La monade è una prospettiva sull’ universo che si accorda con le prospettive costituenti tutte le altre monadi. In altre parole, ciascuna percezione di una qualsivoglia monade è armonizzata non solo con le percezioni che la precedono e la seguono nella stessa monade, ma anche con le percezioni di tutte le altre monadi, cosicchò tra le sostanze può sussistere un rapporto di strettissima interdipendenza senza che esse esercitino alcuna influenza causale reciproca. Ciò presuppone la dottrina dell’ armonia prestabilita, per esporre la quale Leibniz si serve dell’ esempio di due orologi che camminano esattamente nello stesso modo, così da indicare sempre la stessa ora. Qualche anno prima di Leibniz è curioso notare come già Francesco Bacone si fosse servito dell’ esempio dei due orologi per dimostrare che il peso deriva da una forza di attrazione esercitata dalla Terra. Tornando a Leibniz, la coincidenza tra i due orologi può essere spiegata in tre modi diversi, che, al di là dell’ esempio addotto, alludono alle tre maniere in cui si può giustificare la relazione di corrispondenza tra sostanze distinte. Il primo modo è quello di immaginare che i due orologi siano connessi in maniera tale da influenzarsi a vicenda: analogamente la tradizionale concezione della causalità esterna spiega le relazioni reciproche tra le cose. La seconda spiegazione presuppone un abile orologiaio che interviene continuamente sugli orologi per metterli al passo: fuori di metafora, questa è la proposta dell’ occasionalismo di Geulincx e Malebranche, per i quali l’ accordo tra sostanze diverse ( in questo caso il pensiero e l’ estensione cartesiani ) è imputabile al costante e perpetuo intervento straordinario di Dio, che per Leibniz non è altro che l’ abile orologiaio della metafora. Il terzo caso si dà supponendo che entrambi gli orologi siano così precisi che, avendo ricevuto la stessa carica, essi debbano semplicemente seguire gli impulsi che gia contengono in se stessi per indicare entrambi la stessa ora: al medesimo principio obbedisce la dottrina dell’armonia prestabilita, secondo la quale all’atto della creazione del mondo Dio ha dato a ciascuna monade una legge di sviluppo che si armonizza con quella di tutte le altre, in modo tale che ogni cosa scaturisca dal suo proprio fondo con una perfetta spontaneita’ rispetto a se stessa e nondimeno in conformita’ perfetta con tutte le cose esterne. Alla dottrina dell’armonia prestabilita e’ strettamente connessa quella secondo cui Dio ha creato il migliore dei mondi possibili: Dalla perfezione suprema di Dio segue che egli, producendo l’universo, ha scelto il miglior piano possibile, in cui c’ò la più grande varietà unita al massimo ordine; in cui il terreno, il luogo, il tempo, sono i meglio preparati, il maggior effetto ò ottenuto con i mezzi più semplici e le creature hanno la massima potenza, conoscenza, felicità e bontà che l’universo poteva conseguire. Infatti, poichè tutti i possibili pretendono all’esistenza nell’intelletto di Dio, il risultato di tutte queste pretese dev’essere il più perfetto mondo attuale che sia possibile. Senza di ciò non si potrebbe rendere ragione di perchè le cose sono andate così e non altrimenti. (Princìpi della natura e della grazia, 10). Ora, siccome nelle idee divine ci sono infiniti universi possibili e di essi non ne può esistere che uno, occorre che ci sia una ragione sufficiente della scelta di Dio, la quale lo determini verso lâuno piuttosto che verso lâaltro. E questa ragione non può che trovarsi nella convenienza, nei gradi di perfezione che quei mondi contengono, poichè ogni possibile ha il diritto di pretendere allâesistenza in ragione della perfezione che implica. E proprio questa ò la causa dellâesistenza del migliore di essi, che dio conosce tramite la saggezza, sceglie in virtù della bontà e produce in forza della potenza. ( Monadologia ) Si e’ gia visto che dio e’ la “monade delle monadi”, cioe’ la monade la cui prospettiva dell’universo include le prospettive di tutte le altre monadi. In realta’, in Dio non sono contenute soltanto le prospettive delle monadi esistenti, ma anche quelle che non si sono mai realizzate in nessuna monade: più semplicemente, nella mente infinita di Dio, oltre al mondo esistente, sono contenute le idee di tutti i mondi possibili, vale a dire di tutti i mondi che Dio avrebbe potuto creare in alternativa a quello presente. Sorge allora la domanda: perchò Dio ha creato proprio questo mondo e non un altro degli infiniti possibili? La risposta di Leibniz e’ che questo e’ il migliore tra tutti. Dio infatti, pur essendo ontologicamente libero di scegliere il mondo che vuole, in quanto infinita bonta’ e’ moralmente necessitato a scegliere il migliore, cioe’ quello in cui e’ contenuta la minor quantita’ di male. Leibniz risolve cosi anche il problema della teodicea (dal greco theos=dio e dikaios=giusto), ovvero il problema della compatibilita’ del male nel mondo con l’esistenza e la bonta’ di Dio. Quando dice che il mondo in cui viviamo e’ il migliore dei mondi possibili, egli non intende che esso sia immune da mali (cosa che contrasterebbe con la piu elementare delle esperienze), ma che in questo mondo si realizza un rapporto tra bene e male che, tra tutti i mondi possibili, rende compatibile la massima quantita’ di bene con la minima quantita’ di male. In particolare, Leibniz mostra come una certa quantita di male, sia metafisico sia morale, e’ inevitabile in un mondo finito. Il male metafisico e’ soltanto un concetto negativo -come gia aveva sostenuto Agostino – che esprime la differenza tra il creato e il creatore, ovvero l’impossibilita’ che il mondo e l’uomo abbiano la stessa perfezione di Dio: se cio’ avvenisse, il creato sarebbe Dio stesso. Ma anche il male morale nasce dall’imperfezione necessaria dell’uomo. Infatti, le percezioni e le conoscenze umane, per quanto tendano alla perfezione, non possono mai raggiungere quella chiarezza e distinzione assoluta che e’ propria di Dio soltanto: nell’uomo rimane dunque sempre un residuo di oscurita’ e di confusione che sta all’origine di ogni errore e di ogni peccato. La tesi secondo cui il mondo reale e’ il migliore dei mondi possibili, in quanto in esso e’ contenuta la minore quantita’ possibile di male metafisico e morale, venne definiota da un contemporaneo di Leibniz con un neologismo destinato ad avere molta fortuna: ottimismo. L’ ottimismo e’ a sua volta connesso con un altro importante aspetto del pensiero leibniziano: il finalismo. In precedenza abbiamo già esaminato il finalismo metafisico e fisico ( che tuttavia non esclude il meccanicismo seicentesco ) che è implicito nella concezione della realtà come energia e attività . Questo stesso finalismo si ritrova nella monade, nella quale esiste un incoercibile impulso a passare a percezioni sempre più chiare e distinte. In ciò la monade consegue una sempre maggiore perfezione: ma poichò quest’ ultima consiste nella sempre più chiara comprensione dei legami che connettono la monade a tutto il resto del mondo, cioò dell’ armonia che regna tra le diverse realtà dell’ universo, essa acquista un significato morale oltrechò cognitivo. Nella contemplazione dell’ armonia del mondo l’ uomo comprende come nell’ universo tutto sia volto al bene e come la sua stessa esistenza individuale debba contribuire a quello scopo: in questo modo egli consegue la destinazione specifica della sua natura e, allo stesso tempo, realizza la felicità a cui ogni uomo aspira. La certezza che questo ò il migliore dei mondi possibili, e d’altra parte la possibilità dell’uomo di elevarsi alla conoscenza di Dio grazie alla ragione, costituiscono così i presupposti più solidi per fondare anche l’etica e indicare all’uomo il suo destino: Tutte le menti, sia degli uomini sia dei genii [= angeli], entrando per mezzo della ragione o delle verità eterne in una specie di società con Dio, sono membri della città di Dio, cioò del più perfetto Stato, formato e governato dal più grande e dal migliore dei monarchi: in cui non c’ò delitto senza castigo, nè buona azione senza ricompensa proporzionata, e infine, tanta virtù e tanta felicità quante ne sono possibili; e ciò non per un deviamento della natura, come se quello che Dio preparava alle anime turbasse le leggi dei corpi, ma per l’ordine stesso delle cose naturali, in virtù dell’armonia prestabilita dall’eternità tra i regni della natura e della grazia, tra Dio come architetto e Dio come monarca; in modo che la natura conduce alla grazia, e la grazia perfeziona la natura con l’avvalersene. [… ] Così, benchè la ragione non ci possa insegnare qual ò il particolare il grande avvenire, riservato alla rivelazione, noi possiamo essere assicurati da quella stessa ragione che le cose sono fatte in un modo che supera i nostri desideri. Inoltre, poichè Dio ò la più perfetta e la più felice delle sostanze, e quindi la più degna d’amore, e poichè il vero amore puro consiste nello stato che fa provar piacere delle perfezioni e della felicità di ciò che si ama, un tale amore deve darci il più grande piacere di cui possiamo esser capaci, quando Dio ne ò l’oggetto. (Princìpi della natura e della grazia, 15-16). Certo l’ ottimismo di Leibniz incontrò anche ostilità e vi fu chi non esitò a schierarsi contro; va senz’ altro ricordata a questo proposito la figura di Voltaire, filosofo francese del 1700, che nel suo Candido muove un’ aperta critica a Leibniz e alla sua concezione ottimistica del mondo.
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- Filosofia - 1600