L'abbigliamento maschile - Studentville

L'abbigliamento maschile

Su di una specie di camicia di lino piuttosto corta e a diretto contatto con la pelle, il romano infila la “tunica”, ossia una veste di lana formata da due pezzi di stoffa cuciti insieme e tenuta stretta intorno al corpo da una cintura piuttosto bassa sui fianchi; la tunica cade in modo ineguale: fin sul ginocchio davanti, un po’ più lunga dietro. Le maniche o mancano del tutto o non arrivano all’altezza del gomito; solo gli effeminati usano tuniche lunghe fino alla caviglia, senza cintura e con maniche fino ai polsi, il che è considerato, almeno nell’età repubblicana e nei primi secoli dell’Impero cosa assai riprovevole.
La tunica è la veste che si indossa nell’intimità della casa, in campagna, in provincia ; è la veste che usa la gente che lavora, perché è semplice e pratica.
Quando fa freddo si mettono due o più tuniche l’una sull’altra.
Ornamento più comune della tunica è una striscia di porpora che serve a determinare l’ordine o la
classe sociale cui si appartiene: quella dei senatori è molto larga, più ridotta quella dei cavalieri.
Vi è poi la tunica “palmata” adorna di splendidi ricami che indossano i generali vincitori durante il trionfo.
Il cittadino romano prima di uscire di casa si avvolge nella “toga”: è questo l’abito ufficiale dei romani, inseparabile da tutte le manifestazioni della loro attività civica.
La toga è stata usata fin dai tempi antichissimi; essa costituisce il costume nazionale e distintivo dei romani.
La toga è un manto di lana bianca pesante, tutto di un pezzo; le sue dimensioni e il modo con cui si avvolge intorno al corpo hanno subito vari mutamenti attraverso i secoli.
Alle origini doveva essere una specie di coperta di forma quadrata che si gettava semplicemente sulle spalle; poi, con il passare del tempo, quel manto fu tagliato in modo da permettere un drappeggio menu rudimentale.
Intorno al terzo secolo a.C. la forma che la toga ha assunto è grossomodo quella di un trapezio con i lati arrotondati.
Nell’età di Augusto è di moda una toga molto ampia tagliata a forma di ellisse, che avvolge il corpo con una sapiente drappeggiatura, lasciando libero il braccio destro.
Mettersi addosso la toga in modo che cada bene, che avvolga armoniosamente il corpo, richiede una notevole abilità; chi può si fa aiutare da uno schiavo che ha provveduto fin dalla sera prima a preparare l’abito disponendo in ordine le pieghe; gli altri si arrangiano da soli, ma talvolta non possono evitare che la toga, come dice Orazio, cada male, esponendo chi la porta ai commenti maligni del prossimo.
Bello e dignitoso è questo abito, ma assai poco pratico: quando si cammina, quando si gesticola, quando ci si fa largo nelle vie e nelle piazze formicolanti di gente, è difficile mantenerlo composto ed in bell’ordine! E inoltre, quanti lavaggi sono necessari per conservare il suo candore immacolato! La lana a furia di lavarla, si rovina…
Poiché la toga è veramente poco pratica, non c’è da stupirsi se i Romani cercano di limitarne l’uso alle situazioni in cui è strettamente indispensabile e se, con il passare del tempo, vanno via via sostituendola con manti più semplici e più comodi, alcuni dei quali, si possono indossare anche sulla toga, quando fa freddo. Così, soprattutto nell’età imperiale il cittadini romani comincia ad usare il “pallium”, una sopravveste più corta, meno ampia della toga e che perciò non impaccia i movimenti. Quando ci si mette in viaggio, o in città quando fa molto freddo, si indossa sopra la tunica una specie di blusa interamente chiusa davanti, fornita di cappuccio, che si infila passando la testa attraverso una apertura centrale.
Esaminiamo ora gli altri elementi che completano l’abbigliamento maschile: scarpe e capelli.
Quando il romano indossa la toga o esce in pubblico, porta i “calcei”, stivaletti alti fin quasi al polpaccio che coprono interamente il piede; neri sono i calcei dei senatori, rossi quelli dei patrizi generalmente i romani vanno a capo scoperto; solo quando si mettono in viaggio o a teatro quando stanno lunghe ore fermi al sole, si riparano con un cappello di feltro a larghe tese annodato sotto il mento o sulla nuca che si chiama “petasus”.

L’unico ornamento che gli uomini usano sono gli anelli. Nell’età imperiale si diffonde la consuetudine di portare anelli esclusivamente come ornamento; certi tipi stravaganti giungono al punto di metterne uno ad ogni dito e persino parecchi allo stesso dito; altri più bizzarri ancora sfoggiano anelli “d’estate” e anelli “d’inverno”…

[P]Barba e capelli[/P]

Prima di uscire di casa il cittadino romano dedica pochissimo tempo alla cura della propria persona: siccome al pomeriggio farà il bagno alle Terme, oppure in casa sua, al mattino si limita a lavarsi il viso e le mani nell’acqua fresca. Così, dopo che ha consumato una rapida colazione consistente in cibi leggeri quali pane, formaggio, miele, datteri, può uscire e dedicarsi alle sue occupazioni.
Nel corso della mattinata egli farà certamente una sosta nella bottega del barbiere.
Nei tempi antichissimi, i Romani si lasciavano crescere liberamente barba e capelli.
Quando si diffuse l’influenza del mondo greco cominciò a farsi sentire nei costumi e nelle usanze, si diffuse tra i Romani la consuetudine di tagliarsi i capelli e radersi le guance. Soltanto in segno di lutto o in occasioni di calamità e sventure che colpivano la città, i cittadini tralasciavano per qualche tempo di tagliarsi capelli e barba.
I giovani aspettavano che la barba diventasse bella folta, allora si sottoponevano per la prima volta all’opera del barbiere e l’avvenimento veniva festeggiato in modo solenne. Assumeva infatti il carattere di una cerimonia sacra: la barba deposta in una pisside d’oro, di vetro, o in un vaso di semplice fattura veniva offerta come primizia agli dei; in casa del giovane si faceva gran festa, si invitavano gli amici si scambiavano doni.
La bottega di un barbiere dall’alba fino alle prime ore del pomeriggio è un continuo via vai di gente:
chi si siede sulle panche che circondano la bottega, chi si rimira negli specchi appesi al muro, chi si ferma ad oziare, a pettegolare, a raccontare le ultime novità.
All’interno avvolto in un accappatoio di mussola o di lino, oppure protetto da un asciugamano intorno al collo, sta il cliente di turno seduto su di uno sgabello; intorno a lui si affaccendano il barbiere e i suoi aiutanti.
Gli strumenti che vediamo nelle loro mani(forbici e rasoio) ci danno un’idea della difficoltà dell’impresa.
Poiché nessuna testimonianza accenna ad una qualche operazione preliminare per lubrificare la pelle con olio o con altre sostanze emollienti, è probabile che il barbiere si limitasse a passare sul viso del cliente un po’ d’acqua, prima di cominciare il suo lavoro.
Chi non aveva il tempo di far lunghe sedute dal barbiere poteva ricorrere ad un altro sistema: si faceva strofinare la faccia con uno dei tanti linimenti depilatori. Si tratta di unguenti a base di resina e di pece, oppure di grasso d’asino o fiele di capra, o sangue di pipistrello, bava di rana, polvere di vipera…
Sulla loro efficacia non possiamo pronunciarci, sappiamo soltanto che l’autore consiglia in ogni caso di far ricorso anche alle pinzette per strappare i peli ribelli della barba: i due sistemi combinati
Insieme dovevano pur dare qualche risultato ed erano probabilmente preferibili al supplizio del rasoio. Ognuno si arrangiava come poteva; vi era persino chi usava in una sola volta, sulla propria faccia, tutti e tre gli strumenti del barbiere: forbici rasoio e pinzette.
Il barbiere ha anche il compito di tagliare o arricciare i capelli; la grande maggioranza dei romani usa portarli né troppo lunghi, né troppo corti; solo la gente di campagna e gli schiavi di fatica si fanno rasare; gli schiavi di lusso ed i giovinetti liberi portano lunghi capelli ondulati sulle spalle.
Naturalmente accanto ai comuni mortali che si accontentano di un taglio e di un colpo di pettine non mancano nella variopinta società romana quelli che noi oggi chiameremmo “gagà”: bellimbusti dalle chiome arricciate e abbondantemente profumate con oli e balsami vari.
Sono passati molti secoli e i costumi sono mutati; eppure, come ci appaiono vivi e attuali i “gagà” del mondo romano, con le loro ridicole pose e la loro eleganza di dubbio gusto!
Il barbiere deve cercare di accontentare sempre il cliente: gli elegantoni vogliono la pettinatura all’ultima moda; coloro che hanno i capelli grigi e bianchi vogliono illudersi di essere ancora giovani e allora bisogna ricorrere alla tintura; quelli che sono calvi o quasi calvi, devono essere aiutati a nascondere i danni che il tempo ha provocato, con risultati talvolta piuttosto ridicoli.
Quello del barbiere è un mestiere assai redditizio; chi è particolarmente abile può arricchire facilmente, come ci dimostrano gli accenni nelle opere di Marziale e di Giovenale alla rapida ascesa di tanti barbieri, divenuti ricchi proprietari di fondi, o entrati nell’ordine dei cavalieri.

Qualcuno salito in gran fama per la sua perizia ha persino l’onore di essere celebrato dai poeti.

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