C. Plinius Calpurniae suae s.
[…]
Equidem nunc me et absentiae et infirmitatis tuae ratio incerta et varia sollicitudine exterret. Vereor omnia, imaginor omnia et, ut natura metuentium est, ita quae maxime abominor maxime fingo. Scribis te absentia mea non minus affici quam morbo, unumque habere solatium quod pro me libellos meos teneas, saepe etiam in vestigio meo colloces. Gratum est quod me requiris, at quid agam sine te? Utinam fortior sis et mox ad sanitatem revertaris! Invicem, etsi ego epistulas tuas lectito, eo magis ad desiderium tui accendor. Nam quamquam tuae litterae tantum habent suavitatis, tamen huius sermonibus quantum dulcedinis inest! Tu tamen frequentissime scribe, licet hoc ita me delectet ut torqueat. Vale.
Versione tradotta
Gaio Plinio saluta la cara Calpurnia
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Ora, poi, il pensiero della tua lontananza e della tua malattia mi atterrisce incutendomi ansie vaghe e molteplici (lett. con uninquietudine vaga e molteplice). Ho paura di tutto, immagino di tutto e, comè tipico nella natura di coloro che sono spaventati, mimmagino soprattutto quelle cose che soprattutto detesto. Scrivi di essere prostrata dalla mia assenza non meno che dalla malattia, e di avere (come) solo conforto il fatto di tener vicino i miei scritti al posto mio e di collocar(li) spesso nei luoghi in cui sono solito intrattenermi (in vestigio meo: sulla mia traccia). Mi fa piacere che tu senta la mia mancanza, ma io che cosa farei senza di te? Voglia il cielo che ti rimetta in forze (lett. sia più forte) e torni presto in salute! A mia volta (Invicem), anche se leggo ripetutamente le tue lettere, (ogni volta) mi accendo sempre più di desiderio per te. Infatti, benché le tue lettere siano colme di (lett. abbiano) amabilità, tuttavia quanta dolcezza cè nelle conversazioni a voce (sermones) con una persona (huius)! Tu però scrivimi spessissimo, anche se ciò mi dà gioia e tormento insieme (lett. come mi diletta così mi tormenta). Stammi bene.
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