olim vulpes, quam fames vehementer opprimebat, in alta vinea uvam rubentem viderat eamque, summis viribus saliens, appetebat. Cum pluries conatus suos iteravisset, numquam dulcem illum cibum potuit attingere, beluae fames igitur gravior semper erat neque vulpes rationem inveniebat, qua illam placaret. Uvae racemi ante vulpis oculos manebant, proximi iidemque remotissimi, quos ut tangere non potuit, vulpes a vinea maerens discessit exclamans: Nondum sunt maturi, nolo acerbos sumere. Hac fabula vetus ille poeta homines ita monet:Qui verbis elevant quae facere non possunt, hoc exemplum sibi adscribere deberunt.
Versione tradotta
Una volta una volpe, che era oppressa dalla fame, su un'alta vigna aveva visto dell' uva rosseggiante e quella, saltando con tutte le forze, cercava di raggiungerla. Avendo ripetuto più volte i suoi tentativi, non potè raggiungere quel dolce cibo. La fame dell'animale però era sempre più forte e la volpe non trovava una soluzione che la placasse (la fame). I grappoli di uva restavano davanti gli occhi della volpe, vicini ma allo stesso tempo lontanissimi, così siccome non potè toccarli, la volpe scese dalla vigna lamentandosi ed esclamò: "Non sono ancora maturi, non voglio prenderli acerbi". Questa favola ammonisce così gli uomini: Coloro che con le parole sminuiscono ciò che non possono fare, devono attribuire questo esempio a se stessi.
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