Tredici persone, tra cui cinque domestici, stipate in due carrozze, nel luglio 1827 intraprendono il viaggio per quella che il Manzoni chiama una “risciacquatura in acqua d’Arno”. Nel capoluogo toscano Manzoni riceve un’accoglienza festosa, mentre lo stesso granduca Leopoldo II lo convoca a corte.
Gli intellettuali che si raccolgono nel Gabinetto scientifico-letterario di Giampiero Viesseux vedono nel Manzoni il rappresentante più accreditato del Romanticismo nostrano. Il suo romanzo non è l’unico nel panorama italiano, poiché negli anni di pubblicazione dei Promessi Sposi sono dati alle stampe altri romanzi storici, scritti sul modello delle opere di Walter Scott: proprio a Firenze escono, di Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), [i]La battaglia di Benevento[i], L’assedio di Firenze e Beatrice Cenci. Ricordiamo anche [i]Marco Visconti[i], di Tommaso Grossi (1790-1853), [i]Ettore Fieramosca[i], di Cesare D’Azeglio, [i]Margherita Pusterla[i] di Cesare Cantù (1804-1895).
Eppure nessuno si sognerebbe di negare il primato ai Promessi Sposi. A Firenze Alessandro Manzoni si lega d’amicizia con Giuseppe Giusti e Gino Capponi, mentre conosce, senza trarne grande piacere, Giacomo Leopardi (1798-1837) e Giambattista Niccolini (1782-1861). Conosce anche una fiorentina “verace”, Emilia Luti, che lo segue a Milano, come istitutrice della nipotina Alessandra D’Azeglio, diventa la sua più fedele collaboratrice nel faticoso lavoro di revisione linguistica che porterà all’edizione del 1840. Quando uscirà l’edizione illustrata dei Promessi Sposi, il Manzoni gliene regalerà una copia con questa dedica: “Madamigella Emilia Luti gradisca questi cenci da lei risciacquati in Arno, che Le offre, con affettuosa riconoscenza, l’autore”.
Fermo restando che nella Quarantana rimane inalterata la trama e non sono affatto modificati i personaggi, vediamo di mettere a punto in che cosa consiste questa revisione linguistica. Nel Fermo e Lucia il Manzoni ha usato una lingua derivata dalla sua abitudine a scrivere in poesie e in parte anche tradotta dal francese. Ne è derivato (sono parole sue!) un “composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine” cui, nella Ventisettana, viene sostituito il toscano letterario, con l’aiuto del Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini, il Dizionario francese-italiano e il Vocabolario della Crusca, nell’edizione 1729-38. È un toscano libresco che non soddisfa l’autore, il quale crede nel romanzo come genere letterario che si orienta a un lettore dinamico, calato nella sua epoca, operativo, incisivo nella società e non certo “topo di biblioteca”. Il viaggio a Firenze e la collaborazione della Luti hanno proprio lo scopo di “insegnare” al Manzoni l’uso del fiorentino “borghese”, parlato dalle persone colte, con le sue sfumature ironiche, la sua spigliatezza, la sua armonia e musicalità. L’autore vuole superare il divario tra lingua parlata e lingua scritta. Non è un capriccio, ma sente che è in gioco un elemento importante circa il futuro del popolo italiano: “per nostra sventura – aveva scritto anni prima al suo amico Fauriel (in una lettera del 9 febbraio1806) – lo stato dell’Italia divisa in frammenti, la pigrizia e l’ignoranza quasi generale hanno porto tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta che questa può dirsi quasi morta”. Si tratta di portare a dignità letteraria la lingua d’uso.
Il suo obiettivo, si è detto, è di raggiungere un pubblico vasto, di non elevata cultura ma sinceramente interessato. D’altra parte è proprio per questo pubblico che ha scritto il romanzo, genere letterario tenuto in scarsa considerazione dagli intellettuali italiani che, prima dei Promessi Sposi, ancora lo ritengono proprio di persone poco acculturate.
L’opera del Manzoni mostra l’assurdità di questo pregiudizio, ma l’autore deve compiere il grosso sforzo di aprire una strada, anche sul piano del linguaggio, poiché deve inventarlo. Dopo tredici anni di rimaneggiamenti, finalmente l’editore Redaelli di Milano può far uscire I Promessi Sposi a dispense, nella sua redazione definitiva. La pubblicazione si conclude nel 1842, riscuotendo un grande successo grazie, ovviamente, anche alla forma linguistica, in cui Manzoni riesce a superare la discrepanza tra lingua scritta e lingua parlata e appronta lo strumento espressivo tanto atteso dai Romantici per una letteratura nazional-popolare. Non di rado l’autore dialoga con il pubblico, chiamandolo “i miei venticinque lettori” o interrogandolo giovialmente su qualche problema, presentato in modo ironico. È un modo di costruire un rapporto immediato, che contribuisce a sottolineare l’intento educativo del romanzo, finalmente riconosciuto nella sua dignità di genere letterario a tutti gli effetti. I critici sottolineano la vivacità dei dialoghi, la pluralità dei registri, che passano dal tono amichevole e colloquiale a quello solenne e persino oratorio (per esempio del cardinal Borromeo).
Manzoni sa introdurre una garbata ironia laddove la tensione emotiva si fa troppo opprimente, ma sa anche assumere la severità dello storico che riferisce avvenimenti con l’indicazione delle fonti. Non meno importante è la capacità mimetica dell’autore che sa mettere in bocca ai personaggi esattamente le parole e il tono giusto, quasi suggerendo al lettore anche l’intuizione del gesto che lo accompagna. Quando il conte, zio di don Rodrigo, un “pezzo grosso” del Consiglio segreto, accoglie nel suo studio il padre provinciale, responsabile dei cappuccini del ducato, per decidere la sorte di padre Cristoforo, il Manzoni dice che “il magnifico signore fece sedere il padre molto reverendo” (cap. XVIII) e l’ampollosità della frase sottolinea la cerimoniosità dei due interlocutori.
Quando don Ferrante, nobile e ricco intellettuale milanese che ospita Lucia, viene presentato al lettore, l’autore sottolinea, circa i rapporti con la moglie impicciona : “Che, in tutte le cose, la signora moglie fosse la padrona, alla buon’ora; ma lui servo, no” (cap. XXVII), sottolineando, con la vivacità della negazione, la dimensione patetica in cui si inserisce il personaggio. E così, tanto per sottolineare un toscanismo, è da notare questa espressione: alla domanda di Lucia se rivelerà a padre Cristoforo il progetto di forzare don Abbondio con il matrimonio “a sorpresa”, “- Le zucche! – ” (cap. VII), risponde Renzo, frase che equivale a un “Fossi matto!”, ma ha sicuramente un’incisività, una pregnanza e un’arguzia molto maggiori.
La lingua manzoniana sa adattarsi alla psicologia dei personaggi: sa farsi allusiva laddove due “politiconi” organizzano una piccola congiura; sa diventare appassionata ma non priva di humour quando narra le peripezie di Renzo in fuga; sa assumere il tono severo di chi, senza giudicare, non condivide scelte educative improntate all’orgoglio e all’egoismo; sa rispettare talune caratteristiche del personaggio, come la reticenza di Lucia a corrispondere verbalmente al fidanzato; sa evocare l’allucinazione dell’incubo, nel sogno di don Rodrigo appestato, sa trasmettere il sollievo di chi ha finalmente ritrovato chi cercava; sa riportare con lucidità cronache del passato; sa descrivere, con pochi tratti sobri e aggettivi “mirati”, paesaggi che sono lo specchio dello stato d’animo dei personaggi.
È necessario sottolineare l’importante scelta artistica che sta alla base di questa “nuova” lingua manzoniana. Prima dei Promessi Sposi il linguaggio veniva modulato secondo l’imitazione dei classici, sulla base della loro autorità. Il romanzo, invece, propone nella redazione definitiva una lingua viva che ha, però, dignità letteraria. Il criterio che il Manzoni segue per coniare questa lingua è quello, per usare le sue parole, dello “scrivere come il parlare”, per la realizzazione di una prosa duttile, comunicativa, attuale e… italiana. Sì, perché nelle intenzioni più riposte del “patriota” Manzoni c’è anche questa esigenza, che costituisce un significativo contributo nel processo di unificazione nazionale. Se con la “Ventisettana” lo scrittore presenta un romanzo indirizzato al pubblico milanese, con la “Quarantana” realizza l’ambizioso progetto di parlare a un pubblico italiano.
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