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Le istituzioni e i movimenti sociali

Le istituzioni e i movimenti sociali nella sociologia. Le teorie sulle relazioni sociali.

LE ISTITUZIONI E I MOVIMENTI. Le relazioni sociali si concretizzano in forma di istituzioni e movimenti.

LE ISTITUZIONI. Durkheim definiva istituzioni tutte le credenze e i modi di condotta istituiti dalla collettività. Le istituzioni possono essere considerate modelli di comportamento che assumono un carattere normativo in una determinata società. Ogni istituzione fa dunque riferimento a regole di condotta a cui la persona si adegua. Sono considerate istituzioni ad esempio la famiglia, il matrimonio, la scuola, gli ospedali, l’esercito, i tribunali, lo stato. Le istituzioni possono essere identificate da uno scopo sociale e dal fatto che permangono al di là delle vite e intenzioni individuali. Le istituzioni costruiscono e mettono in atto regole che governano il comportamento cooperativo umano. Possono essere individuate tre dimensioni delle istituzioni: quella prescrittiva, quella emotiva e quella cognitiva. Sebbene stabili le istituzioni hanno un proprio ciclo di vita, e nella loro dinamica è possibile individuare due tipi di processo  che ne regolano la durata temporale. Le istituzioni infatti posso nascere, svilupparsi e morire o per effetto di processi spontanei o per la volontà specifica di qualche attore. Sebbene stabili inoltre le istituzioni non devono essere intese come immutabili: i fattori che consentono il loro mutamento possono provenire sia dall’interno che dall’esterno e la risposta messa in atto può essere più o meno flessibile, ovvero tendente a conservare o piuttosto a modificare e ridefinire la propria struttura.

I MOVIMENTI SOCIALI. Il concetto di movimento sociale fa riferimento a reti di interazioni prevalentemente informali basate su credenze condivise e solidarietà che si mobilitano su tematiche conflittuali attraverso l’uso di varie forme di protesta. I movimenti possono differenziarsi in base allo scopo che vogliono perseguire o ad esempio secondo l’area di interesse. In base agli obiettivi che il movimento intende perseguire è possibile distinguere in movimenti rivendicativi, in cui lo scopo è prescrivere variazioni delle norme, dei ruoli e dell’assegnazione delle risorse economiche; movimenti politici, che perseguono lo scopo di accedere alla partecipazione politica e movimenti di classe il cui obiettivo è la modificazione dell’assetto sociale stesso. I movimenti possono essere inoltre distinti in base al tipo di rapporto che intrattengono con le istituzioni che può essere più o meno pacifico o conflittuale. A loro volta le istituzioni si opporranno in maniera totale o parziale ai movimenti. Tra movimenti e cambiamento sociale il rapporto è biunivoco: il cambiamento sociale può portare alla nascita dei movimenti e allo stesso tempo i movimenti possono produrre cambiamento sociale. K. Marx aveva individuato che le azioni di protesta possono essere definite azioni razionali, motivate da interessi di classe e dirette a provocare radicali mitamenti. In maniera più specifica diverse prospettive teoriche approfondiscono e analizzano i movimenti. La prima, elaborata da Smelser (1963) considera l’azione collettiva come la risposta a fattori disturbanti che vengono gestiti in maniera inadeguata. In questa concezione i protagonisti dei movimenti vengono concepiti come soggetti devianti. Alberoni (1981) considera invece i movimenti “statu nascenti” che rompono vecchi equilibri e ne formano di nuovi. I protagonisti dei movimenti sarebbero membri delle classi sociali minacciate e membri delle classi sociali in ascesa. Tilly (1978) sottolinea come in tutte le società si sviluppino interessi in conflitto e squilibri nella distribuzione del potere. Attraverso l’organizzazione si mobilitano risorse per l’azione collettiva finalizzata a un riequilibrio di potere. Infine alcuni autori hanno studiato i movimenti sviluppatisi a partire dagli anni Sessanta come prodotto del conflitto presente nelle società post-moderne.

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