Dionysius syracusanus iocosa dicta sacrilegiis suis adiungere solebat. Cum fanum Locrense Proserpinae spoliavisset et per altum secundo vento classe veheretur, ridens amicis dixit: “Videtsine? Nonne bona navigatio ab ipsis immortalibus sacrilegis tribuitur?”. Detraxit etiam Iovi Olympio magni ponderis aureum amiculum, quo eum ornaverat tyrannus Gelo, et ei iniecit laneum pallium exclamans: “Aestate grave est amiculum, hieme frigidum, laneum autem aptius ad utrumque tempus anni est”. Idem Epidauri aesculapio barbam auream demi iussit, quod non convenit, affirmabat, patrem Apollinem imberbem conspicere, filium ipsum barbatum. Idem tollebat Vittorias aureas et pateras et coronas, quae simulacrorum manus porrigebant: “Eas accipio, non aufero; stultum enim est non sumere ab his, a quibus bona exoramus, a dona quae ipsae nobis porrigunt”.
Versione tradotta
Dioniso siracusano era solito aggiungere giocosi detti ai suoi sacrilegi. Avendo a Locri depredato il tempio di Proserpina e essendo stato trascinato in alto mare da un vento favorevole disse ridendo agli amici: forse non vedete? Non è forse attribuita una buona navigazione dagli stessi dei immortali agli empi? Portò via anche a Giove Olimpo un mantello d'oro di ingente peso, con cui il tiranno Gelone aveva ornato quello, e a quello gli pose un mantello di lana dicendo: in estate è pesante il mantello, di inverno freddo, tuttavia questo di lana è più adatto ad ogni stagione dell'anno. Lo stesso tagliò la barba di oro ad Epidauro ad Esculapio, perchè non si addice, affermava, che lo stesso figlio barbato guardi il padre Apollo imberbe. Inoltre toglieva le vittorie di oro, le ciotole e le corone, che (porrigo) le mani dei simulacri: le prendo, non le porto via, infatti è stupido non prendere da quelli da cui supplichiamo beni, dai doni che a noi stessi ci porgono.
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