L’ELEGIA LATINA. Il termine elegia rimanda ad un componimento mesto e languido, nonostante nel corso della storia i contenuti dell’elegia sono stati i più svariati, pur nell’unità della struttura metrica, il distico elegiaco. Abbiamo visto l’elegia guerresca con Callino e Tirteo, l’elegia politica e sociale con Solone, quella malinconica e amorosa con Mimnermo, quella moraleggiante con Teognide, quella filosofica con Antimaco di Colofone. Abbiamo poi visto l’elegia alessandrina dell’eros tormentato e doloroso e delle passioni del mito meno conosciute. E’ proprio agli elegiaci alessandrini che i latini si rifecero, ma purtroppo della produzione alessandrina ci è rimasto ben poco, per cui non possiamo affermare con esattezza se nei maestri alessandrini fosse così presente il carattere personale e soggettivo preminente nella poesia latina. Secondo Jacoby però l’elegia latina non deriva direttamente dall’elegia ellenistca, ma da un ampliamento dell’epigramma greco, la forma poetica a cui gli Alessandrini affidarono l’espressione diretta del sentimento personale. Tuttavia, questa tesi è riduttiva, in quanto dobbiamo considerare la struttura più complessa dell’elegia rispetto all’epigramma. Il precedente più immediato dell’elegia latina resta dunque l’elegia erotica alessandrina che probabilmente non doveva ignorare, accanto alla narrazione mitica, anche il diretto riferimento alla sfera personale del poeta. Nei poeti latini il discorso soggettvo si amplierà e si approfondirà, mantenendo sempre però il riferimento al mto, all’erudizione e alle vicende d’amore e di dolore interiorizzate.
ELEGIA LATINA: LA FIGURA DELLA DONNA. Al centro dell’elega latina vi è la figura femminile, una donna dai connotati spirituali e dalla presenza fisica ossessiva. Accando a lei vi è il poeta che la canta, perché è lei l’ingenium, l’ispirazione. Il poeta la adora, nonostante i tradimenti, le liti e le riappacificazioni, in un vagheggiamento quasi mitico. Bellissima, la donna è la vita del poeta, la domina alla quale sottomettersi con un dolce arrovellarsi nella sofferenza, perché le è traditrice, volubile. Si tratta di un amore che vuole durare in eterno, eros che va oltre la moerte e che spesso il poeta canta come nenia funebre.
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