Al centro del sistema elaborato da Gentile sta il presupposto che ‘ la realtà non ò pensabile se non in relazione coll’attività pensante per cui ò pensabile ‘ e che il pensare ò essenzialmente attività : su questa base, Gentile distingue tra pensiero astratto e pensiero concreto e identifica il pensiero concreto con il pensare in atto. Infatti, nulla esiste propriamente se non nell’atto in cui viene pensato: in questo senso, Gentile definisce attualismo la sua posizione filosofica o anche idealismo attuale o spiritualismo attuale. ‘ La forma più rigorosa di questo spiritualismo moderno ò quella a cui ò oggi pervenuto lâidealismo italiano, e che si dice “attualismo”, perchè lo spirito non concepisce come una sostanza, nè il pensiero come attributo di una sostanza; ma lo spirito fa coincidere appunto col pensiero. [… ]La filosofia attualistica ò così denominata dal metodo che propugna: che si potrebbe definire “metodo della immanenza assoluta”, profondamente diversa dalla immanenza, di cui si parla in altre filosofie, antiche e moderne, e anche contemporanee. Alle quali tutte manca il concetto della soggettività irriducibile della realtà , a cui si fa immanente il principio o misura della realtà stessa. [… ] Ma lâindividuo naturale per la filosofia attualistica ò esso stesso qualche cosa di trascendente: perchè in concreto non ò concepibile fuori di quel rapporto, in cui esso, oggetto di esperienza, ò indissolubilmente congiunto col soggetto di questa, nellâatto del pensiero mediante il quale lâesperienza si realizza ‘ (Introduzione alla filosofia). Il pensiero che non ò attuale, cioò non ò in atto, non ò più nostro, ma diventa qualcosa di pensato. Nel momento in cui l’atto del pensiero ò concepito come già compiuto, cioò come un fatto, esso non ò più propriamente atto; il pensare, invece, ò ‘atto in atto’ e, in quanto tale, ò inoggettivabile. Il pensiero pensante, in quanto attività , non ò considerabile come un oggetto, perchò si troverebbe fissato e irrigidito, non sarebbe più in atto: esso ò pura attività , che ò solo in quanto ‘ si viene facendo ‘. Sotto questo profilo, si può dire che non esistono fatti spirituali, ma solo atti, anzi, più precisamente, solo l’atto dello spirito che, nel pensare, pone perennemente se stesso. In questo senso, Gentile lo definisce autoctisi (dal greco autos, ‘se stesso’, e ktizein, ‘fondare’, ‘creare’) e pertanto non dipende da presupposto alcuno, nulla lo precede nò lo trascende: ò atto puro e assoluta immanenza del pensiero a se stesso. L’errore fondamentale che Gentile imputa alla tradizione filosofica che va da Platone ad Hegel fino a Croce ò quello di cercare il pensiero e, dunque, la realtà che dipende dal pensiero, ‘ fuori dell’atto del pensiero ‘. Alla base di questo errore vi ò quello che, in opposizione al suo metodo dell’immanenza, Gentile definisce metodo della trascendenza, che consiste nel porre qualcosa di altro rispetto al pensiero in atto. La filosofia degli antichi considerava il pensiero stesso come oggetto, invece che come atto, e studiava le relazioni tra i concetti come se si trattasse di oggetti dati: questo ò l’oggettivismo degli antichi, nei quali la dialettica si configurava come dialettica del pensato. Per illustrare questa posizione, Gentile usa anche l’espressione logo astratto: esso ò attento solo alla molteplicità e particolarità dei concetti e delle cose, anzichò all’unità dell’atto pensante, e concepisce la verità come già predeterminata dall’eternità , cosicchò la conoscenza consiste, per esso, solo nel contemplare e rispecchiare questo mondo già dato. Ad esso sfugge, così, che la verità ò legata al tempo, ò figlia di esso, ò svolgimento e progresso: la storia per Gentile ò rimasta estranea al pensiero degli antichi. Invece Kant ha avuto il merito di mettere in evidenza che il soggetto non ò un dato, ma una funzione, un’operazione; il suo limite ò però consistito nel considerare fisse e prestabilite le categorie: in quanto tali, anch’esse rientrano nella dialettica del pensato. Hegel in persona aveva sbagliato nel cercare una dialettica oggettiva della natura e della storia, fissandone tappe e momenti come risultati e prodotti del pensiero e dell’attività umana. Ed anche nella logica aveva preso come punto di partenza l’essere vuoto e indeterminato per dedurne il divenire, invece di partire dall’atto del pensiero. Spaventa aveva invece scorto la strada giusta, riconoscendo che l’essere ò atto di pensare; su questo presupposto, Gentile ò del parere di poter operare una riforma della dialettica hegeliana, riconoscendo l’unica autentica dialettica nella dialettica del pensare, per la quale l’essere di partenza ò il pensiero pensante, non il pensiero pensato, come avviene invece nella dialettica del pensato. Infatti essa, battezzata da Croce con il nome di logo concreto, non conosce un mondo che già sussista come un dato fisso e irrigidito, indipendente dall’atto del pensiero, cosicchò la verità , come già diceva Vico a suo tempo, non ò un fatto, ma un farsi, essa ò cioò svolgimento. Per svilupparsi e divenire bisogna però che si instauri una dialettica tra pensiero pensante e pensiero pensato, proprio come al fuoco ò continuamente necessario nuovo combustibile per evitare che si estingua. Per far luce su questo punto, Gentile si riaggancia a considerazioni e tematiche già trattate da Fichte, ancora più che da Hegel. Il pensiero in atto non ò limitato da qualcosa di esterno, che gli pre’esista o lo trascenda e così può derivare il combustibile indispensabile per la sua incessante attività solamente da se stesso, cioò negandosi: questo vuol dire creare e porre l’altro da sò, il pensiero fissato nella sua astrattezza come altro dal pensiero che lo pensa. Gentile definisce fatto o natura quel che ò altro dall’atto del pensiero, ma ò posto dal pensiero stesso. La natura ò il pensiero astratto, che fu concreto, risultato dell’attività spazializzatrice e temporalizzatrice del pensiero, il quale ò fissato come un fatto a sò stante, indipendente dal pensiero stesso. Ma in qualità di pensiero non attuale, ma pensiero pensato come altro dal pensiero in atto, la natura ò errore, un momento continuamente superato nell’atto del pensare: l’errore, infatti, nel momento medesimo in cui ò pensato, e quindi riconosciuto come errore, ò di fatto già superato; la conoscenza dell’errore ò infatti verità , cioò la conoscenza ò, proprio in quanto conoscenza, sempre vera. Il soggetto del pensiero e della conoscenza non ò l’io empirico, che ò un dato, ma l’atto stesso del pensare, che Gentile definisce Io trascendentale, non trasformabile in un dato o in un fatto, se non diventando pensiero pensato e non più pensante. L’Io trascendentale, ossia il soggetto unico e unificatore, non ò quindi un essere o uno stato, ma un processo costruttivo. Per esso niente ò già fatto, ma tutto ò sempre da fare: propriamente, quindi, non si può dire che lo spirito o l’Io trascendentale ò, in quanto non ò una sostanza. Se fosse delimitato o ristretto ad essere una sostanza, lo spirito diventerebbe un dato, cioò un pensiero pensato sottratto alla soggettività e contrapposto all’io stesso, cioò diventerebbe natura. Ma se non li si considera come puri fatti, tutti gli atti del pensiero, guardati dall’interno, sono un atto solo: sotto questo profilo, Gentile può a ragion veduta parlare dell’ unità dello spirito e dell’Io trascendentale, in contrapposizione alla molteplicità degli io empirici e delle cose. Nell’atto del pensare, questa molteplicità , posta come altro dall’io dall’io stesso, cioò come fatto o natura, viene riassorbita nella sua unità . A fondamento di questa concezione c’ò una precisa dottrina gnoseologica, secondo la quale ‘ conoscere ò identificare, superare l’alterità come tale ‘: nel momento in cui qualcosa ò conosciuto, esso non può esistere fuori ed essere altro dal soggetto trascendentale che lo conosce e viene, dunque, a far tutt’uno con esso. Il ragionamento di cui si avvale Gentile a proposito degli altri come distinti dall’io ò identico a quello che viene impiegato a proposito dell’errore: nel momento in cui l’altro ò pensato e, dunque, riconosciuto come tale, esso viene posto entro l’atto del pensare e, quindi, superato in quanto altro; ad essere precisi, non si può più parlare dell’esistenza dell’altro. Le conseguenze di questa impostazione affiorano in modo evidente nella concezione di Gentile del pensiero educativo: l’educazione ò un processo di autoeducazione, tramite il quale si realizza l’unità , nel soggetto trascendentale, di maestro e allievo. Rispetto a questo perdono importanza gli accorgimenti meramente esteriori forniti da tecniche didattiche o conoscenze psicologiche e così via, le quali presuppongono una relazione di alterità fra i protagonisti del processo educativo. L’educazione viene invece concepita come un potente veicolo di coesione e unificazione delle individualità empiriche, in modo tale da portare alla formazione di un unico spirito. Queste concezioni educative si prestano anche ad un impiego politico, indicando nell’educazione lo strumento in grado di portare gli individui a trovare la loro propria vera identità nella superiore unità dello Stato; e così Gentile può affermare che ‘ lo Stato ò tutto e l’individuo nulla ‘.
- Filosofia
- Filosofia - 1900