La parola “progresso”, in questi ultimi tempi, viene utilizzata quotidianamente. Si parla di scoperte in campo medico, scientifico, tecnologico e i fatti dimostrano che, oggi, la nostra società, da questo punto di vista, ha compiuto dei grandi miglioramenti.
Paradossalmente c’è chi associa ai risultati ottenuti dai ricercatori una profonda inquietudine. Se da una parte, infatti, le condizioni igienico-sanitarie, la prevenzione, farmaci e terapie assicurano a noi tutti un benessere maggiore, dall’altra è evidente la tendenza a superare i limiti imposti dalle leggi che regolano la natura.
La scienza non sempre è impiegata in giuste cause: lo dimostra, per antonomasia, la tecnica della clonazione che nel 1996 ha portato alla creazione della pecora Dolly, il primo vivente generato in laboratorio. Allora, come si può apprendere dalla lettura di diversi articoli e libri, scritti in seguito alla riuscita dell’esperimento, l’opinione pubblica si scatenò: mentre alcuni definirono il clone un “trionfo”, un figlio del connubio tra scienza e tecnica, altri s’indignarono e diedero vita a diversi movimenti che condannavano la pratica, prevedendo un futuro imminente dominato da “oggetti” e non da persone, animali e vegetali.
A distanza di sedici anni circa, quella realtà sembra essere sempre più vicina e ciò spaventa in particolar modo i conservatori e il “clero”, incapaci di accettare il progresso, coniugandolo con le proprie idee, ormai obsolete. Ci si schiera contro la pratica dell’aborto, contro l’utilizzo di contraccettivi, contro l’inseminazione artificiale, senza accorgersi che, talvolta, oggigiorno, facendo ricorso a questi metodi, si risolvono situazioni incresciose e spiacevoli: si dà la possibilità, ad esempio, a giovani ragazze di rinunciare ad avere un bambino, frutto di una violenza subita da qualche scellerato, si permette a persone che hanno contratto malattie sessualmente trasmissibili di tornare ad amare, si rendono felici coppie che, dopo aver tentato più volte di diventare genitori, finalmente possono realizzare il proprio sogno.
Il progresso dovrebbe “scendere in campo” solo nel momento in cui c’è un bisogno effettivo, e non in maniera spropositata. Gli interventi di chirurgia estetica, secondo recenti statistiche, sono aumentati notevolmente e a sottoporvi non sono solo le donne, come si è portati a credere, ma anche gli uomini, vittime della società consumistica e, di conseguenza, del culto della bellezza del proprio fisico. Fa inorridire e preoccupare allo stesso tempo, sapere che ci si reca da un chirurgo plastico, per la prima volta, a circa diciotto anni, con l’intenzione di aggiungere del silicone al proprio seno, di ridurre notevolmente la misura dei fianchi e del bacino, di sistemare la forma del proprio naso troppo pronunciato. E non ci si deve meravigliare se gli adulti permettono alle nuove generazioni di fare tutto ciò. È in questi casi che il decadente Giovanni Pascoli non sbaglierebbe, parlando di autodistruzione: ci si vuole migliorare esageratamente, cercando di assomigliare a dei modelli irraggiungibili e, non si ha cura del proprio essere interiore.
Da diversi anni si parla di bioetica, cioè della disciplina che studia fino a che punto scienza e tecnica possono spingersi, senza danneggiare l’immagine di valori in cui si crede da secoli.
È giusto appellarsi alle scoperte, alla ricerca, per sconfiggere delle malattie, considerate invincibili fino a qualche decennio fa: ricorrendo al trapianto del midollo osseo, molti malati di leucemia o di linfoma possono guarire, tornando a prendere possesso della propria vita; attraverso chemio e radio-terapie, si riesce ad annientare un tumore, nonostante siano delle tecniche devastanti; , soprattutto, grazie alla creazione di nuovi strumenti d’indagine, alcuni terribili mali vengono prevenuti o diagnosticati per tempo. Attualmente, una persona colpita da tumore al pancreas, il più temuto e agguerrito, riesce a sopravvivere per cinque anni dal momento che la massa viene scoperta e, talvolta, anche decentemente come il ricercatore Randy Pausch, morto nel 2008, che fino a pochi mesi prima del giorno fatale, pur consapevole della gravità della propria malattia, riuscì a svolgere molteplici esercizi fisici, durante quella che fu la sua “Ultima lezione” dinanzi ai propri alunni.
Si è giunti a risultati sorprendenti anche grazie alla fiducia e al sostegno della popolazione mondiale più acculturata, nei confronti della ricerca.
Qualche mese fa un giornale e un sito Internet hanno riportato la notizia della probabile trovata di un vaccino in grado di immunizzare al virus dell’HIV e, nonostante la notizia non sia stata confermata, la probabilità che esso funzioni è molto elevata. La sua riuscita ridurrebbe notevolmente il numero di vittime annuo, soprattutto nelle zone del globo in cui il virus a causa di povertà, ignoranza e condizioni igienico-sanitarie nulle, si riscontra con maggiore frequenza, come in Africa.
Un’altra scoperta di enorme importanza è stata quella dell’utilizzazione delle cellule staminali sia per far fronte a malattie incurabili che per rigenerare i tessuti danneggiati, ad esempio, da un’ustione.
Le scoperte scientifiche e i progressi in ambito medico diventano sempre più numerosi grazie alla tecnologia che, ormai, è una delle nostre compagne di vita. Diverse sono le facoltà universitarie nate affinché si possano realizzare dei macchinari in sicurezza, come ad esempio Ingegneria biomedica o Biotecnologie, che riscuotono un grande successo nelle scelte dei ragazzi, abbattendo il luogo comune secondo cui le facoltà scientifiche sono poco frequentate.
L’avvento della tecnica è riscontrabile anche e soprattutto, al di fuori del campo medico, nella vita di tutti i giorni: ognuno di noi possiede due o più cellulari, molti hanno sostituito l’agenda cartacea con un i-Pad di ultima generazione; il computer è indispensabile, la web-cam permette di far lunghe video-chiamate, mettendoci in comunicazione con persone che sono dall’altra parte del mondo, il microonde riscalda i cibi in pochi minuti, la televisione offre le immagini tridimensionali contenute in uno spazio di soli pochi millimetri.
È il nostro, dunque, un progredire o un regredire? Difficile trovare una risposta a questa domanda. Il nostro compito deve essere quello di imparare a gestire il progresso, difendendosi da esso. Dobbiamo ricordare di essere umani e imporci di restare tali. Dobbiamo costruire un recinto in grado di proteggere la nostra specie, evitando così di diventare un ammasso di robot e plastica. Possiamo farcela. È questo il futuro che immagino: un mondo in cui benessere ed etica convivono, rispettando l’uno lo spazio dell’altra e viceversa.
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