Ab urbe condita, Libro 1, Par. 16 - Studentville

Ab urbe condita, Libro 1, Par. 16

[1] His immortalibus editis operibus cum ad exercitum recensendum contionem in campo ad Caprae paludem

haberet, subito coorta tempestas cum magno fragore tonitribusque tam denso regem operuit nimbo ut conspectum eius contioni

abstulerit; nec deinde in terris Romulus fuit. [2] Romana pubes sedato tandem pavore postquam ex tam turbido die serena et

tranquilla lux rediit, ubi vacuam sedem regiam vidit, etsi satis credebat patribus qui proximi steterant sublimem raptum

procella, tamen velut orbitatis metu icta maestum aliquamdiu silentium obtinuit. [3]Deinde a paucis initio facto, deum deo

natum, regem parentemque urbis Romanae saluere universi Romulum iubent; pacem precibus exposcunt, uti volens propitius suam

semper sospitet progeniem. [4] Fuisse credo tum quoque aliquos qui discerptum regem patrum manibus taciti arguerent; manavit

enim haec quoque sed perobscura fama; illam alteram admiratio viri et pavor praesens nobilitavit. [5] Et consilio etiam unius

hominis addita rei dicitur fides. Namque Proculus Iulius, sollicita civitate desiderio regis et infensa patribus, gravis, ut

traditur, quamuis magnae rei auctor in contionem prodit. [6] “Romulus” inquit, “Quirites, parens urbis huius, prima hodierna

luce caelo repente delapsus se mihi obuium dedit. Cum perfusus horrore venerabundusque adstitissem petens precibus ut contra

intueri fas esset, [7] “Abi, nuntia” inquit “Romanis, caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem

militarem colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis Romanis resistere posse.[8] ” Haec” inquit

“locutus sublimis abiit.” Mirum quantum illi viro nuntianti haec fides fuerit, quamque desiderium Romuli apud plebem

exercitumque facta fide immortalitatis lenitum sit.

Versione tradotta

[1] Compiute queste opere immortali, mentre teneva un discorso per passare in rassegna l’esercito nel campo Marzio

presso la palude della Capra, una tempesta scoppiata all’improvviso con grande fragore e tuoni, coprì il re di un nembo così

denso che sottrasse la sua vista all’assemblea, né in seguito ci fu sulla terra Romolo. [2] La gioventù romana, sedato alla

fine il timore, dopoché da (dopo) un giorno così torbido ritornò la luce tranquilla e serena, quando vide vuoto il seggio del

re anche se credeva abbastanza ai senatori i quali stava più vicini e che dicevano (ß Sottinteso) che era stato rapito in cielo

da una tempesta, tuttavia come colpita dalla paura per essere rimasta orfana, per un certo tempo conservò un mesto silenzio.

[3] Poi seguendo l’iniziativa di pochi (fatto inizio da pochi)Salutano tutti insieme Romolo Dio, nato da un Dio, re e padre

della città di Roma. Chiedono la pace con le preghiere affinché benevolo e propizio sempre protegga la sua progenie. [4] Ci

furono –credo- , già allora alcuni i quali pur senza dirlo apertamente sostenevano che il re fosse stato fatto a pezzi dalle

mani dei senatori. Si diffuse infatti anche questa diceria, anche se in forma assai confusa quell’altra versione mobilitarono

l’ammirazione per l’uomo e lo sgomento di allora. [5] E anche per l’accorgimento di un solo uomo si dice che la cosa acquistò

credito (fu data fama alla cosa). Infatti Giulio Proculo, mentre la popolazione era inquieta per il rimpianto e ostile ai

senatori per la perduta del re, testimone autorevole, come si dice, sebbene di un fatto eccezionale, si avanza per parlare in

assemblea. [6] Romolo disse: “Quirite, padre di questa città, oggi all’alba, sceso all’improvviso dal cielo, lui si fece

incontro essendomi io fermato, pervaso da terrore e in atto di venerazione chiesi con le preghiere di poterlo guardare in viso

ed egli disse: [7] “Va annuncia ai Romani che i celesti così vogliono, che la mia Roma sia capital del mondo, perciò coltivino

l’arte militare e sappiano e trasmettano ai posteri che nessuna potenza umana può resistere alle armi Romane”. [8] Dopo aver

detto queste parole se ne andò in alto (verso l’alto del cielo) e straordinario quanto si prestò fede all’uomo che annunciava

queste cose e quando si attenuò il rimpianto di Romolo presos la plebe e l’esercito una volta formatasi al convinzione della

sua immortalità.

  • Letteratura Latina
  • Ab urbe condita
  • Livio
  • Ab urbe condita

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti