Il poeta G. Pascoli (1855-1912) si ispira alle Bucoliche di Virgilio per dare una chiave di lettura valida per “Myricae”, una raccolta di vicende semplici e quotidiane, come il ciclo delle stagioni, la vita domestica, gli amori delle ragazze.
Appartiene a questa raccolta “Lavandare”. Il tema fondamentale tratto dal poeta è la solitudine evidenziata da un paesaggio autunnale e triste dove gli elementi della natura vengono paragonati alle persone (una donna sola e abbandonata).
Nella prima strofa il poeta descrive un aratro diverso dal consueto, poiché privo di buoi, fermo in mezzo a un campo arato a metà, che sembra dimenticato da tutti in mezzo alla nebbia.
Nella seconda strofa il poeta mette in risalto i suoni caratteristici di questo scenario. Ciò che si sente è il lungo sciabordare delle lavandaie e i tonfi frequenti dei panni nell’acqua accompagnati da lunghe cantilene.
Nella terza strofa vengono esaminati contemporaneamente suoni ed immagini. Al rumore dell’acqua, ai tonfi frequenti e alle lunghe cantilene si aggiunge il vento che soffia, lo scenario, inoltre, è arricchito dalla caduta delle foglie simili a fiocchi di neve. E mentre il tempo scorre inesorabilmente si avverte la sensazione di qualcuno che ha abbandonato la propria moglie proprio come i contadini hanno abbandonato l’aratro in mezzo al campo.
Il titolo della poesia “Lavandare” crea una situazione di semplicità e verismo poiché descrive una realtà quotidiana. Nell’ultimo verso le parole chiave, che rievocano l’idea di solitudine e di abbandono sono “dimenticato”e “vapore leggero” , ma l’aspetto più importante è l’immagine dell’aratro che apre e chiude la poesia. Nell’ultima strofa il poeta crea una similitudine della donna e l’abbandono dell’aratro, entrambi accomunati dalla legge universale.
Il metro usato è il madrigale formato da due terzine e una quartina di endecasillabi. Le figure retoriche utilizzate sono le enjambements. Nel corso del componimento egli adotta un lessico semplice, quotidiano e comprensibile.
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