I saggi raccolti in questo volume hanno come filo conduttore il concetto di differenza. Il significato di tale nozione verrà esplicato in prossimità delle ultime battute del testo, come a conclusione di un lungo viaggio ove tutte le tappe precedenti acquisiscono senso in prossimità della meta. Ed ò solo allora che le parole di Jaques Derrida, pronunciate durante un convegno del 1968 su La Diffèrance “â¦che sembrò allora un vero e proprio manifesto del pensiero della differenza”, dice Vattimo, esprimono esplicitamente il concetto cardine che ha guidato sino alla fine il lavoro dell’autore. Vattimo esprime così la posizione di Derrida: ” per Derrida pensiero della differenza significa proprio, anzitutto, riconoscere che non c’ò mai stata e non ci sarà mai una parola unica perchè la differenza ò prima di tutto. In principio era la traccia, potremmo dire riassumendo in una frase la posizione di Derrida. Traccia, dunque, e mai una presenza a cui la traccia si riporti; le differenze che strutturano il campo dell’esperienza umana hanno origine già da una differenza, che ò insieme divergenza e differimento indefinito, nel quale si dà già sempre la traccia e mai alcun originale “. La differenza intesa, quindi, come contrapposizione alla coincidenza; al coincidere di soggetto ed oggetto, di essere ed ente. Più semplicemente, lo scarto tra conoscenza ed effettivo essere. Le figure che dominano il cammino delle tre sezioni della raccolta sono Nietzsche ed Heidegger, qua e là brevemente affiancati da altri pensatori che ne delineano, attraverso il confronto delle teorie, la riflessione. Il sottotitolo (che recita Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger ) preannuncia infatti un confronto quasi sinottico di due visioni, che si protrarrà per tutti i capitoli: la Metafisica “forte” e la Metafisica “debole”; la prima che poggia l’oggetto, l’ente, anche fisicamente inteso, sul piedistallo dell’Idea (termine che va al di là di ogni connotazione temporale o nominale), analizzandone con occhio scientifico ogni aspetto e traducendolo in categorie; la seconda, che le si oppone, rivendica il valore della differenza tra ente ed essenza. Della differenza, appunto. Nella prima sezione i due “protagonisti” vengono posti a confronto, sul campo dell’interpretazione della storia, con la concezione ermeneutica di Hans-Georg Gadamer: come si può leggere ed interpretare la storia? Lo scopo del capitolo ò di fornire un parallelo tra due concezioni che rispecchino altrettanti approcci diversi (ed approdino ad altrettante diverse conclusioni) nell’interpretazione del reale in generale e del linguaggio in particolare. In primo luogo viene così chiarito il significato che Nietzsche attribuisce a malattia storica: ” Nietzsche parla di malattia storica anzitutto per sottolineare che l’eccesso di consapevolezza storiografica che egli vede come caratteristico del XIX secolo ò anche, indiscutibilmente, incapacità di creare nuova storia “, dice Vattimo. Secondo Nietzsche durante il XIX secolo la storiografia tese ad appropriarsi degli strumenti della scienza e non fu più in grado da quel momento di lasciare che ne scaturisse la vita e che la vita creasse nuova storia. ” Il tipo di creatività e di produttività storica che Nietzsche tenta di descrivere ò piuttosto caratterizzato da un equilibrio tra incoscienza e consapevolezza, tra puro rispondere alle esigenze della vita e riflessione obiettiva “. Fu in grado Gadamer di restituire con l’ ontologia ermeneutica “libertà di espressione” alla storia? Tale concezione, il cui filone maestro, come ricorda Vattimo, ” parte da Heidegger, soprattutto lo Heidegger delle ultime opere, e trova sistemazione in ‘Verità e Metodo’ di Hans-Georg Gadamer (â¦) ” si basa sul circolo ermeneutico e cioò sulla tesi che afferma la reciproca appartenenza di soggetto ed oggetto dell’interpretazione ad un unico orizzonte (da qui la nota espressione “fusione di orizzonti”). L’ontologia ermeneutica rifiuta, come le parole di Nietzsche sopra riportate, una conoscenza storica di tipo oggettivo (inteso nella valenza datagli dalle scienze positive) allargando tale convinzione anche al pensiero metafisico che riduca l’ente ad oggetto. La teoria gadameriana ritiene che ” (â¦) ogni tipo di conoscenza e di esperienza della verità ò ermeneutica. Tale generalizzazione, però, implica anche la generalizzazione del carattere linguistico a ogni esperienza e conoscenza “. Ne scaturisce una conoscenza storica che, avendo come presupposto l’identità di essere e linguaggio, nel suo attuarsi incrementa l’essere stesso della storia nel momento in cui la interpreta. Ma tale “fusione di orizzonti” non riesce, secondo l’autore, a rispondere alle esigenze nietzscheane: ” questo modo di procedere, scoprendo la ‘vera’ e ‘già presente’ struttura della conoscenza storica, e poi di ogni esperienza e della stessa esistenza in quanto esistere nell’essere che ò linguaggio, somiglia troppo a una nuova ‘teoria’ metafisica per corrispondere non solo alle esigenze fatte valere da Nietzsche, ma anche per corrispondere allo spirito della meditazione heideggeriana, alla quale più esplicitamente si ricollega “. Il metodo con cui verrà tracciato il percorso di questa raccolta di saggi ò stata data, qui, in modo esemplificativo: i capitoli successivi ripercorreranno lo stesso andamento schematico e perseguiranno, sotto differenti strutture espositive, lo stesso obiettivo. Il concetto di differenza, trattato in ogni singolo saggio, riemerge di volta in volta con il medesimo taglio: così in “tramonto del soggetto e problema della testimonianza” il significato stesso del termine ‘testimonianza’ assume i connotati interpretativi appena trattati. La testimonianza, che per l’esistenzialismo, a partire da Kierkegaard, fu considerata come simbolo dell’ ” (â¦) irripetibile esistenza del singolo, il suo peculiare e individualissimo rapporto con la verità (â¦) “, per Nietzsche ò tutt’altro: ” il sangue ò il peggior testimone della verità “, come disse Zarathustra. La supremazia della coscienza individuale sul soggetto, che determina la prima concezione, viene negata da Nietszche e da lui sostituita da un insieme di strati diversi, pulsioni, passioni, che lottando fra loro determinano equilibri sempre provvisori. Un confronto, questo, che attirerà implicazioni di carattere psicoanalitico cui Vattimo accenna ma che in questa sede prenderebbero troppo spazio. ” La nozione di testimonianza ” conclude Vattimo ” e più in generale il significato dell’azione storica dell’uomo a cui essa ò legata, può ritrovare un senso, dopo il tramonto del soggetto, solo nella misura in cui riesce a liberarsi da ogni residuo obiettivistico nella concezione dell’essere e, parallelamente, si rinuncia a pensare l’individuo borghese-cristiano come unico possibile soggetto della storia e centro di iniziativa “. Con Le avventure della differenza, saggio da cui proviene il titolo della raccolta, chiudiamo questa nostra sintesi. In questa sezione Vattimo vuole esprimere il senso che per Heidegger ha la nozione di differenza. ” Heidegger nel suo sforzo di pensare al differenza ontologica, ò mosso dalla nostalgia di un rapporto con l’essere diverso da quello dell’oblio che caratterizza il pensiero metafisico (â¦) Il termine che Heidegger adopera più costantemente per indicare questo tipo di pensiero ò An-denken. An- denken significa soprattutto ricordo, memoria, rimemorazione. An-denken ò il pensiero che, in quanto ricorda la differenza, ricorda l’essere “. Il soggetto, la persona ò “gettata nel mondo” (servendoci di una tipica espressione heideggeriana) e quindi la finitezza del suo stato deve riverberarsi nel metodo con cui viene a costruirsi la speculazione ontologica: ” l’importanza che l’ermeneutica ha già in Sein und Zeit e che acquista sempre più nelle opere successive, indica con sufficiente chiarezza in che senso si sviluppi lo sforzo di Heidegger verso un pensiero che rammemori l’essere e la differenza: (â¦) ò il pensiero rammemorante che può sostituirsi alla metafisica e alla sua pretesa di definire una volta per tutte le strutture dell’essere “. Pensare l’essere ricordandolo, ma nel senso di avere sempre coscienza della sua lontananza. Per avvicinarsi all’essere ò necessario assumere l’atteggiamento di chi prende le distanze per meglio osservare: di chi ascolta.
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- Filosofia - 1900