a un livello ancora più ingenuo, egli spiegò quei medesimi fenomeni con l’aiuto di entità  divine. L’idea che ogni cosa sia causata da un Dio, non fa che sminuire l’uomo, che finisce per non essere la causa di nulla: la conseguenza è che l’uomo non ha osato attribuire a sò (come era giusto invece fare) ogni avvenimento; ne consegue che per Nietzsche la religione è “il parto mal riuscito di un dubbio sull’unità  della persona [… ] per cui tutto ciò che nell’uomo è grande e forte fu concepito dall’uomo come sovraumano, come estraneo; [… ] la religione ha abbassato il concetto di uomo”. Ma l’invenzione della religione, e se ne accorge anche Marx, può avere anche un’altra funzione oltre a quella di spiegare fenomeni cui non si trova una risposta: è uno dei mezzi con cui “si può fare degli uomini ciò che si vuole: purchò si possegga un eccesso di forze creatrici e si possa imporre la propria volontà  per lunghi periodi di tempo”: sì, perchò si deve avere la forza creatrice per inventare un Dio e la forza materiale per imporlo. Ma Nietzsche, pur aborrendo il Cristianesimo, non può non provare simpatia nella figura del Cristo, non tanto come “uomo della morale”, quanto piuttosto come uomo dal senso di giustizia: e del resto “La Chiesa è esattamente ciò contro cui Gesù predicò e contro cui insegnò ai suoi discepoli a combattere”. La vita esemplare non è quella sostenuta dal Cristianesimo: per Nietzsche, al contrario ( ed è bene aggiungere “al contrario”, visto e considerato l’atteggiamento cristiano nei secoli) “La vita esemplare consiste nell’amore e nell’umiltà ; nella pienezza di cuore, che non esclude nemmeno l’infimo; nel rinunciare completamente al voler avere ragione, a difendersi, a vincere nel senso del trionfo personale; nel credere alla felicità  quaggiù, sulla terra, nonostante la miseria, le avversità  e la morte; nel riconciliarsi con il prossimo, nell’astenersi dalla collera e dal disprezzo; nel non volere ricompense; nel non legarsi a nessuno; nel non avere signori in senso spirituale e più che spirituale; in una vita molto fiera posta sotto il segno della volontà  e di una vita povera e servizievole”. Il cristianesimo per Nietzsche è una “religione per masse volgari”, un cercare di equiparare tutti, un nascondere la superiorità  di certi individui su altri dietro l’usbergo dell’uguaglianza nell’altra vita; l’ideale cristiano, poi, fa sempre presa sui “falliti”, coloro che non riescono ad affermarsi e han bisogno di protezione e di una beatitudine futura: “L’uomo superiore si distingue dall’inferiore per la sua intrepidezza e la sua sfida alla sventura; [… ] il cristianesimo con la sua prospettiva di beatitudine è un modo di pensare tipico di un genere di uomini sofferenti e impoveriti”. La conclusione cui giunge Nietzsche è che il cristianesimo vada abbattuto, ed egli è peraltro convinto (a ragion veduta) che nel secolo venturo (1900) esso si sgretolerà  definitivamente. La seconda critica ai valori supremi è indirizzata alla morale (“per morale intendo un sistema di valutazioni che aderisce alle condizioni di vita di una creatura”): “La costante della storia europea dopo Socrate è il tentativo di ricondurre i valori morali a dominare tutti gli altri valori; e in modo tale che debbano essere guide e giudici non solo della vita, ma anche della conoscenza, delle arti, delle aspirazioni politiche e sociali; [… ] l’intera morale dell’Europa ha per base ciò che giova al gregge: [… ] quanto più una qualità  del gregge appare pericolosa, tanto più sistematicamente ottiene considerazione”. Il problema che si pone Nietzsche è di farci capire che un bene e un male assoluti non ci sono, non sono quelli fissati da Dio (che è morto): egli è consapevole che non tutti possono capirlo e soprattutto non vogliono: il gregge (ossia le masse volgari) non potranno mai afferrare il messaggio nietzscheano: “La mia filosofia è orientata verso la gerarchia: non verso una morale individualistica. Il modo gregario di sentire deve regnare nel gregge, ma non fuori di esso. “. Ma che senso può avere dire ad uno, secondo i dettami della morale, “devi essere così”? “Un uomo quale deve essere: questa frase ci suona tanto sciocca quanto quest’altra: un albero, quale deve essere”. Ma Nietzsche va contro la morale, la ribalta, in lui vi è una trasvalutazione di tutti i valori morali tradizionali: Oggi, quando ogni “l’uomo deve essere così e così” ci strappa una leggera ironia e teniamo per fermo che un uomo, a dispetto di tutto, diventa soltanto quello che è già , nelle cose della morale abbiamo appreso a capovolgere in modo curioso il rapporto di causa ed effetto”. Ma in fin dei conti cosa è nella morale che dà  fastidio a Nietzsche? “La morale sostiene di sapere qualcosa, cioò che cosa sia buono o cattivo. Questo significa voler sapere a quale scopo l’uomo esista, conoscerne la meta, la destinazione. ” Ma Nietzsche muove una critica non solo ai preti e agli uomini “buoni”, ma anche ai filosofi e alle loro superstizioni: il grande bersaglio di Nietzsche è Socrate, che ha introdotto il concetto di uomo virtuoso: ma per il pensatore tedesco un uomo già  per il fatto di essere detto virtuoso, ossia di essere ricondotto ad uno “schema”, è inferiore! Anche Kant viene aspramente criticato, con la sua legge morale. Ne consegue che “I veri filosofi (dei Greci) sono quelli che precedono Socrate… ” e le simpatie di Nietzsche si soffermano sulla figura dello scettico Pirrone di Elide. Pirrone era convinto, da buono scettico, dell’inesistenza di una verità  assoluta: e l’errore dei filosofi sta proprio nell’aver creduto che ve ne fosse una: “Che cosa è verità ? Inerzia, l’ipotesi che ci rende soddisfatti; il minimo dispendio di forza intellettuale”. Ecco allora che, smontata la morale tradizionale, nel terzo libro della “Volontà  di potenza” Nietzsche si ingegna nel porre il principio di una nuova posizione di valori: avvia la sua riflessione sulla “volontà  di potenza come conoscenza”, prendendo i considerazione i metodi finora usati dai filosofi; vi è una radicale critica all’ “io” di Cartesio e Kant: Nietzsche sembra abbracciare le posizioni di Hume, il quale intendeva l’io come “fascio di percezioni”: l’io non esiste, noi siamo solo il punto di incontro di percezioni, un punto di incontro in cui si estrinseca la volontà  di potenza, di dominare sugli altri. E finalmente Nietzsche giunge ad una definizione di verità , o almeno, del criterio con cui raggiungerla: “Il criterio della verità  si trova nell’aumento della sensazione di potenza”. Radicale è la critica al determinismo: “La necessità  non è uno stato di fatto, ma un’interpretazione”. E Nietzsche sembra anche sostenere la tesi dell’inconoscibilità : “Conoscere è un riportare qualcosa a qualcos’altro: è per sua natura un regressus in infinitum. Ciò che si ferma è la pigrizia, la stanchezza”. Ed ecco che subentra in tutta la sua vitalità  la volontà  di potenza: Si deve trasformare la credenza “è così e così” nella volontà  “deve diventare così e così”. E sull’interpretazione del mondo Nietzsche critica il meccanicismo di matrice cartesiana, rifiutando il concetto stesso di atomo. Ma c’è anche una aspra polemica nei confronti di Darwin, che si ritrova anche nel quarto e ultimo libro della Volontà  di potenza, “Disciplina e selezione”: “L’uomo come specie non è in progresso. Si raggiungono bensì tipi superiori, ma non si conservano; [… ] l’uomo come specie non rappresenta un progresso in confronto con qualsiasi altro animale”. Tutto il 4° libro è dedicato appunto alla selezione e alla disciplina: al rapporto tra l’uomo forte e l’uomo debole, tra gli uomini superiori e le masse; sono passi in cui il linguaggio di Nietzsche assurge a toni altisonanti, forti ed intransigenti: “I diritti che un uomo si prende sono proporzionali ai doveri che si impone, ai compiti rispetto a cui si sente all’altezza. La maggioranza degli uomini non ha diritto all’esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori; [… ] quando mancano gli uomini superiori, si rendono semidei o dei i grandi uomini del passato; [… ] la tirannia è un affare da uomini grandi: questi fanno fessi gli uomini dappoco. [… ] nel Teagete di Platone compare la frase: ognuno vorrebbe poter essere il signore di tutti gli uomini, e magari Dio. Questa mentalità  deve tornare ad esistere. [… ] La massima elevazione della consapevolezza della propria forza nell’uomo è ciò che crea il superuomo. “. E torna ancora una volta la contrapposizione tra ciò che è aristocratico e ciò che non lo è, contrapposizione particolarmente cara a Nietzsche. Nel libro quarto, “disciplina e selezione”, Nietzsche mette poi ancora una volta a confronto de due divinità , il Cristo dei Cristiani e il Dioniso dei Greci; lo scetticismo radicale che erode le fondamenta metafisiche e cristiane della cultura occidentale, a parere di Nietzsche, va portato fino in fondo, affinchò l’umanità  sappia creare un “nuovo Dio” che Nietzsche indica in Dioniso, contrapposto non più ad Apollo, come nell’antica Grecia, ma al Crocefisso. Quindi un Dio della natura e della gioia di vivere, nei limiti che la natura concede, contro il Dio della trascendenza e della glorificazione della sofferenza che abita quel “mondo dietro il mondo” che Platone da un lato e il cristianesimo dall’altro hanno inaugurato: “I due tipi: Dioniso e il Crocifisso. Da stabilire: il tipico uomo religioso ò una forma di dòcadence (i grandi innovatori sono, tutti insieme e uno per uno, malati ed epilettici)? Così non lasciamo da parte un tipo dell’uomo religioso, il tipo pagano? Il culto pagano non ò una forma di riconoscenza alla vita e di affermazione della vita? Il suo supremo rappresentante non dovrebbe essere un’apologia e una divinizzazione della vita? Un tipo di spirito ben riuscito e traboccante, estatico… Un tipo di spirito che accoglie in sè le contraddizioni e i problemi della vita, e li redime? Qui io pongo il Dioniso dei Greci: l’affermazione religiosa della vita, della vita intera, non negata nè dimezzata; che l’atto sessuale susciti pensieri di profondità , di mistero, di rispetto, ò tipico. Dioniso contro il Crocifisso: eccovi il contrasto. Non ò una differenza nel martirio: piuttosto, il martirio ha un altro senso. In un caso, la vita stessa, la sua eterna fecondità  e il suo ritornare determina il tormento, la distruzione, la volontà  di annientamento… Nell’altro, la sofferenza, il Crocifisso come innocente, ò un’obiezione contro questa vita, ò la formula della sua condanna. E si capisce: il problema ò quello del senso della sofferenza: o un senso cristiano o un senso tragico. Nel primo caso la sofferenza ò la via che conduce ad un’esistenza beata; nel secondo, si ritiene che l’essere sia abbastanza beato da giustificare anche una sofferenza mostruosa. L’uomo tragico approva anche la sofferenza più aspra: ò abbastanza forte, ricco, divinizzatore per farlo; il cristiano dice di no anche alla sorte più felice che ci sia sulla terra: ed ò abbastanza debole, povero, diseredato per soffrire della vita in ogni sua forma… il Dio in croce ò una maledizione scagliata sulla vita, un dito levato a comandare di liberarsene- Dioniso fatto a pezzi ò una promessa di vita; la vita rinasce in eterno e ritornerà  in patria, tornerà  alla distruzione. ” E nell’ultima parte, dulcis in fundo, il pensatore tedesco ci ripresenta l’eterno ritorno, centrale nella sua filosofia, il “cerchio dell’essere”. E per sopportare il pensiero di un eterno ed infinito ritorno è necessario essere liberi dalla morale, fare una trasmutazione di tutti i valori. “Io voglio insegnare il pensiero che dà  a molti il diritto di sopprimersi-il grande pensiero che seleziona e disciplina”. E celebre per la sua forza espressiva è la chiusura del libro: “E sapete voi che cosa è per me il mondo? Devo mostrarvelo nel mio specchio? Questo mondo è un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità  di energia fissa e bronzea, che non diventa nò più piccola nò più grande, che non si consuma, ma solo si trasforma, che nella sua totalità  è una grandezza invariabile [… ] Questo mio mondo dionisiaco che si crea eternamente, che distrugge eternamente se stesso, questo mondo misterioso di voluttà  ancipiti, questo mio al di là  del bene e del male, senza scopo, a meno che non ci sia uno scopo nella felicità  del ciclo senza volontà , a meno che un anello non dimostri buona volontà  verso di sò, per questo mondo volete un nome? Una soluzione per tutti i suoi enigmi? E una luce anche per voi, i più nascosti, i più forti, i più impavidi, o uomini della mezzanotte? Questo mondo è la volontà  di potenza e nient’altro! E anche voi siete questa volontà  di potenza e nient’altro!”

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