Il primo tentativo di unificare l’Europa risale all’Impero Romano quando, il popolo che allora era il più potente del mondo, unificò sotto il suo potere tutti i territori che oggi appartengono all’Europa. In seguito l’idea di unificazione venne ripresa prima nel Medioevo, e successivamente nel 1600 da filosofi come Montesquieu e Kant. Dopo il tentativo fallito di Napoleone di sottomettere i territori europei al suo potere, furono Saint Simon, Mazzini e Prudhomme ad avanzare delle proposte federaliste prima che Coudenhove e Briand al termine della prima guerra mondiale, ideassero il concetto di Paneuropa, ovvero una federazione tra Stati Europei. In tempi relativamente recenti si giunse alla formazione (1949) del Consiglio d’Europa grazie alla volontà di intellettuali come Spinelli e politici come De Gasperi, Schumann … Nel 1999 undici stati membri della vecchia Unione Europea diedero vita ad un nuovo organismo internazionale, adottando una moneta unica: l’Euro. Anche se probabilmente l’odierna Unione Europea non rispecchia in tutto le idee di Mazzini e degli altri filosofi, perché eccessivamente fondata sull’aspetto economico, essa permette la libera circolazione dei cittadini, ampliando così le scelte lavorative dei giovani. Al giorno d’oggi sperare di trovare un buon lavoro in Italia è quasi impossibile. I ruoli di maggiore prestigio, infatti, sono ricoperti, da tanti anni, dalle stesse persone, impedendo ai giovani di fare le dovute esperienze. Inoltre con la legge Biagi i giovani sono sempre meno tutelati, e così un laureato pur di entrare nel mondo del lavoro, è costretto ad accettare un contratto a breve termine, o a volte anche in nero, guadagnando una cifra irrisoria e lavorando tante ore, senza neppure avere la certezza che, una volta finito il periodo di prova, il contratto gli viene rinnovato. È indubbio che in Italia ci siano personalità in grado di emergere a livello internazionale, ma è vero anche che non si fa nulla per trattenere nel nostro paese questi giovani con tante idee per il futuro. Oramai, siamo cittadini del mondo, per cui dobbiamo essere sempre pronti ad un possibile lavoro all’estero, il lato negativo è che il lavoro fuori della propria nazione non rappresenta un’alternativa ma una necessità. Per questo motivo frequentare, nei giusti tempi di studio, una buona università, e conoscere almeno due lingue straniere, oggi è di fondamentale importanza. Il lavoro, si sa, manca, per questo i giovani espatriano per vivere attivamente la loro vita lavorativa, per non aspettare che il lavoro bussi alle loro porte, ma per aggredire la società moderna e, magari, per crearsi un’attività. Già, perché se il lavoro manca non deve però mancare la voglia di lavorare né l’ambizione. Tuttavia anche le università con le loro aule caotiche e i pochi fondi a disposizione per espandere gli orizzonti e le possibilità degli studenti, concorrono a convincere i giovani a puntare su un paese che crede in loro. In breve, vi è una sorta di ostracismo nei confronti dei giovani. Se l’esilio è volontario, deciso cioè non per cause esterne, il lavoro all’estero può essere un’ottima scelta, utile anche per fare esperienza. Inoltre in questo caso un eventuale lavoro all’estero, unito ad una buona conoscenza della lingua, rappresenta un vantaggio anche qualora il giovane decide di tornare nella propria nazione. In questo modo le esperienze all’estero rappresenterebbero un eccellente cv, e quindi la quasi certezza di ottenere un posto di lavoro. Da un punto di vista personale, il lavoro all’estero sarebbe un’ottima esperienza, non un’alternativa obbligatoria alla difficoltà di occupazione italiana. Riguardo questo punto, ci viene da pensare agli italiani militari impegnati in missioni di pace, giovani che non trovando lavoro hanno deciso di rischiare la propria vita pur di portare a casa uno stipendio, per non sentirsi persi o falliti. Sappiamo però, che troppe volte nelle loro case, oltre al loro stipendio, è arrivata anche la notizia della morte. In sintesi il lavoro all’estero non è sempre una fuga, può invece rappresentare la volontà di affermare se stessi e la propria nazione in uno scenario lavorativo mondiale.
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